In ricordo di Michael Novak

Michael NovakLa Croce quotidiano 21 febbraio 2017

 Economia “libera” da che? Innanzitutto dai monopoli, “pubblici” o privati che siano. Teologo, economista e politologo, lo studioso statunitense era considerato uno dei maggiori pensatori cattolici contemporanei. L’opera di questo economista cristiano è stata caratterizzata dal tentativo costante di un’armonizzazione tra l’economia di libero mercato e il Vangelo. È morto a Washington venerdì, raggiungendo la moglie Karen che tanto lo aveva amato e gli aveva dato tre figli

di Giuseppe Brienza

È morto il 17 febbraio a Washington il teologo, economista e politologo statunitense di origine slovacca Michael Novak, fondatore dell’American Enterprise Institute (AEI). Considerato uno dei maggiori pensatori cattolici contemporanei, è stato spesso liquidato da noi come teorico della “reaganomics” o, semplicisticamente, come attardato fautore del capitalismo liberista.

Com’è stato giustamente ricordato, Novak trasse invece «dall’opera di Jacques Maritain, di cui era grande ammiratore, la propria concezione della persona umana» (Solène Tadié, Dal concilio alla filosofia, in “L’Osservatore Romano”, 19 febbraio 2017, p. 4). Ancorando come il filosofo francese la propria visione della società e della politica alla ricostruzione tomista della legge naturale, Novak ebbe addirittura a definire Maritain, in un lungo articolo pubblicato nel 1990 sulla rivista “First Things”, «il vero architetto della tradizione cattolica moderna sia in Europa che in America latina».

All’Autore di “Umanesimo integrale” (prima ed. italiana: Studium, Roma 1946), del resto, lo studioso americano ha sempre riconosciuto in saggi e pubblici discorsi il grande merito di aver elaborato le fondamenta della democrazia liberale con un linguaggio aristotelico.

D’indole profondamente patriottica, la vita personale e di studioso del prof. Novak è stata contraddistinta dall’aver tanto «amato la Chiesa quanto l’America, convinto che questi due amori fossero perfettamente compatibili l’uno con l’altro e anzi che la Chiesa avesse bisogno dell’America e che l’America avesse bisogno della Chiesa» (Rocco Buttiglione, Tra la libertà e l’America, in “L’Osservatore Romano”, 19 febbraio 2017, p. 4). Nel senso che il professore statunitense era convinto che la libera iniziativa fosse il motore dell’economia e della società, diffidando dello Stato e, naturalmente, di ogni forma di collettivismo o monopolio, “pubblico” o privato che fosse.

Profondamente segnato dall’enciclica “Centesimus annus” (1991) di Giovanni Paolo II, Novak si è dato molto da fare per diffonderla negli Stati Uniti e anche nei paesi dell’Europa dell’Est ai quali era legato, convinto «che il Papa aveva capito sino in fondo il cuore dell’America, ma che proprio per questo le poneva anche una sfida etica a cui essa non si poteva sottrarre: quella di costruire una società più giusta. Giovanni Paolo II lo volle conoscere e da allora il suo orgoglio più grande fu quello di essere un amico del Papa» (R. Buttiglione, art. cit.).

Meno facile da approcciare Benedetto XVI, Novak è entrato invece in sintonia con il magistero di Papa Francesco, uniti nella denuncia della degenerazione capitalistica che è all’origine dell’attuale crisi dell’Occidente.

Chiariamoci subito sulla parola “capitalismo” che, negli scritti di Novak e negli Stati Uniti in generale non ha lo stesso significato che per noi in Europa continentale o in America latina. Se nel mondo anglosassone, sostanzialmente, per “capitalismo” s’intende libertà di impresa, altrove in Occidente l’influenza marxista e pauperista ha identificato questa parola con il monopolio di élite ristrette, il dominio della finanza, il mercantilismo che sono tutti cortocircuiti all’origine della povertà delle grandi masse umane in condizioni di indigenza e di semischiavitù.

In sempre maggiori settori della cultura economica e imprenditoriale anche dei paesi più avanzati, però, si sta affermando «in questi ultimi decenni un altro tipo di capitalismo che vuole fare denaro con il denaro, senza investire e senza creare occupazione, lavoro e benessere per tutti» (R. Buttiglione, art. cit.). Questo non vuol dire che abbia vinto in Occidente la sfida etica lanciata da Giovanni Paolo II, tutt’altro, ma da qui a “gettare il bambino assieme all’acqua sporca” ce ne vuole!

Da questo punto di vista è particolarmente significativo riportare una delle tante battute che il professor Novak era solito lanciare nel bel mezzo delle sue conferenze o discussioni, ricordata da uno dei suoi maggiori “discepoli” in Italia, il prof. Felice: «Sai qual è la differenza tra un ottimista e un pessimista? Il pessimista dice: “che disgrazia, abbiamo toccato il fondo”, l’ottimista gli risponde: “no, si può andare ancora più a fondo!”» (cit. in F. Felice, Il mio ricordo di Michael Novak, teologo dell’economia libera, in “Avvenire”, 18 febbraio 2017).

Condividiamo quello che, secondo Flavio Felice, è stato il quadro di riferimento generale all’interno del quale si è sviluppato il pensiero di Novak, vale a dire «la possibilità di instaurare un rinnovato rapporto tra democrazia liberale, spirito d’imprenditorialità o d’iniziativa economica e moderna Dottrina sociale della Chiesa, inaugurata dalle encicliche sociali di Giovanni Paolo II “Laborem exercens”, “Sollicitudo rei socialis” e “Centesimus annus”» (F. Felice, art. cit.).

La Dottrina sociale della Chiesa, infatti, non va vista come un sistema chiuso, una ideologia e men che meno una “terza via” anti-capitalistica. La Dsc, come l’ha vista lo stesso Novak e come è, costituisce una riflessione teologica e, insieme, un metodo di elaborazione dei dati sociali ed economico-politici secondo ottiche che possono essere anche diversificate, rimanendo però necessariamente unitarie su quelli che Benedetto XVI ha identificato in maniera insuperabile come “principi non negoziabili”.

L’opera di Novak è orientata alla ricerca del profondo legame che unisce il cosiddetto “capitalismo democratico” e l’antropologia cristiana e, «in tale contesto, egli ci mostra l’evoluzione del concetto di giustizia sociale ed il processo in virtù del quale la tradizione cattolica ha accolto una visione più matura e ricca del libero mercato» (F. Felice, art. cit.).

Insomma l’opera di Michael Novak cattolico statunitense e profondo studioso di etica dell’economia, rimane viva nel tentativo di sostenere la possibilità di un incontro tra Vangelo e libero mercato. Può essere la sua una provocazione, oppure vogliamo chiamarla “economia sociale d’impresa”?

Come ebbe a testimoniare direttamente Novak nel corso di un’intervista rilasciata durante il Grande Giubileo del 2000: «Il fatto che siamo tutti amministratori è un punto cruciale. John Stuart Mill lo ha usato come un argomento di base negli studi sulla proprietà privata e la sua “sacralità”. Egli ha scritto che l’esperienza dimostra come i proprietari privati considerino se stessi come amministratori temporanei nell’interesse delle successive generazioni. Questo porta al maggior beneficio possibile per la terra. Max Weber è andato oltre spiegando che la ragione principale della preminenza inglese nello sviluppo economico del XIX secolo è stata il fatto che l’Inghilterra ha subìto molte meno invasioni del resto d’Europa. In Inghilterra, quindi, i diritti della proprietà privata sono stati di maggiore durata. E questa è stata la chiave per il precoce successo dell’Inghilterra nella formazione del capitale, e quindi negli investimenti, nell’industrializzazione e nel commercio. Amministrazione è un termine assolutamente cruciale nel pensiero economico. Nel suo senso pieno non riguarda unicamente la propria famiglia, ma l’intera umanità».

 VITA E OPERE DI UN ECONOMISTA-FILOSOFO

a cura di G.B.

Nato a Johnstown, in Pennsylvania, il 9 settembre 1933, Michael Novak deve la sua formazione essenziale all’esperienza vissuta da corrispondente per il «National Catholic Reporter» al Concilio Vaticano II. Da questa indimenticabile vicenda giovanile, infatti, egli ha maturato l’imprinting della sua visione della società e dell’economia. Subito dopo la permanenza a Roma, nacque così libro libro, “The Open Church” (1964), che lo avvierà a studi più approfonditi di filosofia e teologia.

Successivamente Novak è stato autore di una ventina di saggi, tradotti in molte lingue, tra i quali “The Spirit of Democratic Capitalism” (1982), che ebbe un notevole impatto sui dibattiti politici degli anni Ottanta, e “The Catholic Ethic and the Spirit of Capitalism” (1993), nel quale riafferma la centralità dell’uomo e il potenziale dell’economia di mercato. Nel 1981-1982, in qualità di ambasciatore, Novak ha prestato servizio diplomatico come Capo della Delegazione degli Stati Uniti nella Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani a Ginevra.

Sposato con Karen Laub-Novak dalla quale ha avuto tre figli, Richard, Tanya e Jana, il 4 maggio 1994 Novak è stato insignito del 24° Premio Templeton per il progresso nella religione. Tra i suoi libri attualmente disponibili in Italia citiamo “Verso una teologia dell’impresa” (1981) e “Questo emisfero della libertà (1990), entrambi tradotti da “Liberilibri” nel 1997, “Spezzare le catene della povertà.

Saggi sul personalismo economico”, uscito dalla medesima casa editrice nel 2000 a cura di Flavio Felice e, per “Rubettino”, sempre grazie al prof. Felice, “L’impresa come vocazione” (1996), pubblicato nel 2000, “Il fuoco dell’invenzione” (1997) e “Coltivare la libertà” (1999), entrambi editi nel 2005. Nel 2004 Novak ha pubblicato un libro che, secondo molti, conserva ancora oggi una estrema rilevanza e attualità. Parliamo di “Noi, voi e l’Islam” (tr. It. a cura di F. Felice, Edizioni Liberal Roma 2005), nel quale il teologo, economista e filosofo americano contraddiceva la tesi del suo collega Samuel Huntington secondo cui Cristianesimo e Islam erano entrati in un conflitto difficile da superare, se non irreversibile.