Corea del Nord, fuga dalla disperazione

La Nuova Bussola quotidiana

21 Novembre 2017

di Stefano Magni

Il 13 novembre scorso, un militare nordcoreano ha tentato di fuggire in Corea del Sud. Era in una posizione privilegiata, a guardia del confine, dunque ha tentato l’impensabile: ha preso un fuoristrada e si è lanciato verso la frontiera, oltre l’ultima cortina di ferro rimasta. Ce l’ha fatta, ma è ancora sospeso fra la vita e la morte. I suoi commilitoni del Nord, obbedendo agli ordini, gli hanno sparato contro e lo hanno colpito con cinque proiettili.

Operandolo, i medici sudcoreani, non solo hanno estratto i proiettili, ma hanno trovato un uomo malnutrito, con un apparato digerente infestato da “una colonia intera di parassiti”, una situazione che il chirurgo, intervistato dalla Tv sudcoreana, ha detto di non aver “mai visto in tutta la mia carriera”.

Il fuggitivo nordcoreano è dunque una testimonianza fisica delle condizioni di vita dei nordcoreani. Il “regno eremita” appare come una grande chiazza buia nelle foto satellitari. E’ letteralmente un buco nero nel mondo. Sappiamo poco o nulla di quel che vi accade, se non ascoltando le testimonianze di chi riesce a fuggire o le condizioni in cui torna chi ne è stato prigioniero, come lo studente americano Warmbier, tornato a casa solo per morire fra le braccia dei suoi cari.

Sappiamo qualcosa sulla repressione religiosa, la peggiore del mondo, dai missionari alcuni dei quali sono ancora in prigione per proselitismo. La grande carestia degli anni ’90 è finita, dopo che si è portata via la vita di un numero ancora imprecisato di persone, forse fino a tre milioni. Ma la popolazione soffre ancora di malnutrizione (il 40% dei cittadini, secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite), come dimostrano ancora oggi le condizioni del militare fuggito al Sud. Una presenza di parassiti così è rivelatrice di una agricoltura ancora primitiva, che non dispone neppure di fertilizzanti chimici.

Questa settimana, un’ampia inchiesta condotta da Washington Post ha fatto sentire al mondo le voci di 25 fuggiaschi nordcoreani che attualmente vivono in Corea del Sud e Tailandia. Emerge un quadro fatto di materialismo spinto, mercato nero, corruzione endemica, violenza diffusa. E soprattutto, tantissimo controllo reciproco. Tutti i difetti che i nostri intellettuali sono soliti attribuire all’Occidente, in Corea del Nord sono presenti e portati alle estreme conseguenze.

Benché sia un paese dai confini impermeabili, decine di migliaia di nordcoreani vivono e lavorano all’estero, soprattutto in Cina e Russia, paesi confinanti e con relazioni amichevoli con il regime di Pyongyang. Tuttavia, proprio a causa dei buoni rapporti con il regime, raramente riescono a trasformare il loro posto di lavoro in un luogo di fuga. Non riescono neppure a guadagnare di più, pur essendo pagati in valuta straniera molto più pregiata rispetto agli Won nordcoreani: i due terzi del loro salario viene incamerato dal regime. Attraverso questi lavoratori all’estero e cittadini nordcoreani che si improvvisano intermediari, si è sviluppato un mercato sotterraneo che per la maggior parte dei cittadini è diventato la principale fonte di vita.

In un’economia teoricamente collettivista e interamente controllata dallo Stato, i soldi e il baratto sono diventati indispensabili in ogni aspetto della vita. “Tecnicamente la scuola è gratuita – dice uno degli intervistati, un contadino – ma se non fornisco regolarmente un certo ammontare di fagioli e pelli di coniglio agli insegnanti, così che possano rivenderli, vieni rimproverato in continuazione. E’ questo uno dei motivi per cui i ragazzi non vanno più a scuola. Finiscono per essere danneggiati loro, quando i genitori non possono permettersi il prezzo imposto dagli insegnanti”.

Il mercato nero serve anche a colmare salari che non permettono di vivere. Come testimonia un altro intervistato, un medico: “Il salario di un medico è di circa 3.500 won al mese. E’ meno del costo di un chilo di riso. Così, naturalmente, il medico non era più la mia principale professione. Il mio lavoro a tempo pieno era il contrabbando, di notte. Vendevo erba medica nordcoreana in Cina e, con il ricavato, importavo elettrodomestici in Corea del Nord”. Un muratore ricorda che: “Non venivamo pagati per lunghi periodi di tempo. Una volta sono rimasto sei mesi senza stipendio. Vivevamo in un container, dentro il cantiere. Per pasto, ci veniva dato riso, cavolo e un uovo. Col lavoro che facevamo avevamo bisogno anche di carne e andavamo a comprare pelle di maiale al mercato (nero, ndr), la cosa più economica”.

Uno spacciatore di droga racconta di essere diventato, nel tempo, una vera risorsa per la società. “Ho fatto cose che non mi aspettavo di fare, di tutto: trasportavo denaro e merci, mettevo in comunicazione persone dal Nord al Sud per telefono, o contribuivo a organizzare incontri in Cina”.

Il mercato nero è relativamente tollerato, ma i contatti con il mondo esterno, anche i più banali, come vedere un film prodotto all’estero, sono severamente puniti. Un “telefonista” ricorda: “Ho visto molti film contrabbandati e soap opera salvati su penne Usb comprate al mercato. I venditori mi davano cose legali, come batterie o riso, in cui nascondevano le Usb. Avete qualcosa di delizioso, oggi? Era la frase in codice usata solitamente”.

Ma, come racconta un pescatore: “In passato, vedere un film cinese su penna Usb era tollerato. Si veniva internati nei campi di concentramento solo se ti scoprivano a vedere film americani o sudcoreani. Oggi si rischia il campo di concentramento anche se si vedono film cinesi. In questi giorni, i poliziotti e gli agenti dei servizi segreti campano alla grande: più gente arrestano, più guadagnano”.

E le denunce fioccano, perché, come dichiara una giovane madre: “In ogni condominio, le associazioni di vicinato si controllano sempre fra di loro. Se una famiglia mostra di vivere leggermente meglio delle altre, tutti i vicini iniziano a cercare di capire da dove arrivi il suo benessere. Tutti si sensibilizzano al caso, perché la gente è invidiosa”.

Il tutto avviene in uno Stato in cui è inculcato un unico credo: il culto della personalità della dinastia dei Kim. Uno studente intervistato dichiara che “abbiamo 90 minuti al giorno di educazione ideologica. Imparavamo la storia rivoluzionaria, lezioni su Kim Il Sung, Kim Jong-il e Kim Jong-un. Naturalmente ci insegnavano che avevamo bisogno delle armi nucleari, ci dicevano che dovevamo tutti affrontare sacrifici nella nostra vita quotidiana per costruire queste armi, per difendere il nostro paese”. “E’ come una religione – dice il medico – Sin dalla nascita impari a trattare la famiglia Kim come una famiglia di dei, a cui devi obbedienza assoluta”