La lotta dei Pontefici contro la schiavitù, la verità negata

La Nuova Bussola quotidiana

15 Novembre 2017

di Anna Bono

“Tutti voi siete infatti figli di Dio. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (San Paolo, Gal 3,26-28).

È con simili affermazioni che il Cristianesimo irrompe nel mondo antico condannando istituzioni millenarie e universali, tra cui la schiavitù che, da allora, non ha mai smesso di combattere.

La Chiesa cattolica, in particolare, ha svolto un ruolo fondamentale nel denunciare e contrastare la tratta degli schiavi africani. Fin dalla creazione delle prime enclave europee nel continente africano, la Chiesa ammonisce a non privare gli africani della libertà nonostante che essi stessi pratichino la schiavitù. Risale al 1492 una lettera di Papa Pio II in cui il Pontefice ricorda a un vescovo della Guinea portoghese (l’attuale Guinea Bissau) che la schiavitù dei neri è “magnum scelus”, un grande crimine.

Dopo di lui altri Pontefici intervengono per condannare sia la riduzione in schiavitù degli indiani d’America sia la tratta degli schiavi africani. Papa Paolo III nel 1537 afferma che non è lecito privare della libertà e delle proprietà “gli stessi indiani e tutti gli altri popoli, anche se non appartenenti alla nostra religione” e impone la scomunica a coloro che collaborano con la tratta degli schiavi.

La scomunica è ribadita da Papa Urbano VIII nel 1639 e da Papa Benedetto XIV nel 1741. Papa Pio VII ai partecipanti al Congresso di Vienna del 1815 – in cui i paesi europei decisero come spartirsi il continente africano – chiede di proibire il commercio degli schiavi e nel 1839 Papa Gregorio XVI riassume i pronunciamenti di condanna dei suoi predecessori in una bolla in cui “ammonisce e scongiura” i cristiani a non macchiarsi più della “così grande infamia” della schiavitù, “quell’inumano commercio con il quale i negri… sono comprati, venduti e costretti talvolta a eseguire durissimi lavori”.

Finora non sembravano poter sussistere dubbi sull’impegno della Chiesa contro la tratta degli schiavi africani, talmente tanti sono i documenti e le testimonianze che lo provano. Ma un libro, appena pubblicato, adesso sostiene che invece, lungi dal combattere la tratta, la Chiesa di Roma l’ha autorizzata, usando il racconto biblico su come Cam fu maledetto da Noè per giustificare l’asservimento dei suoi discendenti, vi ha partecipato attivamente, in tutte le sue fasi, e ne ha tratto profitti economici. Il libro si intitola “I Papi, la Chiesa cattolica e la tratta atlantica dei neri africani 1418-1839”. L’autore è un sacerdote nigeriano residente in Germania, Pius Adiele Onyemechi.

Le prime recensioni del libro elogiano tutte la precisione e la costanza “teutonica” nella ricerca e consultazione di fonti originali, tra cui l’Archivio segreto del Vaticano, che hanno consentito a don Pius di fornire “un contributo duraturo alla ricerca della verità storica”. Senza aver ancora letto il libro, si può tuttavia azzardare che precisione e costanza in realtà siano state impiegate selettivamente, alla ricerca di qualsiasi elemento utile ad accusare la Chiesa, con l’intenzione di dimostrarne la corruzione: questo se le quasi 600 pagine del libro riportano solo, unicamente esempi di connivenza e coinvolgimento nella tratta mentre tanti sono gli esempi di condanna rigorosa in cui l’autore dovrebbe essersi imbattuto, lui come gli altri storici che hanno studiato il fenomeno.

Senza averlo letto, si può dire inoltre con certezza che il libro contiene almeno un falso madornale, grossolano: l’affermazione che “solo nel 1839 la Chiesa ha riconosciuto gli africani come esseri umani al pari di tutti gli altri” (nella bolla di Papa Gregorio XVI).

Questa affermazione insostenibile viene attribuita a don Pius da Rita Monaldi e Francesco Sorti, autori di una recensione pubblicata sul quotidiano La Stampa, intitolata “Quando la Chiesa amava tutti gli uomini esclusi gli africani”. Monaldi e Sorti hanno scritto insieme dei romanzi storici a lungo censurati in Italia, dicono, perché nei loro libri rivelano verità scomode, soprattutto su pontefici e cardinali del passato. Si qualificano come “storici non accademici”. Più che altro sono storici approssimativi, poco documentati.

Basta dire che attribuiscono forte attendibilità a don Pius perché è nigeriano e perché è un sacerdote cattolico. All’inizio della recensione inoltre citano “il grande scrittore danese Thorkild Hansen” che nella sua “classica trilogia sullo schiavismo” valuta in 80 milioni i morti provocati dalla tratta. Hansen ha scritto i suoi libri negli anni 60 del secolo scorso. Tra gli anni 70 e 80 le cifre della tratta sono state ricalcolate grazie a ricerche condotte su diverse fonti, inclusi i registri dei porti americani destinazione delle navi negriere, le dimensioni delle imbarcazioni e il numero dei loro viaggi dall’Africa alle Americhe.

La tratta atlantica degli schiavi, a cui hanno partecipato i trafficanti europei, tra il XVI e il XIX secolo ha deportato quasi 12 milioni di persone, vive, con un tasso di mortalità durante le traversate del 13% circa. Altri due milioni di africani potrebbero essere morti in seguito alla tratta, soprattutto a causa di guerre e razzie per catturare schiavi da vendere. Più elevato – oltre 15 milioni di persone deportate – è il bilancio della tratta araba, sahariana e orientale, tra l’VIII e il XIX secolo.

Approssimativi, poco documentati e inoltre tendenziosi. Il rapporto – commentano Monaldi e Sorti – consente un “regolamento di conti con il passato proprio nel momento in cui la Chiesa di Roma, nella sua tradizione secolare di sostegno ai più deboli, chiama alla solidarietà verso i migranti”; per questo “a Roma non dovrebbe riuscire sgradito, vista l’attenzione di Papa Francesco – anche lui gesuita – per i popoli dell’Africa”.

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