Savino di Lavedan

“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”

[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].

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di Rino Cammilleri

In genere i «Savino» italiani festeggiano l’onomastico (se lo festeggiano) per un altro dei dieci santi con questo nome, quello di Piacenza (che era, forse, milanese). Il Savino di oggi non era italiano. È venerato in Francia, ma non era neppure francese. Questo Savino, Sabinus, era iberico, originario di Barcellona, e visse nel secolo VI.

Era già grandicello quando partì per la Gallia, dove vivevano alcuni suoi parenti piuttosto altolocati. Soggiornò per qualche tempo a Sabart, poi si trasferì a Poitiers. Qui stava un altro suo parente, il conte Eutilio, il quale incaricò Savino di occuparsi dell’educazione del figlio Gemello. Così, Savino iniziò a fare il precettore di Gemello e a istruire il ragazzo nelle lettere e nella religione. Ci riuscì molto bene, tant’è che un giorno, senza dire niente a nessuno, Gemello scappò di casa e andò a farsi monaco nel monastero di Ligugé.

La madre del giovane, che non si sapeva dar pace, velatamente accusava Savino. Il quale fu costretto a recarsi a Ligugé per cercare di riportare indietro il pargolo transfuga. Non ci riuscì. Gemello si dimostrò irremovibile. Anzi, finì col convincere pure il suo ex precettore. Fu così che Savino si ritrovò anch’egli monaco a Ligugé.

Dopo tre anni di permanenza, però, prese gusto alla vita contemplativa. Si recò sui Pirenei, a Bigorre, dove trovò alcuni eremiti governati dall’abate Fronimio. Savino si costruì una piccola cella e ci visse in solitudine per tredici anni. Negli ultimi tempi fu assistito da due diaconi. Quando morì, venne sepolto in un luogo dove poi sorse il monastero di Saint-Savin-de-Lavedan.

il Giornale – 11 luglio 2000