Svezia, provincia dell’Afghanistan

La Nuova Bussola quotidiana

27 Gennaio 2018

di Lorenzo Formicola

“Young in Sweden” è un’organizzazione svedese che Radio Svezia ha definito «uno dei movimenti di protesta più importanti del Paese in questo momento». I suoi membri vengono tutti dall’Afghanistan, e, secondo il sito web ufficiale, sono fuggiti dalla «violenza e dalla persecuzione» nella loro patria, per scoprire che in Svezia non erano «benvenuti dopotutto».

Il sito “Young in Sweden”, servendosi dello stilema americano, li battezza come “dreamers”, descrive i membri del gruppo come ragazzi che chiedono soprattutto “misericordia”, spiegando quanto sia difficile essere un rifugiato e quanto disperatamente desiderino restare a lungo in Svezia e contribuire al futuro e al bene del Paese. Ma l’appello per la simpatia cede subito il passo a qualcosa di più aggressivo.

Il gruppo rilascia, infatti, una serie di “richieste”. Innanzitutto chiedono che non vengano spediti nuovamente in Afghanistan quegli afghani le cui richieste di asilo sono state respinte; chiedono poi un incontro con il segretario generale dell’agenzia svedese per la migrazione; e richiedono, ancora, che i politici approvino leggi che concedano amnistia e permessi di soggiorno ai richiedenti asilo afghani.

E perché ci sia una qualche eco, “Young in Sweden” inscena proteste pubbliche, illegali e che finiscono sotto la voce “atti di vandalismo e violenza”. Organizza anche corsi di lingua. Ma non si tratta mica di corsi in lingua svedese per afghani. Tutt’altro: corsi in Persiano e Dari per svedesi nativi. La pagina Facebook del gruppo descrive l’iniziativa come un «progetto di integrazione» e viene spiegato che quando gli afghani diventano parte della società svedese, gli svedesi devono pur «assumersi la responsabilità di far parte di quella società». Il che significa che se gli svedesi nativi desiderano essere membri a pieno titolo della nuova società svedese, devono imparare il persiano e il Dari.

E mentre ci si interroga su chi possa gestire un sito web così professionale e che contiene riferimenti a questioni su cui non ci si aspetterebbe che i nuovi arrivati dall’Afghanistan siano a conoscenza, o anche solo interessati, la Svezia è costretta a respirare aria di tempesta. Ancora.

Il Paese è da inizio gennaio, infatti, al centro della cronaca per un’ondata di criminalità che non ha niente di nuovo. L’emergenza sta semplicemente conquistando un po’ di attenzione in più rispetto al passato occupando spazio tra le pagine di cronaca, ma neanche poi così tanto. Da qualche settimana gli episodi si stanno susseguendo senza sosta.

Qualche settimana fa un uomo è morto in una stazione della metropolitana, nella periferia di Stoccolma, dopo aver raccolto da terra una bomba a mano inesplosa. Nei giorni scorsi a Malmö, la seconda città della Svezia, c’è stata un’esplosione causata, secondo il quotidiano svedese Aftonbladet, da una bomba scagliata in piena notte contro una stazione della polizia del quartiere di Rosengard.

E intanto sono mesi che in diverse zone del paese si intensificano scontri tra gang con decine di sparatorie e attacchi esplosivi. Una situazione talmente esasperata da indurre il primo ministro svedese, il socialdemocratico Stefan Lofven, a dichiarare di voler fare ricorso a misure straordinarie.

E chissà perché se la civile Svezia, portata a modello di welfare generoso e con benefit che hanno trasformato il Paese nordico nella bengodi dell’immigrazione, mentre brucia, non attira l’attenzione dei media internazionali.

La verità è che il Paese scandinavo si sta velocemente avvicinando al collasso. Sempre più amministrazioni comunali lanciano l’allarme: se gli immigrati continueranno ad arrivare a questo ritmo, le amministrazioni locali non saranno più in grado di garantire una vita normale ai cittadini. E se l’ondata di ‘migranti’ continuerà a crescere, in 10-15 anni gli svedesi saranno una minoranza nel loro stesso paese.

Solo nel 2016, la Svezia ha accolto circa 29mila richiedenti asilo regolarmente registrati. Ma non è il clima – la temperatura invernale media è di circa -3°C -, né le accoglienti metropoli – il 56% del territorio è coperto da foreste – ad attirare così tanti immigrati, bensì proprio le celebri politiche di accoglienza dei Paesi nordici.

Basta uno sguardo casuale ai giornali locali, in un qualsiasi giorno, per trovarsi investiti da storie di rapine a mano armata, violenze sessuali, stupri, sparatorie ed esplosivi disseminati nei vari esercizi commerciali. Un’ondata criminale che non è più solo confinata alle grandi città. Il quartiere di Rosengard è ormai preda di bande di giovani 14enni muniti di Kalashnikov e giubbotti anti-proiettili.

Il sobborgo di Rinkeby – sobborgo di Stoccolma soprannominato “piccola Mogadiscio” per la forte presenza di immigrati -, è stato descritto dal procuratore capo svedese, Lise Tamm, qualche mese fa, come una “zona di guerra”. E non si contano gli episodi di auto date in fiamme che, pare, facciano ormai parte della vita quotidiana per gli svedesi di diversi quartieri. Tra gennaio e settembre 2017 sono state bruciate la media di ventidue auto al giorno.

In aumento sono anche gli episodi di violenza sessuale: il 10% in più rispetto allo scorso anno – in media venti segnalazioni al giorno. Per non parlare degli attacchi violenti che coinvolgono la polizia stessa. Le statistiche certificano che il numero di sparatorie fatali in Svezia è raddoppiato nel corso di nove anni e l’agenzia di sicurezza svedese, Säpo, ha dichiarato la scorsa estate che nel Paese, nel 2017, c’erano quasi 3000 estremisti islamici violenti rispetto ai soli 200 del 2010. E se è vero che il governo svedese sta cercando di ospitare 100.000 nuovi immigrati nel 2018, la prospettiva non è delle migliori.

Nel 1975 il Parlamento svedese decise all’unanimità di trasformare la Svezia in un paese multiculturale. Quarant’anni dopo sono evidenti a tutti le drammatiche conseguenze di questo esperimento tanto che nel giugno scorso, il capo della polizia si è sentito in dovere di annunciare, pubblicamente, l’esistenza di ben 61 no-go-zone nelle città svedesi. E intanto quelli di ‘Young in Sweden’ organizzano manifestazioni contro il ritorno dei richiedenti asilo in Afghanistan.