Quando Giussani e Milani correvano il rischio di educare

La Repubblica Giovedì 8 Febbraio 2018

Eraldo Affinati

Ci sono libri che uniscono e libri che dividono. Il rischio educativo di don Luigi Giussani (prima edizione originale nel 1977, poi variamente arricchita fino al volume riassuntivo del 2005), ha fatto negli anni entrambe le cose: guida preziosa per i molti seguaci del fondatore di Comunione e Liberazione, è stato ferocemente osteggiato dagli altrettanto numerosi detrattori.

Che sia giunto il tempo di leggere l’opera, a bocce ferme, ripartendo dalle sue premesse originarie troppo spesso offuscate dalle battaglie politiche?

Non c’è bisogno di sottolineare l’attualità dell’argomento specifico: la crisi etica contemporanea esplode con sempre maggiore virulenza a scuola e in famiglia. Quali erano le proposte formulate da don Giussani su cui potremmo ancora riflettere?

Ho individuato dieci punti essenziali.

L’importanza della tradizione. Nessun giovane può fare a meno del passato che tuttavia non andrebbe inteso quale contenuto da trasmettere, o peso da sostenere, bensì come coscienza dei nessi, necessità dei rapporti, molteplicità del reale. Ognuno di noi è il frutto di chi lo precede: ma tale consapevolezza non sembra essere naturale. Essa va conquistata.

Necessità della verifica. L’adolescente ha bisogno di toccare con mano la conoscenza acquisita facendola entrare nel suo mondo.

Valore dell’esperienza. La rivoluzione informatica rende questo aspetto incandescente. Oggi è necessario ristabilire una gerarchia di valori nel mare magnum della Rete. Dovremmo trasformare l’apprendimento in un’avventura conoscitiva.

Ambiente, famiglia e scuola. L’accordo virtuoso che don Giussani auspicava fra le tre dimensioni sociali sembra essersi spezzato. Nessun gesto educativo può scaturire da un uomo solo. Troppo spesso le migliori energie dei ragazzi restano inattive nelle ore scolastiche entrando in azione altrove. Le famiglie a volte ostacolano l’azione educativa accentuando la solitudine del docente.

Uscire dall’indeterminatezza. L’epoca che stiamo vivendo è caratterizzata da adulti fragili, spesso incapaci di incarnare di fronte ai figli una vera credibilità. Non basta indicare il precetto da rispettare, occorre innanzitutto mostrare di averlo vissuto.

La dimensione comunitaria. Se l’intuizione individuale non si misura in una realtà corale, ogni spunto diventa sterile. Il carisma pedagogico del docente deve essere sostenuto e legittimato dalla comunità educante.

Il problema della libertà. Andare oltre è stato uno dei miti novecenteschi: puntare sullo smarrimento, sull’ebbrezza. Ma la vera natura della libertà risiede proprio, all’opposto, come sapeva Dietrich Bonhoeffer, nell’accettazione del nostro limite.

La questione del tempo libero. Qui possiamo fare un confronto con certe intuizioni che Don Lorenzo Milani formulò in Esperienze pastorali (1958) a proposito di “ricreazione”. Il priore di Barbiana la negava, non perché non volesse concedere una pausa ai suoi ragazzi ma perché intendeva affermare l’assioma: tempo scuola-tempo vita.

Fra autonomia e vigilanza. L’adulto deve vigilare sul ragazzo che ha di fronte essendo tuttavia disponibile a lasciare che lui conquisti la sua autonomia. Su questo snodo cruciale vorrei richiamare una dichiarazione di papa Francesco (7 giugno 2013): «Nell’educare c’è un equilibrio da tenere, bilanciare bene i passi: un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio. E quando quel rischio diventa sicurezza, l’altro passo cerca un’altra zona di rischio. Non si può educare soltanto nella zona di sicurezza: no. Questo è impedire che le personalità crescano».

Da maestro a fratello. Quando finisce l’azione educativa? In realtà essa non dovrebbe avere mai termine. Nel momento in cui il giovane diventa adulto, il maestro si trasforma in fratello. Don Luigi Giussani cita Matteo 23,8-10, a proposito dello scarto fra gli apostoli e i farisei. Mentre questi ultimi si mettono ai primi posti continuando a recitare la loro lezione per tutta la vita, i seguaci di Gesù si mischiano con gli altri fino al punto di diventare fratelli.

Molti anni fa, in Marocco, due miei studenti della Città dei Ragazzi mi fecero conoscere il loro vecchio insegnante rimasto da solo nel deserto. Trovandoci tutti insieme dopo tanto tempo, ebbi l’impressione di attingere a una possibile fraternità.

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