L’opposizione alla riforma liturgica post-conciliare

Messa_novo_ordoDal sito dell’istituto storico dell’insorgenza e per l’identità nazionale – 2017

Federico Sesia

1. Dalla Sacrosanctum concilium alla riforma liturgica del 1969

Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ultima assise ecumenica della Chiesa cattolica, trattò diverse tematiche ed emanò complessivamente nove decreti, quattro costituzioni e tre dichiarazioni, includendo anche l’argomento liturgico, al quale ha dedicato la costituzione Sacrosanctum concilium, datata 4 dicembre 1963. In essa erano contenute delle indicazioni di massima per una futura riforma della liturgia cattolica (1), soprattutto a una revisione dell’ordinario della messa, come espresso al paragrafo 50:

L’ordinamento della messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli. Per questo i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano semplificati (2).

Oltre che l’aspetto linguistico della liturgia, che avrebbe dovuto dare maggior spazio alle lingue nazionali; al paragrafo 54 si legge infatti che

nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella orazione comune e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche quelle spettanti al popolo […] (3).

Inoltre nel paragrafo 36 è espresso che

[…] sia nella messa che nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri (4).

Analoghe direttive venivano emanate nell’ambito dei sacramenti, per i quali veniva auspicato un maggior utilizzo delle lingue vernacolari, accompagnato inoltre da una semplificazione dei riti del battesimo, della confessione, delle esequie, del matrimonio, dell’ordine, nonché dei riti dei sacramentali (5). Queste furono le direttive che ispirarono Papa Paolo VI (1963-1978) nella sua riforma del Messale Romano.

Dopo una poco incisiva riforma nel 1965, il Messale Romano venne completamente riformato in modo ufficiale il 3 aprile 1969, giorno in cui veniva promulgato ufficialmente con la costituzione apostolica Missale romanum. In tale documento vengono descritte brevemente le principali innovazioni apportate nella liturgia, sottolineando che

santa messal’innovazione maggiore riguarda la Preghiera Eucaristica. Mentre nel rito romano, la prima parte di tale Preghiera, il Prefazio, ha assunto lungo i secoli formulari diversi, l’altra parte invece, chiamata Canon Actionis, ha assunto, tra il IV e V secolo, una forma invariabile, al contrario delle Liturgie Orientali, che ammettevano una certa varietà nelle loro Anafore. In tale opera, oltre ad avere arricchita la Preghiera Eucaristica di un gran numero di Prefazi, presi dall’antica tradizione della Chiesa Romana, o composti ex nοvο, al fine di mettere in luce i diversi aspetti del mistero della salvezza e di offrire pii ricchi motivi di azione di grazie, abbiamo deciso di aggiungere alla medesima preghiera tre nuovi Canoni. Tuttavia, per motivi di ordine pastorale, e anche di facilitare la concelebrazione, abbiamo stabilito che le parole del Signore, siano uguali in ciascun formulario del Canone. Stabiliamo pertanto che in ciascuna delle Preghiere Eucaristiche, esse siano così espresse: sul pane: PRENDETE, E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI; e sul calice: PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI. FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME. L’espressione MISTERO DELLA FEDE, tolta dal contesto delle parole del Signore, e detta dal sacerdote, serve come da introduzione all’acclamazione dei fedeli (6).

Nella costituzione viene inoltre dichiarato che

per ciò che riguarda l’Ordinario della Messa, i riti, pur conservandone fedelmente la sostanza, sono stati semplificati (Cf ibid. n. 50, p. 114). Si sοno pure tralasciati quegli elementi che con il passare dei secoli furono duplicati o meno utilmente aggiunti (Ibid.), soprattutto nei riti dell’offerta del pane e del vino e in quelli della frazione del pane e della Comunione. Si sono pure ristabiliti, secondo le tradizioni dei Padri, alcuni elementi che con il tempo erano andati perduti (Cf ibid.); per esempio l’Omelia (Cf ibid. n. 52. p. 114), la Preghiera universale o Preghiera dei fedeli (Cf ibid. n. 53, p. 114), l’atto penitenziale, cioè l’atto di riconciliazione con Dio e con i fratelli, all’inizio della Messa, che giustamente è stato rivalutato. Secondo la prescrizione del Concilio Vaticano II, che stabiliva: In un determinato numero di anni, si leggano al popolo le parti più importanti della Sacra Scrittura (Cf ibid. n. 51, p. 114), tutto il complesso delle Letture delle domeniche è suddiviso in un ciclo di tre anni. Inoltre in tutti i giorni festivi, le letture dell’Epistola e del Vangelo sono precedute da un’altra lettura tratta dall’Antico Testamento oppure, nel Tempo Pasquale, dagli Atti degli Apostoli. In tal modo è messo più chiaramente in luce lo sviluppo del mistero della salvezza, a partire dallo stesso testo della rivelazione. Tale larghissima abbondanza di letture bibliche, che propone ai fedeli nei giorni festivi la parte più importante della Sacra Scrittura, viene completata da altre parti dei libri santi letti nei giorni feriali. Tutto ciò è ordinato in modo da far aumentare sempre più nei fedeli quella fame d’ascoltare la parola del Signore (Cf Am 8, 11) che, sotto la guida dello Spirito Santo, spinga il popolo della nuova Alleanza alla perfetta unità della Chiesa. Con queste disposizioni nutriamo viva speranza che sacerdoti e fedeli prepareranno più santamente il loro animo alla Cena del Signore, e nello stesso tempo, meditando più profondamente le Sacre Scritture, si nutriranno ogni giorno di più delle parole del Signore. Secondo quanto è detto dal Concilio Vaticano II, le Sacre Scritture saranno cosi per tutti una sorgente perenne di vita spirituale, un mezzo di prim’ordine nel trasmettere la dottrina cristiana e infine l’essenza stessa di tutta la teologia (7).

santa messaIl nuovo messale, in diversi casi, fu rifiutato, a causa delle sue ambiguità e anche perché il messale precedente non era abrogabile, da diversi sacerdoti, che continuarono, in forma più o meno pubblica, a utilizzare quello del 1962. Questo fu il caso, per esempio, del domenicano Roger-Thomas Calmel (1914-1975), che dichiarò pubblicamente di rifiutarsi di celebrare secondo l’Ordo Missae di Paolo VI in quanto da lui ritenuto contrario alla tradizione liturgica cattolica, e del salesiano Giuseppe Pace (1911-2000), che mai celebrò con il messale riformato.

Anche il sacerdote diocesano don Giorgio Maffei (1921-2015) rigettò la riforma liturgica e nel 2002 si trasferì, con il nulla-osta dell’allora arcivescovo di Ferrara mons. Carlo Caffarra, al priorato di Rimini della Fraternità Sacerdotale San Pio X (8). Si suole dire che anche san Pio da Pietrelcina (1887-1968) e san Josemaría Escrivá de Balaguer (1902-1975) abbiano continuato a celebrare con il messale del 1962, ma nel caso di padre Pio questa decisione non è da imputare a una sua opposizione alla riforma liturgica del 1965, ma ai suoi problemi di vista, che negli ultimi anni di vita gli resero difficile l’utilizzo di un messale che non conoscesse già a memoria. Per quanto concerne Josemaría Escrivá, sembrerebbe che il suo voler continuare a celebrare con il vecchio rito fosse dovuto non tanto a una contestazione del Novus Ordo ma quanto ad un personale attaccamento alla precedente messa (9).

Oltre ai casi di singoli sacerdoti, non mancò l’iniziativa di diversi laici cattolici che si organizzarono per ottenere di poter continuare ad assistere alla messa tridentina: è questo il caso della Foederatio Internationalis “Una Voce”, associazione fondata nel 1967 a Parigi da Erich Vermehren (1919- 2005), che raccoglie ancora oggi quei fedeli che sono rimasti legati al Messale del 1962. Fra i suoi membri ricordo per importanza la poetessa Cristina Campo (1923-1977), il letterato e storico Gonzague de Reynold (1880-1970) — presidente della sezione svizzera — e lo scrittore americano Michael Davies (1936-2004).

Oltre a Una Voce vi furono altre iniziative degne di nota nella salvaguardia della Messa tridentina, fra le quali ricordo il cosiddetto “indulto di Agatha Christie” (1890-1976) del 1971, ossia una petizione per chiedere l’autorizzazione al papa di utilizzare il Messale del 1962 in Inghilterra e nel Galles, firmata da diverse personalità intellettuali inglesi, fra le quali appunto la Christie, lo scrittore Graham Greene (1904-1991), lo storico dell’arte Kenneth Clark (1903-1983) e lo storico Harold Acton (1904-1994). Paolo VI ricevette la petizione e la approvò (10).

2. Il Breve esame critico del Novus Ordo Missae (1969)

La prima contestazione teorica che ebbe carattere organico e strutturato fu messa in atto nel settembre del 1969 a opera di un gruppo di esponenti della gerarchia (11) che analizzarono la messa riformata e ne trassero delle conclusioni estremamente critiche, conclusioni che vennero presentate a Paolo VI nel Breve esame critico del Novus Ordo Missae, un saggio in otto capitoli. La tesi centrale del pamphlet era che

[…] il Novus Ordo Missae, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero (12).

messa_incisioneSecondo gli autori di tale documento, il Novus Ordo intaccava il carattere sacrificale della messa, non negandolo esplicitamente ma nemmeno affermandolo. Vi si legge infatti:

La definizione di Messa è dunque limitata a quella di “cena”, il che è poi continuamente ripetuto (n. 8, 48, 55d, 56); tale “cena” è inoltre caratterizzata dalla assemblea, presieduta dal sacerdote, e dal compiersi il memoriale del Signore, ricordando quel che Egli fece il Giovedì Santo. Tutto ciò non implica: né la Presenza Reale, né la realtà del Sacrificio, né la sacramentalità del sacerdote consacrante, né il valore intrinseco del Sacrificio eucaristico indipendentemente dalla presenza dell’assemblea. Non implica, in una parola, nessuno dei valori dogmatici essenziali della Messa e che ne costituiscono pertanto la vera definizione. Qui l’omissione volontaria equivale al loro “superamento”, quindi, almeno in pratica, alla loro negazione (13).

Nel saggio viene anche sottolineato come la finalità ordinaria della Messa di essere sacrificio propiziatorio nel nuovo rito risulti deviata:

Anch’essa è deviata, perché anziché mettere l’accento sulla remissione dei peccati dei vivi e dei morti lo mette sulla nutrizione e santificazione dei presenti (n. 54). Certo Cristo istituì il Sacramento nell’ultima Cena e si pose in stato di vittima per unirci al suo stato vittimale; questo però precede la manducazione e ha un antecedente e pieno valore redentivo, applicativo della immolazione cruenta, tanto è vero che il popolo assistendo alla Messa non è tenuto a comunicarsi sacramentalmente (14).

E, ancora, si segnala quello che viene ritenuto uno snaturamento della figura del sacerdote:

Non più una parola ormai sul suo potere di sacrificatore, sul suo atto consacratorio, sulla realizzazione per suo mezzo della Presenza eucaristica. Egli appare nulla più che un ministro protestante. La sparizione o l’uso facoltativo di molti paramenti (in certi casi alba e stola bastano — n. 298) vanificano ancor più l’originale conformazione al Cristo: il sacerdote non è più rivestito di tutte le virtù di Lui; egli è un semplice “graduato” che uno o due segni distinguono appena dalla massa: (“un po’ più uomo degli altri”, per citare la formula involontariamente umoristica di un moderno predicatore). Di nuovo, come nella opposizione degli altari, si separa ciò che Dio ha unito: l’unico Sacerdozio del Verbo di Dio (15).

Gli autori del breve esame critico concludono affermando che nella situazione della Chiesa dell’epoca una simile riforma nella liturgia sarebbe risultata dannosa e controproducente:

Oggi, non più all’esterno, ma all’interno stesso della cattolicità l’esistenza di divisioni e scismi è ufficialmente riconosciuta; l’unità della Chiesa è non più soltanto minacciata ma già tragicamente compromessa e gli errori contro la fede s’impongono, più che insinuarsi, attraverso abusi ed aberrazioni liturgiche ugualmente riconosciute. L’abbandono di una tradizione liturgica che fu per quattro secoli segno e pegno di unità di culto (per sostituirla con un’altra, che non potrà non essere segno di divisione per le licenze innumerevoli che implicitamente autorizza, e che pullula essa stessa di insinuazioni o di errori palesi contro la purezza della fede cattolica) appare, volendo definirlo nel modo più mite, un incalcolabile errore (16).

Paolo VI, una volta ricevuto il documento, lo sottopose al vaglio del card. Franjo Šeper (1905- 1981), allora prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, che non condivise le tesi esposte nel saggio.

3. Mons. Marcel Lefebvre e la Fraternità Sacerdotale San Pio X

LefebvreL’arcivescovo francese Marcel François Lefebvre (1905-1991) è stato probabilmente il critico più conosciuto del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica del 1969. Ex arcivescovo di Dakar in Senegal, passato poi alla guida della Congregazione dello Spirito Santo fino al 1968 e membro della fazione conservatrice denominata Coetus Internationalis Patrum durante il Vaticano II, nel 1970 fondò la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX), con seminario a Ecône in Svizzera. Inizialmente mons. Lefebvre accettò sia il Novus Ordo Missae, sia i decreti del Concilio, ma questa posizione, nella seconda metà degli anni 1970, subì una virata, arrivando fino a un totale rigetto, che fu sanzionato dal Vaticano con il divieto di ordinare nuovi sacerdoti, divieto da lui presto infranto.

Nel 1976 mons. Lefebvre fu sospeso a divinis. Si tenga presente come Lefebvre formasse i suoi sacerdoti utilizzando esclusivamente il messale ed il breviario del 1962 e i manuali di teologia e filosofia precedenti il Vaticano II, rigettando i nuovi riti e i nuovi testi. Le tensioni con la Santa Sede continuarono a fasi alterne, con attenuazione in coincidenza con l’elezione di papa Giovanni Paolo II (1978-2005) e una ripresa negli anni successivi. La Fraternità giunse a un accordo con Roma nel 1988, accordo prima sottoscritto e poi stracciato dallo stesso mons. Lefebvre.

La vicenda giunse all’epilogo con le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio celebrate nel luglio del 1988, che comportarono la scomunica per mons. Lefebvre, il suo concelebrante, mons. Antonio de Castro Mayer (1904-1991)17, e i quattro vescovi appena ordinati (18).

Già da ben prima di arrivare alla rottura definitiva con Roma mons. Lefebvre aveva più volte espresso la sua contrarietà alla riforma liturgica, inizialmente partecipando alla stesura del Breve esame critico del Novus Ordo Missae e successivamente in diversi interventi che fece pubblicamente. Il 15 febbraio 1975 mons. Lefebvre tenne nella basilica di San Lorenzo a Firenze una conferenza nella quale svolse una comparazione fra la liturgia di Martin Lutero (1483-1546) e quella del Novus Ordo al fine di sottolinearne le affinità. Dopo aver mostrato le differenze fra la concezione cattolica e quella luterana della Messa e del sacerdozio, egli affermò che

egli [Lutero] ritiene che la Messa sia in primo luogo la Liturgia della Parola e in secondo luogo una comunione. Non si può che rimanere stupefatti nel constatare che la nuova riforma ha applicato le stesse modifiche e che in verità i testi moderni a disposizione dei fedeli non parlano più di Sacrificio ma di Liturgia della Parola, di racconto della Cena e della condivisione del pane o dell’Eucarestia. L’articolo VII dell’istruzione che introduce il nuovo rito era significativa di una mentalità già protestante. La correzione apportata in seguito non è per niente soddisfacente. La soppressione della pietra d’altare, l’introduzione della tavola rivestita da una sola tovaglia, il prete girato verso il popolo, l’ostia che rimane sempre sulla patena e non sul corporale, l’autorizzazione di usare pane ordinario, i vasi fatti di materie diverse, perfino le meno nobili, e ben altri dettagli, contribuiscono ad inculcare in coloro che assistono le nozioni protestanti che sono essenzialmente e gravemente opposte alla dottrina cattolica (19).

Mons. Lefebvre sottolineò inoltre quella che secondo lui era la pericolosità intrinseca al Novus Ordo:

Non ci si può impedire di concludere che, essendo i princìpi intimamente legati alla pratica secondo l’adagio “Lex orandi Lex credendi”, il fatto di imitare nella liturgia della Messa la riforma di Lutero, conduce infallibilmente ad adottare a poco a poco le idee stesse di Lutero. L’esperienza degli ultimi sei anni, dopo la pubblicazione del nuovo Ordo, lo prova ampiamente. Le conseguenze di questa maniera d’agire cosiddetta ecumenica, sono catastrofiche, nel dominio della fede innanzi tutto, e soprattutto nella corruzione del Sacerdozio e nella rarefazione delle vocazioni, nell’unità dei cattolici divisi in ogni ambito su questa questione che li tocca così da vicino, nelle relazioni con i protestanti e gli ortodossi. […] Tutti questi cambiamenti nel nuovo rito sono veramente pericolosi, perché a poco a poco, soprattutto per i giovani preti, che non hanno più l’idea del Sacrificio, della Presenza Reale, della Transustanziazione, e per i quali tutto questo non significa più niente, questi giovani preti perdono l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa e non dicono più delle Messe valide (20).

Un anno dopo, mons. Lefebvre celebrò a Lilla in Francia una messa in rito tridentino di fronte a migliaia di fedeli. Nella sua omelia pronunciò parole molto dure verso il Vaticano II e parlò della necessità di opporsi alla deriva che Roma aveva preso a partire dal Concilio. Non si dimenticò inoltre di attaccare la nuova messa, da lui definita una «messa bastarda» (21).

Struttura analoga alla Fraternità è stata l’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney di Campos, fondata da Antonio de Castro Mayer nel 1982 in reazione al fatto che il nuovo vescovo mons. Carlos Navarro (1931-2003), avesse emanato un decreto che proibiva l’uso del messale del 1962 nella sua diocesi, decreto rifiutato da de Castro Mayer e trenta sacerdoti diocesani22. Come successore di de Castro Mayer venne consacrato vescovo nel 1991 Licínio Rangel (1936-2003), il quale nel 2002 fece tornare l’Unione Sacerdotale in comunione con Roma.

Oltre al caso di Marcel Lefebvre e della FSSPX, ricordo che anche i gruppi che aderiscono al cosiddetto “sedevacantismo” (23) rifiutino completamente non solo la messa, ma tutti i sacramenti riformati, ritenendoli illeciti e anche invalidi. È questa la posizione dell’Istituto Mater Boni Consilii (IMBC), fondato nel 1985 a Verrua Savoia (Torino) e composto principalmente da sacerdoti ordinati da mons. Lefebvre e che abbandonarono Ecône nel corso degli anni 1980.

4. L’intervento di Romano Amerio

Romano AmerioIl problema della riforma liturgica e delle sue implicazioni non rimase estraneo al teologo svizzeroticinese Romano Amerio (1905-1997), il quale dedicò alla questione un capitolo del suo saggio Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX, dato alle stampe nel 1985. Intitolato appunto La riforma liturgica, tale capitolo tratta i punti salienti del messale del 1969 che, secondo Amerio, mostrano una chiara rottura con la tradizione della Chiesa. Innanzitutto, prendendo in esame l’abbandono della lingua latina, egli dichiara che il non utilizzare più un simile idioma, oltre a contraddire quanto indicato dall’enciclica Mediator Dei di Pio XII, dall’enciclica Veterum sapientia di Giovanni XXIII (1958-1963) e dalla stessa costituzione Sacrosanctum concilium, rappresenti una menomazione dell’universalità e dell’immutabilità della Chiesa (24).

Secondo Amerio, il nuovo rito ha subìto un forte influsso da parte di quelle posizioni teologiche che minimizzano la superiorità ontologica della figura del sacerdote. Egli scrive:

Qui appaiono gli influssi che il nuovo rito ha subito da parte delle correnti teologiche che snervano la peculiarità ontologica del sacerdote ordinato, tentano di ampliare le parti del popolo di Dio rispetto alla funzione sacra del prete, elevano la sinassi sopra l’atto consacratorio, perseguono la soggettivazione e quindi la variabilità di tutto il culto (25).

Amerio sottolinea poi come la riforma liturgica abbia favorito un passaggio dal sacro al teatrale, causando, fra le altre cose, delle grosse variazioni liturgiche in passato inesistenti:

Queste Messe di creatività sono ormai comuni nell’orbe cattolico diversificando la liturgia non pure per nazioni, ma per diocesi, per parrocchie e persino per chiese della medesima parrocchia. […] si omettono parti intere del rito, massime il Credo; si adotta qualunque indumento; si esclude ogni lumiera; si consacra in pane da mensa (e quindi invalidamente) anziché in azimo e in vini o liquori qualunque (26).

Altro aspetto evidenziato da Amerio è come con la riforma le Scritture fossero divenute accessibili a tutti, cosa che secondo lui dà potenzialmente adito a problematiche non da poco, oltre a contraddire l’insegnamento dei pontefici passati a riguardo:

Per le difficoltà linguistiche e storiche, per la molteplicità dei sensi, teorizzata dalla teologia, e per il principio cattolico che la Chiesa possiede le Scritture e (a differenza della Sinagoga) anche il senso delle Scritture, la disciplina della Chiesa prescriveva che la Bibbia si porgesse al popolo di Dio per la mediazione del sacerdozio; […] Questa disciplina è stata variata, parte per la nuova direzione impressa dal Concilio nella liturgia, parte con la successiva infrazione delle norme conciliari. Il Concilio infatti superò i decreti antigiansenistici e le prescrizioni di Pio VI. Contro la popolarizzazione protestantica e giansenistica della Scrittura Pio VI stabiliva che la lettura della Bibbia non è necessaria né conveniente a tutti (27).

La conclusione è estremamente chiara e non dà adito a incomprensioni di sorta:

Deve essere dunque riconosciuto che la riforma ha mutato una Messa cattolica inaccettabile per i protestanti in una Messa cattolica accettabile. E il giudizio di accettabilità implica che sia avvenuta una variazione profonda: dalla variazione poi sono giudici, nel punto, proprio quelli che soli vi hanno competenza. Le testimonianze in tale senso sono ormai innumeri e d’altronde le celebrazioni, ad opera di sacerdoti e di ministri, di una medesima eucaristia promiscua confermano la variazione dottrinale, nonostante le deboli opposizioni della gerarchia (28).

5. La Messa tridentina oggi

messaOltre alla FSSPX e ai gruppi sedevacantisti, oggi vi sono diverse congregazioni e ordini religiosi che celebrano con il Messale del 1962 rimanendo in piena comunione con la Chiesa cattolica. Fra di esse ricordo la Fraternità Sacerdotale San Pietro (FSSP), società di vita apostolica fondata il 18 luglio del 1988 a Hauterive in Svizzera e con casa generalizia a Wigratzbad in Germania, composta all’epoca da sacerdoti e da seminaristi provenienti dalla FSSPX che non intendevano seguirla sulla via dello scisma (29).

Altra società di vita apostolica che celebra la Messa tridentina è l’Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote (ICRSS), fondato in Gabon nel 1990 dai presbiteri francesi Gilles Wach e Philippe Mora e con casa generalizia a Gricigliano, nei pressi di Firenze (30).

In Brasile l’amministrazione apostolica personale San Giovanni Maria Vianney, derivata dall’Unione Sacerdotale di de Castro Mayer, è rientrata, come detto, in piena comunione con Roma nel 2002. Viene celebrata la Messa tridentina anche all’abbazia di Santa Maddalena di Barroux in Francia, il cui fondatore abate Gérard Calvet (1927-2008) aveva preso le distanze da mons. Lefebvre in seguito alla scomunica del 1988. Nel 2006 un gruppo di sacerdoti francesi della FSSPX si staccò da essa per fondare l’Istituto del Buon Pastore, società di vita apostolica che celebra i sacramenti con la liturgia precedente la riforma (31).

La congregazione dei frati Francescani dell’Immacolata, nata nel 1990, ha concesso dal 2007 ai suoi sacerdoti la possibilità di celebrare la Messa antica, possibilità venuta meno con il commissariamento del 2013. Infine, ricordo anche la Fraternità Sacerdotale della Familia Christi, società di vita apostolica clericale di diritto diocesano eretta nell’arcidiocesi di Ferrara-Comacchio nel 2016, che celebra messa con entrambe le forme del rito.

messa_rockOltre alle società e congregazioni religiose che specificatamente insegnano ai loro sacerdoti a celebrare la messa secondo il Messale del 1962, bisogna considerare come il motu proprio Summorum pontificum di papa Benedetto XVI datato 7 luglio 2007, che istituiva la distinzione tra “forma ordinaria” e “forma straordinaria” del medesimo rito latino, entrambe legittime, e consentiva di fatto di celebrare più facilmente quella messa, ha fatto sì che sorgessero in diversi luoghi numerose comunità che celebrano con il Vetus Ordo almeno la domenica e le feste di precetto.

Così pure, da allora, diverse congregazioni e parrocchie hanno inserito nella loro liturgia settimanale una o più celebrazioni con la forma straordinaria del rito latino. Il documento di Papa Ratzinger dichiara infatti che

il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano. Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa (32)

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1) A riguardo si tenga presente come dall’emanazione nel 1570 del Messale Romano di Papa san Pio V (1566-1572) al 1969 le riforme in ambito liturgico — quali per esempio quelle di Pio X (1903-1914) e Pio XII (1939-1958) — riguardarono aspetti sostanzialmente secondari e furono nel complesso poco avvertite dai fedeli e dal clero. Si consideri inoltre come il rito romano non avesse subito mutamenti sostanziali almeno dal IX secolo d. C.

2) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione apostolica “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra liturgia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 2011, p. 23.

3) Ibid., p. 24.

4) Ibid., pp. 19-20.

5) Cfr. Ibid., pp. 26-31.

6) PAOLO VI, Costituzione apostolica “Missale romanum”, del 3 aprile 1969, nel sito web http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_constitutions/documents/hf_p-vi_apc_19690403_missale-romanum.html , consultato il 19-1-2017.

7) Ibidem.

8) Per dati informativi sulla persona, cfr. GABRIELE DELLA BALDA (a cura di), Zelo zelatus sum. Riflessioni del Rev. Giorgio Maffei, Edizioni Radio Spada, Reggio Emilia 2016, pp. 11-16.

9) Cfr. LUIGI ACCATTOLI, La leggenda di padre Pio che rifiuta il nuovo messale, nel sito web http://www.luigiaccattoli.it/blog/la-leggenda-di-padre-pio-che-rifiuta-il-nuovo-messale/ , consultato il 17-1-2017.

10) Cfr. GIANFRANCO AMATO, L’indulto di Agatha Christie. Come si è salvata la Messa tridentina in Inghilterra, Fede & Cultura, Verona 2013.

11) Fra i quali il card. Alfredo Ottaviani (1890-1970), il card. Antonio Bacci (1885-1971), mons. Marcel Lefebvre e Michel Guérard des Lauries (1898-1988) O.P.. Il card. Giuseppe Siri (1906-1989), arcivescovo di Genova, pur considerato dai più un porporato conservatore, si rifiutò di sottoscriverlo.

12) Breve esame critico del Novus Ordo Missae, Associazione Inter Multiplices Una Vox, Torino 2000, p. 3.

13) Ibid., pp. 7-8.

14) Ibid., pp. 9-10.

15) Ibid., pp. 16-17.

16) Ibid., p. 24.

17) Vescovo di Campos in Brasile dal 1949 al 1981, membro del Coetus come mons. Lefebvre e fondatore nel 1981 dell’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney.

18) Bernard Fellay, Alfonso de Gallareta, Richard Williamson e Bernard Tissier de Mallerais. La scomunica è stata loro rimessa nel 2009 da papa Benedetto XVI (2005-2013). Cfr. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Decreto di remissione della scomunica latae sententiae ai vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X, nel sito web http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20090121_remissione-scomunica_it.html , consultato il 20-1-2017.

19) MARCEL LEFEBVRE, La Messa di Lutero, nel sito web http://www.unavox.it/Documenti/Doc0969_Conferenza_Lefebvre_15.02.1975.html , consultato il 20-1-2017.

20) Ibidem.

21) Cfr. GIOVANNI MICCOLI, La Chiesa dell’anticoncilio. I tradizionalisti alla conquista di Roma, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 8.

22) Cfr. Unidos em defensa de la Fé, nel sito web https://fratresinunum.com/tag/padres-de-campos/ , consultato il 4-2- 2017.

23) Posizione secondo la quale i papi a partire da Giovanni XXIII, avendo professato delle posizioni condannate dal magistero precedente, sono automaticamente decaduti dalla loro posizione, facendo sì che la Sede Apostolica sia vacante. Da qui derivano i termini sedevacantismo e sedevacantista. Documento fondamentale per comprendere tale posizione è la Tesi di Cassiciacum di padre Guérard des Lauries O.P. (cfr. IDEM, Le Siège Apostolique est-il Vacant?, in Cahiers de Cassiciacum, n. 1, Association St. Herménégilde, Nizza 1979), considerato non a torto il fondatore del sedevacantismo.

24) Cfr. ROMANO AMERIO, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, 1985, a cura di Enrico Maria Radaelli, prefazione del card. Dario Castrillón Hoyos, Lindau, Torino 2013, pp. 543-545.

25) Ibid., p. 560.

26) Ibid., p. 566.

27) Ibid., p. 570.

28) Ibid., p. 579.

29) Cfr. What are we? The Priestly Fraternity of Saint Peter, nel sito web https://www.fssp.org/en/presentation.htm , consultato il 17-1-2016.

30) Cfr. Chi siamo?, nel sito web http://www.icrss.it/info/chi-siamo/ , consultato il 17-1-2016.

31) Cfr. Historique de l’Institut du Bon Pasteur, nel sito web http://www.institutdubonpasteur.org/fr/content/historiquede-linstitut-du-bon-pasteur , consultato il 17-1-2016.

32) BENEDETTO XVI, motu proprio Summorum Pontificum, nel sito web http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html , consultato il 4/2/2017.