Miracolo eucaristico di Asti

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di Rino Cammilleri

Anno 1535. Quella mattina il sacerdote Domenico Occelli, canonico della Collegiata di San Secondo ad Asti, andò all’altare maggiore per dire messa di fronte al popolo. Quando fu il momento di spezzare in due parti l’ostia, da questa caddero gocce di sangue che macchiarono il calice, la patena (cioè, il piattino dorato) e le dita del celebrante. Colui che serviva all’altare, Bartolomeo Carretto, vide tutto. Anche la gente vide.

Ora, quel giorno in città c’era un reparto delle truppe imperiali di Carlo V, nelle quali militavano anche dei luterani. Alcuni di costoro, chissà perché, erano in chiesa. Pare che, colpiti dal miracolo, si siano poi fatti cattolici. Il prodigio durò alcuni minuti, poi tutto tornò alla normalità. Il vescovo, Scipione Roero, ordinò un’inchiesta e i testimoni giurarono davanti al pubblico notaio.

Gli atti furono inviati al papa Paolo III, che concesse l’indulgenza a chi avesse visitato quella chiesa nell’anniversario del fatto. L’anno seguente arrivò Carlo V, che domandò di vedere il famoso calice e, ricorrendo il Corpus Domini, volle personalmente portare un’asta del baldacchino alla processione. Era lui l’imperatore sul cui dominio «non tramontava mai il sole», uno degli uomini più potenti di tutti i tempi. Ma si fece ritrarre da Tiziano con un semplice abito nero. E volle terminare i suoi giorni in convento.

Eh, altri tempi. Invece, per venire ai nostri, di tempi, la processione annuale in ricordo del miracolo si è via via ridotta di estensione fino a svolgersi solo dentro la chiesa. E, da un certo anno in poi, non si fece più. Indovinato: il 1968.

Il Giornale 25 luglio 2005