Intrigo al Concilio Vaticano II

Rassegna Stampa
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La recensione e un invito alla lettura dell’ultimo libro di Rosa Alberoni

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L’Ottimista n. 10, 13 aprile 2010

Quando Paolo VI fu tradito dai suoi migliori amici

Il romanzo-verità di Rosa Alberoni sul Concilio Vaticano II

di Antonio Gaspari

Ha già ricevuto migliaia di prenotazioni ed è appena arrivato nelle librerie l’ultimo romanzo di Rosa Alberoni, Intrigo al Concilio Vaticano II (edizioni Fede & Cultura). Si tratta di un libro appassionante ed avvincente, in cui la realtà inedita e sconosciuta di quanto accadde al Concilio Vaticano II viene raccontata in forma romanzata. Un anziano funzionario della Curia Vaticana ha detto che “c’è più verità in questo romanzo che in mille opere scritte sul Concilio Vaticano II”.

L’attacco è fulminante: una giornalista, Rachele Vidal, viene inviata a Portovenere per seguire un incontro culturale. Lì conosce padre Robert, un eremita che le racconta verità sconvolgenti su quanto accaduto al Concilio. Già segretario del cardinale Britannico che prese parte alle sessioni conciliari, padre Robert è parte integrante di un gruppo di fedeli servitori del Papa che ha scoperto una cospirazione contro il soglio pontificio e contro la Chiesa.

L’esperienza di conoscere i traditori interni alla Chiesa, ha sconvolto padre Robert che, per questo, è diventato eremita. Rachele cerca in padre Robert un confessore che la guidi e le dia speranza, e si ritrova a conoscere la storia segreta del Concilio.

Le intenzioni del Concilio Vaticano II erano straordinarie e ottimiste. Giovanni XXIII voleva portare a compimento il rinnovamento della Chiesa iniziato da Pio IX con il Concilio Vaticano I ma non sapeva che si erano annidati nella Chiesa dei personaggi pronti a sovvertire il magistero petrino. Non si trattava solo di cardinali, teologi, vescovi, che erano sotto l’effetto di quella ideologia “sessantottina” che da lì a poco avrebbe sconvolto il mondo, ma di un gruppo organizzato, che agiva in maniera coordinata e segreta.

I cospiratori avevano le idee chiare: puntavano a ridurre il primato del Pontefice, condizionandolo con  la creazione e l’influenza delle Conferenze Episcopali, miravano a cancellare il ruolo decisivo di Maria  come madre del figlio di Dio, aspiravano a forme di utilizzazione del potere religioso così come facevano gli “ariani”, e sul piano morale, volevano l’autorizzazione all’utilizzazione delle pillole contraccettive, l’abolizione del celibato e l’apertura verso posizioni meno intransigenti nei confronti della difesa della vita e della famiglia naturale.

Alcuni personaggi della Curia compresero il pericolo e denunciarono la deriva protestante, ma il clima esterno ed interno era tale che i cospiratori erano sul punto di riuscire nel loro intento cospiratorio.

Lunedì 9 novembre 1964, il capo dei cospiratori scrisse una lettera che fece distribuire al suo gruppo, in cui spiegava che votando in un certo modo sarebbe stato possibile far passare nella Costituzione Dogmatica una prassi per cui il Papa avrebbe perso la sua prerogativa di Vicario di Cristo.

Nella lettera era scritto che una volta approvato quel passaggio il Pontefice non avrebbe potuto più scrivere le encicliche senza prima aver avuto il permesso dei vescovi e delle conferenze episcopali. Non si sa come e perchè ma quella lettera fu consegnata anche ad uno dei teologi fedeli al Papa. Il romanzo di Rosa Alberoni racconta, che il pontefice Paolo VI “si fece leggere la lettera più volte,  lacrime di rabbia e di sconcerto gli rigarono il volto ‘Mi hanno tradito! Mi hanno tradito! Eppure li credevo miei amici. O mio DIO aiutami!, il fumo di Satana è entrato nella Chiesa!’…”

Da quella che è stata definita da una certa cultura come “la notte oscura di Paolo VI”, il romanzo prende un ritmo forsennato e si trasforma in un “thrilling” che si svolge all’interno delle mura Vaticane nel bel mezzo del Concilio Vaticano II. I cospiratori che si riuniscono segretamente nella chiesetta di un cimitero teutonico,  il pontefice che, in principio, accoglie i cospiratori come suoi amici poi li scopre traditori, la battaglia contro tutto e tutti di una minoranza fedele all’istituzione che all’inizio sembra non avere nessuna possibilità di successo ed infine riesce a impedire che il papato e la Chiesa rovinino nella trappola preparata dai cospiratori, i tentativi ultimi di cambiare anche le parti scritte della Costituzione dogmatica.

Insomma un romanzo intrigante, molto più affascinante, dinamico e vero dei deliri descritti nel Codice da Vinci di  Dan Brown. Un romanzo che può spiegare quanto ancora non si è detto sul Concilio Vaticano II e che potrebbe diventare il best seller del 2010.

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INVITO ALLA LETTURA

Avvertenze al lettore

L’argomento trattato in questo romanzo è frutto di una fantasia folle che scorazza su un avvenimento storico recente. Quindi, essendo finzione non realtà, ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale

“Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si daranno maestri secondo le  loro voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità, per volgersi alle favole

(2 Tm 4,3-4)

Capitolo primo

Mi chiamo Rachele Vidal, sono una giornalista e voglio raccontarvi di un intrigo  che mi è capitato di scoprire. Chi fa il mio mestiere sogna  e si prodiga, talvolta per tutta la vita, di venire in possesso di una notizia bomba.  Ciò che vi racconto è molto di più di una notizia eclatante, è una vicenda inimmaginabile, che non ho cercato, ma è rotolata sul mio cammino come un pallone lanciato da un giovinetto al di là della siepe.

Comincio dal principio.

Stavo facendo   di corsa gli ultimi metri del pontile di Forte dei Marmi. Il marinaio mi aspettava con la mano tesa. Balzai nel traghetto ed entrai nel cabinato. Andai verso la prua. In seconda fila vi erano due posti vuoti. Mi tolsi dalle spalle lo zaino,  lo posai su uno dei sedili vuoti, e mi sedetti su quello accanto alla vetrata.

Erano gli ultimi giorni di settembre e il traghetto era semivuoto. E a me, che vivo quasi sempre in posti affollati, quel traghetto con poche persone a bordo  dava un certo sollievo.

Gli occhi fissi sulle morbide onde del mare, che si rincorrevano  verso la costa rigogliosa e lucente nel sole, mi comunicavano una lieta  serenità. Alle mie spalle delle coppie  parlavano sottovoce in lingue diverse: francese, tedesco, inglese e russo.

Non mi girai per memorizzare i loro volti. Passando avevo notato che erano tutte persone di mezza età in vacanza. Io però non ero in vacanza, mi ero ritagliata quel giorno, come mi capitava qualche volta quando vengo mandata dal mio giornale per seguire un congresso. Anzi, dovrei dire  un “evento” come ormai  si usa definire  qualsiasi manifestazione pubblica, come se si dovesse sempre indicare  la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.

Ci avevo provato più volte a sottolineare l’insensatezza dell’uso improprio di quella parola nelle riunioni di redazione, ma il direttore  ad un certo punto mi aveva detto:

“Rachele, fattene una ragione, non si può svuotare l’oceano con un cucchiaio. Della perfezione della lingua non importa più  a nessuno, e non solo in Italia”.

Io mi limitavo a scuotere la testa sorridendo”

“Ridi,  ridi pure, ma è così”

“Rido di me e dei nostri connazionali che con indifferenza fanno a brandelli la nostra lingua. Non sanno il male che si fanno,  e ci fanno.”

“E’ un brutto segno, lo so.  Ma non possiamo da soli porvi rimedio. La TV la fa da padrona. Rassegniamoci  ad inseguire i gusti dei tempi.”

“Alleluia!”

“Ti mando ad un incontro culturale. Va bene la parola “incontro” al posto di “evento”?”

“Dove avviene l’incontro?”

“In Versilia: l’hanno chiamato…” e cercava fra i suoi fogli accumulati sul tavolo da riunioni, “ecco!, La forza della ragione. C’è anche un teologo francese, vai a curiosare”.

“E perché no. Così mi prendo due o tre giorni di vacanza”

“Uno”

“Due”

“Uno. E fammi capire se ha ancora forza la ragione in quest’ epoca”

E così avevo rimediato un giorno di riposo. Certo, non c’era da esultare, però era sul mare, quindi valeva il doppio.

* * *

Il mio traghetto era  giunto nel Golfo di Porto Venere. Mi  trovai la cittadina di fronte con la sua muraglia di case, accatastate l’una attigua all’altra  come tante scatole alte e strette. Sembravano uscite dalla matita multicolore di un bambino.

Un bambino dal gusto raffinato, feci fra me sorridendo: il rosso sangue di bue si alterna con il grigio, giallo ocra, rosa antico, bianco,  grigio perla, giallo siena, e tutte le persiane  verde brillante. E al di sopra svetta come nume protettore il campanile della chiesa di  San Lorenzo. E il castello

Di là c’è una vista incantevole. L’ultima volta ci sono stata con mio marito… e gli occhi mi si riempirono  di lacrime.

Il battello si avvicinava lento all’attracco.  Mi rimisi sulle spalle lo zaino.

Poggiai i piedi sul molo. I turisti accanto a me iniziarono a far foto.

“Wonderful!”, sentii esclamare una voce femminile.

Sì, è proprio meravigliosa questa baia, convenivo con lei avvicinandomi alla passeggiata con i gazebo dei ristoranti sulla passeggiata che invitavano ad accomodarci.

L’aria era calda. Dei bambini vocianti giocavano a palla.

Mi avviai verso la penisola occupata dal  borgo medioevale. Le mura grigie striate di bianco sorgevano dalla roccia. La chiesetta di San Pietro con il suo piccolo campanile davano alla penisola l’aspetto di una prua speronata di un grande bastimento di pietra proteso verso il mare aperto.

Salii lentamente la scalinata dai gradini larghi e bassi, adatti alla salita di chiunque, vecchi e bambini. Ed anche a me, con questo zaino che mi pesa. Mi sono portata  tutto dietro, anche il registratore con le vecchie cassette, come una ragazzina delle medie timorosa di non avere proprio tutto a portata di mano.

Arrivata sulla soglia della chiesetta, vidi nella penombra un sacerdote  inginocchiato di fronte all’altare.

Mi fermai, non mi andava di turbare la sua preghiera. Girai su me stessa ed uscii.

Andrò anch’io a rivedermi la grotta di Byron.

Ma poi, mentre fissavo  l’isola della Palmaria, cambiai idea. Cercherò di farmi traghettare là, non voglio correre anch’io ad omaggiare la grotta dedicata all’inglese, quasi fosse quella del Redentore. Byron, più che poeta, fu un  dissennato in gara con se stesso  per dimenticare il proprio corpo malforme.

Ritornai verso il molo con passo lesto. Vidi un uomo giovane  che si prendeva cura di una piccola barca: biondo, robusto, a torso nudo, i capelli lunghi legati dietro la nuca. Accanto a lui un’adolescente esile. Gli  rassomigliava. Le stava porgendo la cima di una fune.

“Mi scusi, lei traghetta i turisti alla Palmaria?”

“E’ il mio mestiere diurno”, mi rispose con un lieve sorriso.”Di notte pesco”

“Potrebbe accompagnarmi?”

“Faccio il primo giro fra un’ora”

“Vorrei andare sola. Le pago la corsa. Mi fa questa cortesia?”

“Certo. Salga. Andiamo, figlia”

La ragazzina balzò nella barca con sicurezza e si sedette di fronte a me. Il marinaio mollò gli ormeggi.

Pochi minuti e  poggiavo i piedi sul molo della Palmaria.

“Se vuole, signora, la riporto indietro fra un’ora, quando accompagnerò  qui i turisti. Altrimenti fra due ore e mezzo, quando passerò per riprenderli prima dell’ora di pranzo”

“Vedrò. Intanto le pago la corsa. Quanto le devo”

“Faccia lei”

Infilai nella tasca dei pantaloni la mano, tirai fuori una banconota, e  gliela porsi.

“Va bene così?”

“Sì, grazie” . Prese la banconota e salì in barca

* * *

Mi avviai  per il viottolo che porta al punto frontale alla Chiesa di San Pietro. Il viottolo serpeggiava fra alberelli da frutta e cespugli mediterranei. Ad un tratto, a picco sulla scogliera vidi una sorta di casa matta ricavata da un masso grigio.

Mi avvicinai, lo scrutai mentre frugavo nella memoria. L’avevo già vista in una delle mie visite precedenti:  era una postazione di difesa, antica, con le feritoie aperte sulla baia.

Mi tolsi lo zaino, lo poggiai a terra, tirai fuori la giacca, la piegai e la posi accanto alla fredda postazione. Mi sedetti sopra e appoggiai la schiena contro la pietra antica: era liscia, levigata dalle innumerevoli  burrasche marine. Ne aveva subite tante, quante? Milioni? Miliardi?

Ma cosa te ne importa, tanto tu non hai memoria. Io sì, è questo il miracolo e l’enigma del mio far parte degli esseri  umani.

Non so come, mi ritrovai a pensare all’inquietante sacerdote francese che mi aveva affiancata la sera prima nell’incontro culturale. Durante il dibattito aveva pronunciato frasi ambigue a tal punto da risultare incomprensibili. Parole camuffate per non dire ciò che avrebbe voluto dire.  Era stato presentato dal conduttore dell’incontro come un grande teologo, un professore della Sorbona, autore di numerosi libri, quindi avrebbe dovuto saper comunicare il suo pensiero con semplicità.

Sentendolo girare a vuoto, come mi accadeva spesso negli ultimi anni,  mi ero chiesta mentalmente e più volte: “Perché sono qui?”.

Dopo il vaniloquio del prete, venne il turno del filosofo che, da abile affabulatore, brandiva l’occasione per raccontare di sé. Un vero show.

Il conduttore faceva il suo mestiere, ed io, imbrigliati il desiderio di fuga e la voglia di urlare ad entrambi il vuoto dei loro interventi, avevo cercato di riprendere il tema dell’incontro.  Il pubblico aveva seguito con l’aria assente. E non aveva torto: era l’unico che, ascoltando, usava la ragione e non ne veniva a capo in quel labirinto di monologhi sgangherati  e slegati  dal tema annunciato.

* * *

Per cena mi ero trovata a tavola seduta accanto al sacerdote, sì, proprio lui che più di tutti mi aveva messa  di  pessimo umore. Ma, come vuole la buona educazione, ormai  ero là e dovevo recitare la mia parte di persona civile. Portai lo sguardo sul mare,  lo spettacolo del  tramonto  mi stava addolcendo il cuore. Il sole si tuffava dietro il promontorio di Porto Venere, infuocando l’orizzonte.

Era stato  allora che mi era venuto il desiderio di tornare a Porto Venere.

Dopo l’aperitivo il servizio della cena era lento e lo spazio per conversare tanto. Non ricordo bene come, mentre ero immersa nei miei pensieri, con il tramonto negli occhi, all’antipasto sentii il sacerdote  dire che il diavolo non esiste.

“Il diavolo  è una nostra invenzione”, stava sentenziando.

A quel punto mi intromisi.

“Allora, padre, gli estensori della Bibbia sono dei mitomani? E anche Gesù, che chiama Satana, menzognero, falsario, omicida sin dal principio,  parlava a vanvera?”

E il prete, magro, il profilo affilato, le mani bianche, dita affusolate, gestualità misurata, infilato nel suo abito nero con il collarino bianco non si era mosso nella sedia, né l’espressione del volto era cambiata al mio disappunto.

“Vai a sapere  cosa ha detto Gesù”

“E’ scritto nei Vangeli, lo sappiamo”

“Di Vangeli ce ne sono tanti, venirne a capo è difficile…”

“Io mi riferisco ai quattro contenuti nella Bibbia, non a quelli apocrifi”

“Sono stati scelti quelli…”

“…perché sono stati scritti da due degli apostoli di Gesù e  due dei seguaci di San Pietro, che ha raccontato del suo vissuto accanto al maestro, e loro hanno scritto. Pietro, lei mi insegna, era un pescatore, non un letterato come Matteo e Giovanni, quindi raccontava non scriveva”.

Anch’io cercavo a fatica di usare un tono pacato e distaccato simile al suo, nascondendo lo stupore per quelle affermazioni che uscivano dalla bocca di un sacerdote cattolico.

“Ma tutti hanno scritto decenni dopo. Ed hanno scritto quello che pensavano loro dei discorsi di Gesù, come facciamo a sapere se è tutto vero ciò che hanno scritto. Sono opinioni personali”

“Insomma, lei vuol dire che gli apostoli hanno agito come Platone con Socrate”

“Nessuno mette in dubbio che Gesù fosse un uomo saggio”

“Quindi Gesù è  un uomo  come Socrate.  E la Madonna?”

“Una donna che ha partorito Gesù, ma non aveva capito niente di suo figlio. Tanto è vero che anche lei era sotto la croce, insieme a tutti gli altri, ad insultarlo”

“Allora se Gesù è stato solo un uomo saggio, una sorta di gemello di Socrate, la Madonna una madre snaturata, è ovvio dedurre che il diavolo non esiste”

“E’ una nostra invenzione”

“Lei saprà sicuramente  che un poeta francese ha scritto: l’astuzia più grande del diavolo è quella di farci credere che lui non esiste. Sentendola parlare mi sembra che Satana sia riuscito nel suo intento”

“Ma come fa una persona colta come lei a credere a simili fandonie?”, si era girato a guardarmi con un sorriso di commiserazione sulle labbra.

“Sono in buona compagnia: Paolo VI  prima e Benedetto XVI ora, ci hanno ricordato che il diavolo esiste, è la nostra epoca  che fa di tutto per negarlo”

Nel sentir nominare Benedetto XVI, per la prima volta,  il prete francese si era scomposto. Il corpo si era irrigidito, con le mani aveva afferrato i braccioli della poltrona facendo un piccolo balzo mentre  sibilava tagliente:

“Ma è quello che pensa lui! E’ una sua opinione! Lui non è il depositario della verità! E poi, nonostante ciò, in giro si dice che non sia  un grande teologo”

“Il papa si attiene al Vangelo, alla tradizione, ai Padri della Chiesa, ai testi sacri, non prende i patriarchi, i profeti, Cristo, la Madonna, i Santi tutti e li scaraventa nel mare. Capisco che il mare questa sera è di un colore bellissimo, tuttavia non merita un tale bottino”

Glielo avevo detto con un amaro sorriso sulle labbra.

Il conduttore che era seduto alla mia destra ed aveva seguito in silenzio il nostro gelido  battibecco, cercò di trascinarci fuori dal guado.

“Padre, ci racconti di Sartre, di Simon sua moglie, prima mi ha confidato di averli frequentati per molti anni”

E lui, come se niente fosse, assunse un   tono di voce gioviale, il viso gli si era illuminato, persino un sorriso compiaciuto era apparso sulle labbra sottili.

“Simon era una donna  arcigna, ma lui, oh lui era un grande uomo!”

* * *

Dopo cena, arrivata in albergo, mi arrovellavo. Perché non gli ho strappato il collarino a quel  prete francese? Perché non ho smascherato quel cappellano del diavolo?  Non è giunta l’ora di abbandonare le buone maniere e usare la franchezza dicendo pane al pane?

Le parole di quell’essere arrogante che si nasconde nella tonaca, e soprattutto con quella aria da furetto approfittava  della millenaria tradizione di riguardo dovuta ai sacerdoti, mi gonfiavano il cuore di collera, impedendomi di prender sonno sino alle quattro del mattino.

Anche in quel momento  che ero là, con la schiena contro la pietra grigia della postazione di difesa, il ricordo vivo della sera precedente mi inquinava il piacere di ammirare il paesaggio e di rilassarmi in quel giorno di riposo strappato al mio direttore.

C’è sempre una buona ragione per auto-censurarci, quando scriviamo, pensavo inquieta.

Durante la notte avevo rimediato un articolo, elogiando il buon senso della gente che, nonostante il martellamento quotidiano dei media e dei cattivi maestri, non riesce a soffocare, perciò continua a tessere la convivenza civile. Sui relatori nessun commento veritiero, frasi di rito.

Anch’io sono una spacciatrice di menzogne come quel prete apostata, mi dicevo accendendomi nervosamente una sigaretta.

“Non essere troppo severa con te stessa, Rachele! Non spacci menzogne, cerchi soltanto di sopravvivere. E non ti accontenti di cercare l’infinito nel paesaggio che hai di fronte, hai ancora la forza di cercare la verità e speri di trovare il riflesso dell’amore di Dio negli esseri umani che incontri”

Mi voltai di scatto: il capitano Ascanio Sforza era là di fronte a me, e mi osservava con  un sorriso dolce sulle labbra.

Guardai lui e poi gettai una rapida occhiata alla baia, desiderosa di scorgere  il suo antico vascello. E’ così che mi era apparso l’ultima volta, mentre ero su un’altra isola. No,  del vascello nessuna traccia. Ma… da dove è sbucato?

Già, che domanda sciocca!  Non ho mai capito se fosse un uomo o una presenza misteriosa che si materializza ogni tanto sul mio cammino. E legge i miei pensieri come soltanto Dio può.

Buttai la sigaretta e mi alzai.

“Capitano! Sono davvero felice di rivederla!”

“Sei pronta per affrontare un altro scoglio?”

“Dipende da quale degli scogli, capitano. Ne vedo talmente tanti, un vero labirinto. Ci vorrebbe Arianna con il suo filo  per guidarmi verso casa.”

Il capitano si accovacciò su un sasso.

“Si rimetta a sedere”

Meccanicamente ubbidii.

“Rachele, l’essenziale è  individuare il vulcano che ha eruttato i macigni, per trovare la forza di navigare nel labirinto di scogli”

“Allora, mi aiuti ad individuare la montagna eruttiva …la prego”

“Quel sacerdote…”

“…è un cappellano del diavolo! un traditore! il segno peggiore dei nostri tempi!”, lo interruppi furente.

“In ogni tempo Satana ha trovato i suoi cappellani. Oggi sono solo più sfrontati, cioè adeguati al clima sociale”, commentò  fissando l’orizzonte.

Restai in silenzio, di certo avrebbe aggiunto qualcosa  di inatteso, con lui  non dovevo stupirmi di niente.

“La prepotenza di quel sacerdote è l’effetto di un terremoto avvenuto in Vaticano qualche tempo fa”

“Quale?”

“Ricorderai della notte buia di Paolo VI?”

“Sì, qualcosa… la stampa l’aveva definita La notte oscura  di Paolo VI

”Ti rivelo l’inizio di quella notte. Ascolta e memorizza.

Il papa dopo una frugale cena aveva raggiunto la sua cappella privata. Terminate  le preghiere  si dirigeva pensieroso  verso la sua camera. Ma ad un tratto alle sue spalle sentì il passo frettoloso e la voce affannata  di don Riccardo, il suo aiutante di camera.

“Santità!  Santità!”

Paolo VI  si girò.

“Che c’è?”

“Ho una lettera per lei, Santità”, gli rispose don Riccardo ansimante.

“Dal tuo affanno deduco che ne conosci il contenuto, e non deve essere niente di buono”, fece il Papa avviandosi verso il suo studio.

Don  Riccardo lo seguiva scuotendo il capo.

Paolo VI prese posto alla sua scrivania.

“Mi dia la lettera, don  Riccardo. E non sia spaventato! Ne verremo a capo”.
“E’ una lettera riservata”, tenne a sottolineare don Riccardo mentre gliela porgeva. “Me l’ha consegnata padre Bastian che l’ha ricevuta di nascosto  da padre Robert. Padre Bastian mi ha detto che sono affari urgenti e gravissimi”

“Uno scandalo sessuale?”

“No,  peggio, Santità”

Il papa aggrottò la fronte.

“E cosa c’è di peggiore di uno scandalo sessuale nella chiesa di Cristo? Solo un  omicidio,  ma non riesco a  concepire un tale atto in questo luogo.”

“Tradimento, Santità”

Paolo VI tirò fuori il foglio dalla busta, diede uno sguardo rapido ed esclamò:

“E’ in olandese, non comprendo con chiarezza ciò che è scritto. Mi chiami padre Bastian”, disse senza sollevare lo sguardo dal foglio.

“Però, Santità, anche lui non  conosce  l’olandese”, osservò  don Riccardo.”Ci sarebbe padre Robert..”

“E dove si trova padre Robert?”

“E’ nell’anticamera insieme a padre Bastian”

“E allora falli entrare subito.”

Pochi secondi e padre Bastian e padre Robert  entravano con passo  lesto.
“Santità”

Palo VI alzò lo sguardo su di loro. Notò che i due gesuiti avevano l’aria allarmata.

“Mi dicono che lei conosce bene l’olandese”, disse rivolto padre Robert.

“E’ vero, Santità”

“Allora legga, per favore, e ad alta voce”, gli disse    porgendogli il foglio, Padre Robert lesse senza indugi.

Mentre il sacerdote leggeva il volto del pontefice diveniva terreo, le mascelle serrate, e le labbra disegnavano una smorfia amara.

“Mi hanno tradito! mi hanno tradito!!”, e benché fragile e all’apparenza poco energico, picchiò i pugni sul tavolo,  si alzò, aggirò la scrivania e comincio’ ad andare avanti e indietro sotto lo sguardo smarrito e addolorato dei suoi fedeli collaboratori.

“Mi hanno tradito, ed ora come faccio a fermarli?”

Poi  si diresse verso la sua cappella. I sacerdoti, con passo felpato, lo seguivano a distanza. Temevano per la sua salute, non volevano lasciarlo solo in quell’ora così tremenda.

Videro che il pontefice era caduto in ginocchio davanti al crocifisso, poi si era lasciato andare bocconi  sul pavimento, sui cui cominciò a  battere i pugni, e con voce rotta dal pianto mormorava:

“Cosa devo fare? dimmelo Tu, mio Dio!  Aiutami! Il grande Tentatore è entrato nella tua Chiesa. Tu solo puoi scacciarlo, Tu solo puoi guidarmi! Dimmi cosa devo fare! Cosa ti aspetti da me, cosa!? Sono fragile, e loro sono tanti”

Alla dolorosa invocazione del Pontefice i volti dei tre sacerdoti si rigarono di lacrime.”

A questo punto il capitano  Ascanio Sforza   tacque.

Io non fiatavo, aspettavo  che riprendesse il racconto, ma lui  teneva lo sguardo fisso sulla baia.

“E allora? Cosa c’era scritto nella lettera? E cosa accadde dopo? Capitano, la prego, continui”

“Può farlo il testimone di quell’evento meglio di me.”

“E come faccio a trovarlo? Di un  tradimento avvenuto in Vaticano  nessuno sarà disposto a parlarne. E poi sono trascorsi tanti anni”

“Troppi. Dei partecipanti al Concilio Vaticano II, sono ancora su questa terra solo alcuni, fra cui l’ultimo pontefice  e qualche collaboratore di Paolo VI. Tu sei disposta ad esplorare il luogo  che ha eruttato i macigni? Sei disposta a far conoscere la congiura ordita a danno del successore di Pietro?”

Mi alzai in piedi.

“Certo! Ma come faccio a scovare ciò che è rimasto nascosto per decenni? Non posso certo andare dal papa e dirgli:  ‘Santità, mi racconti della congiura avvenuta durante il  Concilio Vaticano II’. Perché è questo ciò che lei si aspetta da me?”

“C’è ancora qualche collaboratore superstite che può rivelargli la congiura ”, mi rispose laconico  Ascanio Sforza.

“Ma io non li conosco, capitano, lei mi chiede l’impossibile”

“Talvolta l’impossibile diventa possibile quando è giunta l’ora. Dipende da te, Rachele”

“E sia! Ma qualche indizio potrebbe darmelo”

Il capitano si era alzato in piedi e mi guardava sorridente.

“Ce l’hai già l’indizio. Il gesuita, anzi il teologo gesuita che ha visto prima nella chiesetta ne sa molto. Cercalo, conducilo  a parlare. Buona fortuna, Rachele!”

Si mise il berretto e si avviò per il viottolo.
“Capitano, la rivedrò? “

“Te la caverai da sola. E non avere paura!”

 

Capitolo Secondo
Balzai sul molo di Porto Venere e mi scostai per lasciare lo spazio ai  turisti che stavano scendendo.  Armeggiai attorno allo zaino per mascherare il mio attardarmi.
Ma cosa pretende da me il capitano?! Perché mi bracca? Ho già il mio fardello di  problemi, e lui  me ne aggiunge un altro. Farmi rivelare la congiura da un gesuita sconosciuto e spiattellarla al mondo intero non è  una bazzecola.

Mi sentivo in trappola. Potrei rifiutare, rinunciare a fare ciò che mi suggerisce. Però, poi, per essere coerente, non dovrei più lamentarmi quando sono costretta ad imbastire articoli politicamente corretti. Lui è venuto ad offrirmi l’occasione di scrivere ciò che scopro, di poter scrivere la verità, quella verità che vado tanto sospirando per non sentirmi  una camuffatrice della realtà. Ed io mi lamento dell’occasione che mi offre, come se non sapessi che, di questi tempi, seguire la propria coscienza ha un prezzo molto elevato.

La verità o lasciarsi trascinare dall’onda di conformismo? A me la scelta.
Alzai lo sguardo sul marinaio che mi aveva traghettata da una sponda all’altra: stava assicurando la sua barca a motore agli ormeggi. Svolto il suo compito, mi si avvicinò.

“Qualcosa non va, signora?”

“No, tutto bene, grazie. Vorrei che mi suggerisse un ristorante dove servono il pesce pescato qui”

“Quello di fronte a noi. Il pesce è fresco, e poi offre lo spettacolo della Palmaria a gratis”, mi rispose sorridendo.

“Seguirò la sua indicazione. Mi dica,  nel pomeriggio  riporta di nuovo i turisti dall’altra parte?”

“Certo, come tutti i giorni, alle sedici. E torno e riprenderli alle diciotto e trenta. Intende tornarci?”

“Ho una mezza idea. E… mi scusi se approfitto della sua gentilezza, avrei bisogno del  suo aiuto per rintracciare una persona che ho visto in chiesa”
“Mi dica, se posso, volentieri”

“Stamattina ho intravisto, in chiesa, un sacerdote immerso nella preghiera a tal punto da non accorgersi di quel che gli accadeva attorno. Mi interesserebbe incontrarlo”

“E’ padre Robert, vive alla Palmaria. Nella chiesa di San Pietro ci viene una volta o  due la settimana.”

Padre Robert! Non riuscivo a crederci. Doveva essere proprio quel padre Robert,  che aveva letto al Papa il misterioso biglietto in olandese, e di cui mi aveva appena parlato il mio enigmatico capitano.

Cercai di mascherare lo stupore al marinaio che mi era di fronte.

“Vive alla Palmaria? Ma… sull’isola è ancora aperto il monastero?”

“No, lui vive in una casupola, più una grotta che una casa. E’ un eremita, è difficile avvicinarlo”.

“Ma lei, qualche volta, gli avrà parlato”

“Quando non ne vengo a capo dei miei problemi vado a cercarlo, e lui mi indica la via. Di solito sono io che gli porto qualcosa da mangiare o una coperta d’inverno. Glieli lascio vicino alla postazione di difesa. Però lo vedo di rado,  talvolta sbuca dai cespugli e mi sorride, altre volte no.”

“Ho bisogno di conforto anch’io, in questo periodo non ne vengo a capo della mia vita. Lei potrebbe aiutarmi ad incontrarlo?”

Il marinaio mi osservò pensieroso poi disse risoluto:

“Aspetti qui. Torno subito”. E si avviò con passo lesto verso il ristorante che mi aveva  appena  indicato.

Poco dopo uscì portando con sé un sacchetto di plastica abbastanza gonfio.

“E’ disposta a saltare il pranzo?”, mi domandò avvicinandosi.

“Per padre Robert anche la cena”.

“E allora salga”, e mi disse indicandomi  la sua barca.

Mi affrettai ad ubbidire. Mise in moto e ripartì veloce verso la Palmaria.

Giunti dall’altra parte, con il sacchetto fra le mani, si inoltrò per il viottolo che avevo percorso poco prima. Io lo tallonavo.

“Grazie, per quel che sta facendo signor…. com’è il suo nome?

“Renato”

“Le sono molto riconoscente, signor Renato.”

“Aspetti a ringraziarmi. Non è detto che oggi  sia disposto ad uscire dal suo antro“

“Io spero che lo faccia”, mi limitai a dire. Poi aggiunsi: “Il mio nome è Rachele”

“E’ un nome inusuale per i nostri tempi, mi piace”

Raggiunta la postazione, Renato poggiò il sacchetto contro il masso grigio dicendomi:

“Non si muova di  qui. Vedo di scovarlo. Gli dirò che  ha urgente bisogno di confessarsi. E’ l’unico modo per smuoverlo”.

E sparì nella vegetazione.

* * *

Mi sedetti poco distante dal sacchetto. Intuivo che dentro c’era del cibo e delle bottiglie d’acqua.

Mi trovai a pregare, chiedevo alla Madonna, al mio angelo custode di intercedere presso l’eremita. Poi mi rivolsi con la mente  al mio capitano misterioso: visto che leggi i miei pensieri, sai che adesso sono in difficoltà,  quindi sai anche cosa fare.

Gli parlavo come facevo da bambina con il mio angelo custode. Me l’aveva insegnato mia madre. Mi ripeteva:

– Tu chiamalo, digli di non fare lo sfaticato, di darsi da fare, vedrai che ti aiuta. E’ il suo mestiere. Però, dopo, ricordati di ringraziarlo.

Io fiduciosa gli parlavo, sentivo che mi aiutava, ed  esultavo. Presa dalla gioia mi dimenticavo di ringraziarlo. Poi,  quando me ne ricordavo, gli dicevo: “Perdono, perdono, angioletto mio! Ti ringrazio adesso per l’aiuto. Anzi ti ringrazio anche per quello che farai la prossima volta e per tutte le volte che mi aiuterai, così non mi terrai il broncio. Grazie, grazie! Un milione di  volte grazie!”  Rimediavo così alla mia distrazione.

Sconfinata fiducia dell’infanzia, invadimi anche adesso!, dicevo fra me sorridendo.

E se… e se il capitano fosse il mio angelo custode?  Che idea balzana. Però, se mi riappare glielo chiederò con lo stesso spirito dell’infanzia. Forse riderà di me.  Pazienza!

Il marinaio e l’eremita apparvero fra i cespugli e gli alberelli.

Mi alzai in piedi.

Il  sacerdote veniva avanti osservandomi con una espressione dolce. La barba lunga e bianca poggiata sul petto, le ciglia folte, capelli corti bianchi con qualche ciuffo rossastro, il corpo magro, coperto  da una sorta di saio  usurato, avrebbe dovuto dargli un’aria sofferente. E invece, aveva  il passo sicuro, energico, tipico di un uomo  forgiato dalla fatica.

“Ecco, padre, questa è la signora che ha tanto bisogno del suo conforto. Ha fatto un lungo viaggio per incontrarla”, disse Renato appena giunti davanti a me.

“Benvenuta, figliola!”

“La ringrazio, padre Robert, di aver accolto la mia invocazione”, gli dissi porgendogli la mano, e mi chinavo per baciargliela.

Ma lui la ritrasse.

“No, figliola, è mio compito soccorrere le anime bisognose di conforto.”
“Grazie, mi chiamo Rachele Vidal”

“Dal cognome direi che viene da Israele

“Da parte di padre, mia madre era italiana”

“Vi lascio, padre… le ho rimediato un pasto”

“Lo condividerò con Rachele. A dopo, Renato!”

* * *

Renato tornò alla sua barca.

“Si sieda, Rachele. Abbiamo dei bellissimi sassi regalateci dal Signore su cui  disporre il cibo”

“Accetto con gioia di condividerlo  con lei”

Padre Robert si accovacciò su un sasso di fronte a me, tirò fuori uno strofinaccio pulito e piegato e  lo distese sulla pietra grigia. Poi estrasse le bottiglie d’acqua e dei sacchetti di carta. Con un volto luminoso  disse:

“Acqua, focaccine e pesce abbrustolito, e anche due pesche. E’ un pasto da re!”

“E’ un  pasto che si addice al paesaggio che abbiamo la fortuna di ammirare”

“E di ringraziare il Signore che c’è l’ha donato”, aggiunse padre Robert.

“Questo sempre. Tutto proviene da Dio, anche la bontà di Renato di averci procurato il cibo”

“Renato è una persona semplice e perbene. Mi ha adottato”, aggiunse mentre spezzava il pane come se fosse un’ostia consacrata. Me ne porse metà, e poi mi passò anche un pezzo di pesce.

Mangiavamo nel silenzio. Il cielo era terso, l’aria calda, i rumori della baia non giungevano fino a noi. Ed io mi ero dimenticata dello scopo di quell’incontro. Era così bello condividere il frugale pasto con quel sacerdote, in quel luogo, che mi sembrava di sognare.

* * *

“E’ un bel giorno per me”, mi disse ad un tratto padre Robert, “mi ricorda alcune colazioni  consumate con mia madre sulla spiaggia di Brighton, quando ero ragazzo. Il paesaggio non rassomiglia per nulla a questo, i sassi su cui sedevamo erano freddi, il mare spesso livido, talvolta era gelido  anche in agosto. Però ero così felice di stare con mia madre a sgranocchiare fish and cheeps su quella spiaggia. E poi chiudevamo con  dolce fatto con le sue mani”

“E’ un onore per me portarle alla mente i ricordi dell’adolescenza”

“Lei rassomiglia a  mia madre.”

Non sapevo che dire di quel paragone inatteso, mi limitai a sorridergli.  Temevo di fare considerazioni fuori luogo. Perciò ripresi a masticare il cibo guardando lontano. Con la coda dell’occhio vidi che  anche lui mangiava assorto.

“Io non  sono nato a  Brighton”, riprese a dire quasi avesse colto il mio timore. “I miei mi avevano mandato là, in collegio, perché da piccolo soffrivo di bronchite. Le ciminiere di Londra non mi facevano bene, dicevano i medici. I miei genitori e mia sorella vivevano a Londra, mio padre era molto occupato  con l’esercito. Lo incontravo un paio di volte all’anno, per Natale ed alcune  settimane  durante l’estate. Però  mia madre di tanto in tanto veniva a trovarmi. Ed io sceglievo sempre un posto sul mare per pranzare  insieme”.

“Anche a me piace il mare, mi da un senso di  libertà, mi invita ad esplorare luoghi misteriosi e lontani. E poi il suo ritmo mi suggerisce i battiti del cuore. Forse è il cuore del pianeta, e forse allude anche al moto dell’universo stabilito al principio”

“Tutto è stabilito al principio”, interloquì padre Robert dopo una breve pausa. “Sa che non c’è nessuna differenza fra noi e Adamo?”

Dopo una breve riflessione condivisi la sua idea.

“Non ci avevo mai pensato, però va proprio così nella vita. Come Adamo dobbiamo apprendere tutto, la lingua, la capacità di lavorare, di conoscere l’ambiente in cui nasciamo. Come il primo uomo ciascuno deve cominciare da capo. Però abbiamo un vantaggio: noi  veniamo alla luce in una civiltà già costruita, e matura”

“Io ho cominciato a capirlo quando ero in collegio. Mia madre quando veniva a trovarmi restava con me poche ore. Nel pomeriggio  doveva tornare a Londra in treno, ed io rientravo alla mia prigione. Così vivevo allora il collegio. Poi, con il tempo,  ho compreso quanto mi fosse stato utile quell’esperienza e la disciplina che ci veniva  imposta. Ci avevano abituati a memorizzare ogni giorno un brano dei classici greci e uno dei  latini. Si è rivelato un esercizio formidabile per la memoria, quando leggo un testo importante memorizzo non solo i vari passaggi, ma persino le pagine dei passaggi che mi interessano. Ho benedetto più volte i miei insegnanti e la severità di mio padre nel costringermi a restare in collegio. Alla vigilanza ci si addestra da bambini, e anche all’autodisciplina e alla capacità di stare da soli con se stessi, di ritrovarsi. E’ quando ci ritroviamo che riusciamo a vagliare le nostre azioni con la coscienza. Ci vediamo con l’occhio della morale,  che è il divino che è in noi”

 * * *

L’ascoltavo rapita. Il tono di voce era pacato, armonico, lodava l’educazione ricevuta con severità, non solo con le parole ma con il calore della voce. Ero ammirata, pur temendo  in cuor mio il momento in cui mi avrebbe chiesto dei miei affanni, dei miei peccati, che pur ne avevo, ma non  tanto gravosi da andare a scovare un eremita su una minuscola isola.

Forse lo farà quando avremo finito di mangiare, mi dissi.

Lo guardai: masticava piano, non era concentrato sul sapore del cibo. A quel proposito non aveva fatto alcun commento. Ed io lo imitavo, però assaporavo tutto: le pizzette calde erano squisite, e il pesce era fresco. Forse l’aveva pescato Renato, la notte precedente.

Visto che continuava a tacere, mi convinsi che dovevo  raccontare qualcosa di me. Non potevo certo chiedergli a bruciapelo:

– Padre Robert, so che ha partecipato al Concilio Vaticano II, mi dica come è andata?

Che avesse partecipato, anzi vissuto dall’interno la congiura ordita al Concilio contro il papa, dovevo basarmi sulla parola del mio misterioso capitano. E non avevo motivo di dubitarne: l’esperienza mi aveva testimoniato la veridicità delle sue affermazioni, quindi non potevo avere dubbi per sfuggire al compito che avevo accettato. Però come arrivare a farmi rivelare un tale segreto, tenuto nascosto per quasi quarant’anni?

Il capitano mi aveva detto: “Lo convinca”… no, no, non ha usato il verbo convincere, ma condurre. Mi ha detto, “lo conduca a farselo raccontare”.  Condurre vuol dire portare con sé, sedurre.

Gli diedi una rapida occhiata.

Non è un gioco condurre un uomo come lui a svelarmi un tale segreto. Perché aveva scelto la vita da eremita? Forse quella esperienza l’aveva sconvolto a tal punto da portarlo al rifiuto del mondo. Deve essere tremendo il segreto che custodisce. Già, altrimenti perché mai il mio misterioso capitano si sarebbe materializzato proprio qui, in questo punto preciso dell’isola?

Padre Robert, da conoscitore dell’animo umano, aveva cominciato a  mettere in comune la sua vita con me  per stabilire un rapporto confidenziale, e quindi facilitarmi a confessare chissà quale tremendo peccato che io faticavo a rivelargli. Non poteva sapere che in realtà ero lì per raccogliere una sua  confessione. Un vero paradosso.

Però, dicevo fra me,  il capitano Ascanio mi ha incitato a non avere paura, quindi vado avanti seguendo il mio intuito femminile.

Per proseguire nella conversazione  devo imitarlo, devo parlargli di me, della mia infanzia. L’ho fatto tante volte nelle interviste, spesso esageravo alcuni episodi della mia vita per portare il personaggio a rilassarsi, e a rivelare ciò che mi interessava. Con padre Robert non posso esagerare. Devo essere sincera, come lo è stato lui con me.

“Io ho una figlia, sposata ad un  israeliano”, cominciai a dirgli. “Mio marito è morto una decina di anni fa. Ci venivamo spesso a Porto Venere, eravamo affascinati.  Però,  da quando sono rimasta sola, e il mio lavoro me lo consente, vado soprattutto a trovare mia figlia che vive a Tel Aviv. E l’unica persona che  mi mette in ansia. Lei sa come sono fatte le mamme, s’inventano paure anche quando non esistono pericoli, anche se ad Israele puoi imbatterti in un agguato appena volti l’angolo di casa. Forse  anche i miei genitori erano in ansia per me, ma lo mascheravano bene. Anzi, erano molto divertenti quando si punzecchiavano sulla diversità della loro religione. E’ molto difficile mettere d’accordo un ebreo con un cattolico sui punti essenziali della fede”

“Perché noi cattolici siamo cocciuti e loro sono ostinati. Il Cristianesimo è figlio del Giudaismo, ma loro non riconoscono Cristo, mentre noi riteniamo sacri i patriarchi, i profeti dell’Antico Testamento. Non solo, ma quando parlano di Cristo   talvolta ci feriscono. E noi ci impuntiamo come muli”, concluse sorridendo.

“Mi sembra di sentire i miei genitori”, osservai divertita. “Mia madre lo chiamava “giudeo ostinato”, e mio padre “cattolica cocciuta”. Però si amavano, per questo si limitavano a stuzzicarsi con garbo, pur  restando  ciascuno  sulla propria riva”

“E sua madre come ha fatto ad averla vinta? Lei è cattolica, visto che ha chiesto di confessarsi?”

“Sì, sì,  sono cattolica”, mi affrettai a dire, temendo la domanda diretta del confessore. “I miei hanno raggiunto un accordo suppongo. Comunque io ne ho tratto solo vantaggi: conosco abbastanza bene la Bibbia e anche i  riti, sia giudaici che  cattolici. Quando ho deciso di farmi battezzare, ero stata affascinata dal Vangelo, per il suo messaggio di misericordia, di perdono, di fratellanza, di amore anche per il nemico. E’ difficile da mettere in pratica, però l’incitamento – Ama il tuo nemico – c’è.”

“C’è ed è un vero rompicapo”, interloquì padre Robert.

“Il rompicapo per mio padre era la mia conversione. Seppure se l’aspettasse. “Sono le madri che plasmano i figli”,  si  ripeteva per consolarsi.  Ho avuto una bella infanzia!, conclusi radiosa.

Ed ero sincera. Poi aggiunsi:

“Però sull’autocontrollo ho  imparato poco da loro, io sono ansiosa per carattere. Con la morte di mio marito sono peggiorata, lo confesso”

“Quando non si ha nessuno con cui condividere il fardello della responsabilità, si diventa ansiosi, commentò padre Robert.  “Ero apprensivo anch’io quando mia sorella venne a vivere in Italia. I nostri genitori erano morti in un incidente, così a vigilare su Mary Anne ero rimasto soltanto io. E mi sentivo responsabile delle sue scelte. Quando siamo rimasti soli, mia sorella era una adolescente ed io avevo solo venti anni. Ci sentivamo entrambi smarriti.  Però, poi, ho constatato che la vita  con una mano toglie, con l’altra dona. Il cardinale White, amico di famiglia, ci prese sotto le sue ali. E’ grazie a lui che scelsi di seguire la mia vocazione al sacerdozio”, disse annuendo mentre continuava a fissare la chiesa di San Pietro di fronte a noi.

* * *

Io tacevo sperando che continuasse a raccontarmi di sé. Infatti riprese subito dopo.

“I primi propositi mi sorsero a Brighton, soprattutto la sera quando dalla finestra del  mio collegio  osservavo le strade della città lastricate e bianche, con il vento gelido dell’Atlantico che le  frustava emettendo  sibili  inquietanti. Mi evocavano cattivi pensieri e la paura di morire. Pensavo alla morte come fine di tutto. E  così  la fatica che stavo facendo mi sembrava inutile, priva di senso, e per di più mio padre e i medici mi costringevano a stare lontano da casa. Mi mancava mia sorella, mia madre. Mio padre no, mio padre, per me allora, era colui che mi aveva mandato in esilio. Finché, un giorno,  un professore riuscì a trasmettermi la sicurezza  che noi siamo eterni, che siamo destinati all’eternità. Insomma capii che non si può vivere senza credere in Dio. Senza Dio l’essere umano è preso dal panico, soprattutto nei momenti difficili della vita. Poi, stando accanto a Withe , intuii nel profondo  il mio compito: dedicare la mia vita  al Signore della  vita”.

“In qualche modo è quello che era accaduto a me quando decisi di farmi battezzare. Leggendo il Nuovo Testamento mi convinsi che Cristo è Amore, come dice l’evangelista Giovanni, e per questo è venuto a sperimentare il vivere da essere umano, e a salvarci dalla schiavitù della paura della morte. Cristo è risorto, quindi anche noi risorgeremo. Dobbiamo svolgere il compito che ci è stato assegnato o che abbiamo scelto per dare senso al nostro viaggio terreno”.

“E’ una equazione elementare, comprenderla dal di dentro è più complicato. Talvolta si viene afferrati dal dubbio, così ciascuno deve trovare la propria impronta indelebile per esserne certo”.

“Per trovarla, padre, io ho scoperto che occorre saper guardare attorno a sé, rintracciare i segni che vengono disseminati sul nostro cammino. Almeno questa è la mia esperienza. E la sua?”

“Il percorso della mia vita è costellato di segni tangibili, eppure, un tempo la mia fede fu messa a dura prova ”

* * *

Aveva pronunciato l’ultima frase con voce tremante. Abbassai lo sguardo sui sassi di fronte a me, pietrificata. Non sapevo come incalzarlo. Il mio intuito mi diceva che in quel momento qualsiasi cosa avessi detto, avrebbe troncato la messa in comune del nostro vissuto. Lo stavamo facendo con semplicità, come dei vecchi amici. Non potevo rovinare tutto.

Padre Robert, prese un sorso d’acqua e poi continuò.

“Allora andai ad urlare nel deserto la mia angoscia e i mille perché che mi assillavano. Non è una metafora,  andai nel  deserto per eccellenza, quello calpestato da Giovanbattista e da Gesù. E là compresi che vivere  dove non c’è altro che silenzio e solitudine, è vivere nell’infinito, nello spazio e il tempo dell’infinito. Soltanto in quel luogo, che è un non luogo, ma un punto qualsiasi dell’infinito, si riesce a percepire e quindi a conoscere la realtà degli umani dall’interno. Perché da quella dimensione non si viene abbagliati o deviati da ciò che appare, si coglie quello che è, cioè l’essenza del creato che  diviene nel tempo, lasciando una scia di bagliori. Nella vita di ogni giorno veniamo accecati  dai bagliori che velano la nostra vista sino a costruirne una benda spessa e oscura. Solo quando quella benda  ci cade dagli occhi, riusciamo a vedere le persone per quel che sono, nel bene e nel male, riusciamo a penetrare la convivenza umana e le lotte che si scatenano nel suo interno.”

“Credo di capire”, interloquii pensierosa. “Anche il silenzio che regna qui è carico di messaggi”

“L’ho scoperto dopo, quando ci sono approdato. E’ qui che ho trovato la pace nell’anima, non nel mitico deserto. Là urlavo e comprendevo, e più comprendevo più mi ribellavo. Continuai ad urlare finché la sabbia e la sete mi tolsero il fiato. I miei polmoni non funzionavano quasi più, quando riuscii a raggiungere le mura di Gerusalemme. Qualcuno mi raccolse, e quando presi coscienza mi ritrovai di fronte il volto di mia sorella. Era sorridente come quello di un angelo. Mi riportò in Italia.  In seguito nel mio pererigrinare capitai qui, e decisi di restarci”

* * *

Tacque di nuovo.

Sembrava giunto il  mio momento. Avrei dovuto confessargli il motivo che mi aveva portato a cercarlo, a farlo uscire dal suo antro. Ma approfittai di quell’attimo in cui vidi che  il suo volto, parlando della sorella, si era illuminato.

“Mi sembra di capire che  sua sorella vive in Italia, come ci è arrivata?. Voglio dire, per un sacerdote finire a Roma prima o poi è normale,  è nella logica della sua missione. Ma sua sorella… come si chiama?”

“Mary Anne”, mormorò.

“E’ vero, me l’ha detto prima. Mary Anne avrà avuto un  motivo molto forte per venire in Italia e restarci.”

“Il motivo forte per una donna è quasi sempre l’amore. C’è sempre  un uomo che la sradica dalla sua famiglia, dal paese natale”

“Quindi si era  innamorata di un italiano”

“Un giovane romano venuto a Londra per imparare l’inglese. S’innamorò di lui quando erano entrambi poco più che adolescenti.  E lei lo seguì a Roma senza dirmelo temendo, a ragione, la mia contrarietà. La sua fuga mi creò un’inquietudine spaventosa, White non riusciva a pacificarmi, così mi mandò  a Roma per rintracciarla.  Si è rivelato un bravo giovane e un marito premuroso. Lei aveva ragione ed io torto ad avversare la sua scelta  precoce”

“Quindi una storia d’amore finita bene, che ha rassicurato anche lei”

“Mi ha rasserenato e mi ha dato una lezione: non bisogna aver paura d’amare quando il nostro amore non semina dolore, non lacera gli altri.  Il loro amore metteva solo ansia a me, perché l’uomo che aveva scelto di seguire era uno sconosciuto, e perché diffidavo di un amore nato fra adolescenti, che spesso si rivela una cotta, quindi destinata a svanire”

“Ed aveva ragione, padre, di solito il primo amore è un fuoco di paglia, perché l’adolescenza è l’età dell’esplorazione in tutte le direzioni della vita, non solo nell’amore”

“Di solito avviene così, ma ci sono  delle eccezioni, Maurizio e Mary Anne, ne sono la conferma”

Sentendo dei passi alle nostre spalle, io mi voltai. Era Renato.

“Scusatemi, se vi interrompo, ma vorrei sapere se la signora intende tornare …altrimenti ritorno a prenderla quando vuole”, disse imbarazzato.

Padre Robert non si mosse.

“Se padre Robert me lo consente, vorrei restare.”

“Io consento, non ho fretta. L’isola non deve salpare”, rispose sorridendo.

“Grazie, padre Robert. Allora, signor Renato se mi da il suo numero di cellulare, quando avremo finito, la chiamo”

“Certo. Sono a disposizione”

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Rosa Alberoni Intrigo al Concilio Vaticano II Ed Fede&Cultura

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