Ritratto di François Xavier Nguyen Van Thuân patrono della Dottrina sociale della Chiesa

Van ThuânLa Croce quotidiano 10 maggio 2017

Il Pontefice ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i decreti relativi a 12 cause di canonizzazione. Tra questi, il decreto sull’eroicità delle virtù del porporato vietnamita, protagonista del rilancio della Dottrina sociale della Chiesa nel XX secolo e “padre” del Compendio Dsc

di Giuseppe Brienza

Il 4 maggio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza il cardinale Angelo Amato, S.D.B., prefetto della Congregazione delle cause dei santi.  Durante l’udienza, il Santo Padre ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare 12 decreti, tra i quali quello sull’eroicità delle virtù del servo di Dio François Xavier Nguyen Van Thuân (1928-2002).

La figura e l’operato del cardinale vietnamita Van Thuân sono ancora in gran parte da scoprire, almeno nel nostro Paese. Martire nelle carceri comuniste, pastore instancabile e “missionario” della Dottrina sociale della Chiesa, il cardinale vietnamita è stato amico personale oltre che collaboratore assiduo di due santi Pontefici come Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Il giudizio di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI

Diciamo innanzitutto che il card. Van Thuân è stato uno dei rarissimi casi di pastore della Chiesa che, pur non canonizzato, è stato additato quale modello di fede e virtù al popolo di Dio in molteplici discorsi e scritti pubblici di Pontefici. Così, ad esempio, ha fatto Papa Wojtyla che, nel libro Alzatevi, andiamo!, del 2004, ha citato direttamente l’esperienza e personalità del porporato vietnamita.

Anche Benedetto XVI, nell’enciclica Spe Salvi (2007), rievocando «l’indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuân», ne ha ricordato il lungo periodo trascorso in carcere, «in una situazione di disperazione apparentemente totale». Nonostante tutto, aggiunge Papa Ratzinger, Van Thuân è riuscito in prigione a fare della preghiera «una crescente forza di speranza, che dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone della speranza – di quella grande speranza che anche nelle notti della solitudine non tramonta» (Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Spe Salvi” sulla Speranza cristiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2007, n. 32).

Cenni biografici

Nato il 17 aprile 1928 a Huê e morto a Roma il 16 settembre 2002 il card. Van Thuân discende da una famiglia di martiri della Fede. Soprattutto i suoi antenati paterni sono stati vittime di molte persecuzioni nei secoli antichi della storia vietnamita, in particolare nel periodo più tragico per la vita dei cristiani nel Paese asiatico che, eccetto il flagello del comunismo, è stato tra il 1698 al 1885.

Limitandosi al Novecento, va ricordata la drammatica vicenda vissuta dallo zio carnale del card. Van Thuân, Ngo Dinh Diệm (1901-1963), oblato benedettino che, dal 1955 al 1963, fu il primo presidente del Viêt Nam del Sud prima della unificazione comunista del Paese. Per il suo tentativo di preservare l’indipendenza e l’integrità religiosa del sud del Paese, libero dal giogo marxista, Diệm rimase vittima di un colpo di Stato organizzato nel 1963, probabilmente su input di centrali estere.

Un gruppo di generali ribelli, infatti, insorti improvvisamente contro di lui, dapprima lo costrinsero all’esilio e, poi, convocandolo per false trattative di pace, ne organizzarono a freddo l’assassinio, a seguito di una imboscata. Van Thuân, che era allora un giovane sacerdote (era stato ordinato l’11 giugno 1953), sopportò cristianamente il dolore straziante dell’omicidio dello zio tanto amato, dal quale aveva appreso anche tanti insegnamenti.

La figura di Ngo Dinh Diệm, arguto statista e uomo di profonda fede cattolica, patisce ancora oggi una odiosa damnatio memoriae. La “vulgata” laicista e politicamente corretta, infatti, lo dipinge in libri e rievocazioni come un “dittatore” e “nepotista” laddove, come testimonia il card. Van Thuân, durante tutta la sua carriera politica, lo zio non ha cercato che di operare per il bene del popolo vietnamita.

Diệm, in effetti, difese il suo Paese, contemporaneamente, dal pericolo interno (e cinese) della sovversione comunista e da quello esterno (statunitense in particolare) della “colonizzazione” economico-finanziaria. Da presidente, cercò anche di sollevare il suo popolo a piena consapevolezza e dignità nazionale, sviluppando in particolare un sistema pubblico di istruzione degno di questo nome. Promosse, ad esempio, la fondazione dell’università di Huê che, a tutt’oggi, con le Facoltà di Medicina e Farmacia, contribuisce a rilevanti progetti internazionali di solidarietà e cooperazione allo sviluppo.

Il “martirio” dei fratelli Ngô Đình

Assieme a Diệm fu ucciso dai golpisti anche l’altro zio del cardinale, Ngô Đình Nhu (1910-1963), che fu il principale consigliere politico del fratello maggiore fino al colpo di Stato militare del 1° novembre 1963, sostenuto dalle autorità degli Stati Uniti in loco, con accordi di “desistenza” con i guerriglieri comunisti del Nord.

I fratelli Ngô Đình, come ha testimoniato André Nguyen Van Chau, amico di lunga data del card. Van Thuân e suo biografo, dopo esser stati messi in fuga dal Palazzo presidenziale, il giorno successivo parteciparono alla S. Messa nella chiesa di San Francesco Saverio a Cho Lon, per poi telefonare ai capi dei ribelli nella speranza di organizzare un negoziato che avrebbe risparmiato molto spargimento di sangue.

Furono così entrambi prelevati, il 2 novembre del 1963, da un’autocolonna su ordine dei generali vietnamiti golpisti ma, la sera stessa, «giacevano sul retro di un veicolo militare, con le mani legate dietro la schiena e una pallottola nella nuca. In un primo momento i generali ribelli annunciarono all’opinione pubblica che i fratelli Ngô Đình si erano suicidati, ma le foto dei fratelli assassinati circolavano nelle vie di Saigon e la gente vide che avevano le mani legate dietro la schiena. Allora i generali si affrettarono a correggere il comunicato, sostenendo che la loro morte era stata un “suicidio” accidentale» (A. N. Van Chau, François-Xavier Nguyen Van Thuan. Il miracolo della speranza, p. 197).

Van Chau ha testimoniato che lo zio era considerato da Van Thuân statista «ispirato da una grande spiritualità politica, che cercava di fare ciò che sinceramente pensava fosse giusto. Era un uomo con una missione, ma circondato da adulatori e forse da persone pronte a tradirlo».

Vescovo in Viêt Nam

Ritornando alla vicenda biografica del cardinale, dopo aver conseguito una laurea in Diritto canonico a Roma, Van Thuân tornò in Viêt Nam nel 1967. Fu prima professore e poi rettore del principale seminario del suo Paese e, quindi, nominato vicario generale e Vescovo di Nha Trang (1967). Il suo impegno a Nha Trang è stato molto intenso, segnato da successi straordinari, in primo luogo il quadruplicarsi dei seminaristi maggiori, passati in 8 anni da 42 a 147.

Dapprima presidente della Commissione Episcopale per le Comunicazioni Sociali (1967-1970), poi di quella per lo Sviluppo (1971-1975), Van Thuân è nominato da Paolo VI Arcivescovo titolare di Vadesi e Coadiutore di Saigon, od “Hôchiminh Ville”, il 24 aprile 1975. Con l’avvento del comunismo in Viêt Nam, iniziò però per lui un periodo di dura persecuzione. Non appena i comunisti arrivarono a Saigon nel 1975, l’accusa che fu immediatamente rivolta a Van Thuân fu quella di aver ottenuto la promozione ad Arcivescovo grazie ad un «complotto tra il Vaticano e gli imperialisti».

Nel giorno dell’Assunta del 1975 è quindi arrestato, senza giudizio né sentenza, e rinchiuso in carcere per i successivi tredici anni, dei quali nove passati in isolamento. Durante questo periodo Van Thuân non poté avere con sé né la Bibbia né libri spirituali. Raccolse allora tutti i pezzetti di carta trovati qua e là, per realizzare artigianalmente una minuscola agenda sulla quale riportò più di 300 frasi del Vangelo. Fabbicò così il suo vademecum quotidiano, il suo scrigno prezioso al quale attingere forza per resistere ed offrire il suo martirio.

Quando fu liberato, un anno prima dell’abbattimento del “Muro di Berlino”, il 21 novembre 1988, non trascurò la circostanza per cui, proprio in quel giorno, cadeva una importante festa della destinataria di molte sue preghiere, cioè la Madre di Dio. Proprio il 21 novembre, infatti, nell’antico Rito, era fissata nel calendario liturgico la ricorrenza della Presentazione di Maria al Tempio.

Durante la prigionia, Van Thuân non si fece mai abbattere dalla rassegnazione, cercando di rendere fecondo il periodo della cattività. Già nel mese di ottobre del 1975, infatti, iniziò a scrivere una serie di messaggi alla sua comunità di fedeli, con l’intenzione poi di diffonderli anche altrove. Quang, un bambino di 7 anni, gli procurava di nascosto dei fogli di carta, che poi portava con sé in modo che i fratelli e le sorelle più grandi potessero ricopiare i messaggi dell’Arcivescovo e così distribuirli clandestinamente. In questo modo rocambolesco ebbe origine il famoso libro Il cammino della speranza, successivamente edito in ben 12 lingue.

Lo stesso “servizio” Van Thuân fece nel 1980, una volta trasferito nella residenza obbligatoria di Giangxà, nel Viêt Nam del Nord. In questa nuova prigione, infatti, sempre di notte e sempre in segreto, gli riuscì di scrivere il suo secondo libro, intitolato Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano II, al quale seguì I pellegrini del cammino della speranza.

Durante l’isolamento, la celebrazione dell’Eucaristia costituì per Van Thuân il momento centrale di ogni giornata. Celebrava il Santo Sacrificio di nascosto e sul palmo della mano, con tre gocce di vino ed una goccia d’acqua. Quando fu arrestato, infatti, gli venne permesso di scrivere una lettera per chiedere ai parenti le cose più necessarie ad uso quotidiano.

Domandò allora un po’ di vino come «medicina contro il mal di stomaco». I fedeli compresero il vero significato della richiesta e, quindi, gli mandarono subito una bottiglietta con il vino della Messa e l’etichetta: «medicina contro il mal di stomaco».

La devozione Mariana

Tra i vari aspetti della testimonianza di fede vissuta da Van Thuân durante i tredici anni di prigionia nelle carceri comuniste, uno in particolare merita qui di essere sottolineato, quello dell’affidamento a Maria. Da quando, nell’agosto del 1957, si recò in pellegrinaggio a Fatima, egli avvertì immediatamente nel proprio intimo la presenza e la protezione materna della Regina del Santo Rosario.

Da vescovo, quindi, Van Thuân non ebbe esitazioni ad offrire alla S. Vergine la sua patria e comunità locale dei fedeli, vittime del terribile comunismo asiatico. Poi, come riporta la biografia dell’amico e biografo Van Chau, «Ovunque visse in seguito, nella sua abitazione diede sempre un posto d’onore all’immagine della Madonna di Fatima».

Si tratta di un aspetto rilevato anche da Papa Francesco che, ricevendo in udienza il 6 luglio 2013 i partecipanti alla sessione di chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione del Card. Van Thuán, ha affidato «all’intercessione della Vergine Maria il proseguimento di questa causa, come pure di tutte le altre che sono attualmente in corso. La Madonna ci aiuti a vivere sempre di più nella nostra vita la bellezza e la gioia della comunione con Cristo».

“Missionario” della Dottrina sociale della Chiesa

Parlando della vita del card. Van Thuân, ci pare necessario riconoscergli un ruolo di primo piano nell’elaborazione e diffusione della Dottrina sociale della Chiesa che, come noto, soprattutto nel post-Concilio Vaticano II fu accantonata o apertamente contestata. Sotto questo aspetto, ricordiamo innanzitutto la redazione, da parte del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace da lui presieduto, del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Tale importante documento magisteriale, pur pubblicato dopo la sua morte (2004), ebbe però nel card. Van Thuân quell’autorità morale che, sola, fu in grado di assicurarne il complesso lavoro di coordinamento, favorendone l’approvazione da parte dei vari episcopati nazionali e le congregazioni romane.

Ha rilevato Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân”, come tale importante documento, a tutt’oggi, costituisce sulla Dottrina sociale della Chiesa un vero e proprio «picco, un punto di vista da cui considerare il periodo precedente e quello successivo» (Mons. G. Crepaldi-Stefano Fontana, La Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio (2004-2014), Cantagalli, Siena 2014, p. 8).

Il Compendio della DSC, infatti, va considerato «un atto – al suo proprio livello – di magistero e non solo una ripresa a fini didattici o pastorali degli insegnamenti sociali precedenti» (Ibid., p. 49). Il card. Van Thuân ne seguì con dedizione esemplare la stesura e, in vista della sua pubblicazione, offrì al Signore le indicibili sofferenze che patì negli ultimi anni della sua esistenza.

Il ruolo del laicato

Van Thuân, nel 1971, fu nominato da Paolo VI consultore del Pontificio Consiglio per i Laici. Durante gli 8 anni di lavoro svolto presso tale organismo vaticano, il presule vietnamita ebbe modo di consolidare ed approfondire le convinzioni cui sempre ispirò la sua azione presbiterale ed il suo insegnamento episcopale. Vale a dire quella solida teologia del laicato, pienamente riconosciuta solo a partire dal Concilio Vaticano II.

Van Thuân vedeva innanzitutto la missione del laico come partecipazione, tramite il sacerdozio comune dei cristiani (naturalmente ben distinto da quello ministeriale dei presbiteri), all’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo e, tramite la consecratio mundi, al Suo ufficio regale. In virtù della loro vocazione battesimale, quindi, i laici non sono solo chiamati a costituire esempio pubblico di fede ma, anche, a farsi promotori nella sfera pubblica della sapienza e della visione del mondo che derivano dalla Dottrina sociale cattolica.

È proprio per questo che, nella raccolta di riflessioni spirituali intitolata Cinque pani e due pesci, scritte nel 1976 in carcere ma pubblicate trent’anni dopo, Van Thuan pone ad epigrafe del capitolo sulla “scelta di Gesù”, proprio una citazione dal documento che ritiene centrale nel magistero di Giovanni Paolo II sui laici. Parlo dell’Esortazione apostolica “Christifideles laici” (1988), dedicata alla «vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo».

Di questo insuperato documento, il cardinale vietnamita riprende quello che Papa Wojtyla pone a il fondamento dell’urgente compito dei laici di «intraprendere una nuova evangelizzazione». Solo con l’amore di Dio e l’annuncio ad gentes, infatti, è possibile mettere mano all’impervia strada di ricristianizzazione del mondo: «L’uomo è amato da Dio! È questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo» (n. 34).

Dalla sofferenza del carcere al servizio di Pietro

Pochi anni dopo la sua liberazione dal carcere, nel 1992, Van Thuân è nominato a Ginevra membro della Commissione Cattolica Internazionale per le Migrazioni. Grazie al suo indefesso lavoro ed alla fama mondiale conquistata, nel 1994 Giovanni Paolo II gli conferisce l’incarico di vice-Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, organismo del quale, il 24 giugno 1998, sempre per espressa volontà di Papa Wojtyla è promosso Presidente.

La grande stima riconosciutagli da san Giovanni Paolo II, lo condurrà addirittura a predicargli gli Esercizi spirituali quaresimali nell’anno 2000, dedicati al tema della Speranza cristiana. Nel corso della sua predicazione, che ebbe inizio il 12 marzo e si chiuse il 18 marzo dell’anno del Grande Giubileo, Van Thuân guidò il Santo Padre ed i cardinali di Curia all’approfondimento della vocazione di ogni cristiano a testimone della speranza evangelica.

Lui, che abbracciò la Croce nei lunghi anni di carcerazione in Viêt Nam, raccolse poi fatti, preghiere ed episodi della sofferta prigionia nell’aureo libretto Testimoni della speranza. Esercizi spirituali tenuti alla presenza di Ss. Giovanni Paolo II (2000), edito finora in sei lingue.

Proprio ascoltando la sua predicazione, com’è stato documentato, Giovanni Paolo II decise di perfezionare e “chiudere” il suo “testamento spirituale”, una commovente riflessione sulla vita e sulla morte cui lavorò in diversi momenti dei suoi 26 anni e mezzo di pontificato. Mentre ne scriveva le conclusioni, quindi, «[…] a predicare gli esercizi spirituali era il futuro cardinale vietnamita, François Nguyên Van Thuân, che aveva molto commosso il Papa con la sua testimonianza di sofferenza durante la lunga detenzione nelle carceri comuniste del suo Paese» (Cit. in Un Papa di fronte alla morte: il testamento di Giovanni Paolo II, in Zenit, Roma 7 aprile 2005).

Anche per questa sua indimenticabile testimonianza diretta di una Croce vissuta alla luce della Spe Salvi, San Giovanni Paolo II creò Cardinale l’ormai anziano Van Thuân, nel Concistoro del 21 febbraio 2001. Neanche un anno e mezzo dopo, morì a Roma lasciando a molti un indelebile ricordo. Fra tutti, anche riguardante la sua incredibile serenità. La prima cosa che colpisce quando si guardava direttamente, o nelle foto e filmati il volto del cardinale vietnamita, è l’aspetto sempre placido, continuamente allegro, comunicatore di una gioia contagiosa.

A nessuno verrebbe mai in mente di pensare che quella stessa persona ha dovuto sopportare il dolore straziante di vedere assassinati i parenti più stretti della sua famiglia, come il citato zio Ngo Dinh Diem, o passare una parte consistente della propria vita in carcere. Come è stato possibile?

Risponde mons. Crepaldi, il quale ha vissuto accanto a Van Thuân non solo nel periodo in cui quest’ultimo era Presidente – e l’Arcivescovo Segretario (1998-2002) – del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ma anche nel periodo finale della vita terrena del cardinale vietnamita: «Posso dire di aver incontrato un cristiano straordinario nella ordinarietà del suo impegno. Ad ogni più piccola cosa egli dava l’importanza di un incontro con il Signore e in ogni attimo era contento di offrirlo a Lui. Aveva offerto a Lui ogni attimo della dura prigionia, dell’isolamento, della solitudine umana e della stanchezza spirituale, come aveva offerto a Lui ogni attimo dopo la liberazione, nel suo impegno per la giustizia e la pace nel servizio alla Santa Sede, nella predicazione e testimonianza della speranza cristiana … ed anche nei lunghi mesi della malattia» (Mons. G. Crepaldi, Riconosciute le virtù eroiche del Cardinale Van Thuan, in “Newsletter” n.794 dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuân” sulla Dottrina sociale della Chiesa, 6 maggio 2017).