La strada della bellezza che porta a Dio

chiesa_baroccoil settimanale di Padre Pio, 17 gennaio 2010

Un’intervista allo storico ed esperto di Arte Sacra Stefano Chiappalone

a cura di Maurizio Brunetti

Per il numero e la sistematicità degli interventi magisteriali sulla via pulchritudinis, la strada della bellezza che porta a Dio, è lecito supporre che la salvaguardia del bello nella liturgia e nell’Arte Sacra diventeranno, accanto alla sfida contro il relativismo, uno dei pilastri del Pontificato di papa Benedetto XVI.

Ne parliamo con Stefano Chiappalone, giovane storico, giornalista e socio di Alleanza Cattolica, promotore con altri laici di un Appello a Sua Santità Papa Benedetto XVI per il ritorno a un’Arte sacra autenticamente cattolica che circola su Internet dal mese di novembre.

M. Brunetti: Anch’io ho sottoscritto l’Appello che lei ha promosso insieme, tra gli altri, allo scrittore Martin Mosebach e all’architetto Nikos Salingaros e che ha superato in pochi giorni il migliaio di adesioni tramite Internet. Ci racconta che cosa vi ha spinto a elaborarlo?

S. Chiappalone: Per secoli, gli edifici sacri, dalle grandi basiliche romane alle più piccole chiese di paese, hanno comunicato la bellezza della fede cristiana e in qualche modo «catechizzato» con la loro sola presenza. L’architettura stessa è una predicazione muta che nei secoli ha parlato un linguaggio inconfondibilmente cattolico: le chiese parlano del Dio uno e trino, di Cristo incarnato, morto e risorto per noi, della remissione dei peccati, della risurrezione della carne e della vita eterna.

Da alcuni decenni, tuttavia, tanti edifici di culto si distinguono per la ricercata stravaganza delle forme e per la palese incapacità di parlare di Dio. Di qui la decisione – in margine ad un seminario tenuto mesi fa nei locali della Pontificia Commissione per i Beni Culturali  – di riunire le riflessioni espresse allora in un testo che poi è diventato l’Appello, al fine di riportare all’attenzione la questione e sostenere il Pontefice nella sua “buona battaglia” per la liturgia e per la bellezza nell’arte sacra. Dal sito http://appelloalpapa.blogspot.com se ne può scaricare il testo.

M. Brunetti: Lei dice che gli stili in voga nel passato prossimo poco si armonizzano con le verità della fede?

S. Chiappalone: Nell’Appello proviamo ad argomentare quanto l’astrattismo sia contrario alla logica dell’Incarnazione. Inoltre, durante le celebrazioni, ove non fosse proprio possibile eseguire canti gregoriani, o polifonici o musica organistica, crediamo che il silenzio sarebbe di gran lunga preferibile alla musica pop, brutta e cantata male, a cui sono assuefatte le comunità parrocchiali.

La Chiesa si è sempre confrontata con gli stili che ha incontrato sul proprio cammino, dall’arte paleocristiana al barocco. Se però in passato l’arte si lasciava fecondare dal Vangelo, adesso avviene l’esatto contrario: la liturgia è subordinata ad un arte che, piaccia o no, soffre di analfabetismo religioso e che di conseguenza non riesce a comunicare se non un vago spiritualismo.

È anche vero che le scelte di costruire tante chiese modello Ikea – non riconoscibili come tali dall’esterno e, qualche volta, persino dall’interno –, o di apportare radicali modifiche a chiese antiche, oppure di eseguire i canti schitarrati a cui prima facevo riferimento, sono spesso motivate dalla volontà di rompere con il passato.

Negli ultimi quarant’anni, sembra sia stata questa la preoccupazione di tanti devoti parroci spinti più dal timore di non essere abbastanza moderni, che dall’ansia di evangelizzare. Il risultato è che il sale della terra finisce per vergognarsi del proprio sapore… Anche senza scomodare i Progetti Pilota ad alto livello, persino i sacerdoti meno smaniosi di novità si sono sentiti in dovere di prostrarsi allo spirito dei tempi convinti di seguire lo Spirito del Concilio…

M. Brunetti: …che poi, invece, ne era l’Anti-Spirito, come lo chiamò, da cardinale, Joseph Ratzinger nel 1985.

S. Chiappalone: Venti anni dopo, la stessa persona è ritornata sull’argomento da Papa e, quindi, con autorevolezza ancora maggiore: l’interpretazione del Concilio tramite l’«ermeneutica della discontinuità e della rottura» è, seppur dominante, errata; l’opposizione tra una Chiesa pre- e una post-conciliare è arbitraria e mira ad introdurre la dittatura del relativismo all’interno della Chiesa, nella dottrina, nella morale, nella liturgia ecc.

Curiosamente, rimarrebbe in piedi quell’unico dogma che consiste nel dover farla finita con il passato. Un’ideologia in nome del quale si sono rimossi altari, tabernacoli e balaustre arrivando a sfigurare anche cattedrali storiche come, ad esempio, quella di Pisa. Quanto accaduto nell’arte sacra è, appunto, l’“epifania” di quella cattiva ermeneutica. La lettura dei documenti del Vaticano II riserba sorprese: la costituzione Sacrosantum Concilium deprecava espressamente molti degli scempi compiuti successivamente proprio in nome del Concilio.

Altari su cui per secoli si è celebrato il Sacrificio, se non sono stati smantellati, sono ora ridotti a schienale del celebrante o a mensole per fiori, nonostante non sia mai stato obbligatorio celebrare la Messa, anche nella forma ordinaria, rivolti al popolo: ne parla un documento della Congregazione per il Culto Divino del 2000 e lo insegna Benedetto XVI quando decide di celebrare rivolto ad Deum.

M. Brunetti: Uno sguardo al futuro. Vi sono segnali di speranza?

S. Chiappalone: Personalmente, li individuo nel buon senso comune che non è mai del tutto sparito dal cuore dei fedeli. La risposta più cattolica a qualsiasi tentativo di annacquare (anche visivamente) la fede è costituita dalle folle di pellegrini che continuano a recarsi a pregare nei santuari – e non certo per vedere la nuova chiesa del Divino Amore o quella di Renzo Piano a San Giovanni Rotondo.

Un altro motivo di speranza è la ritrovata attenzione alla dimensione contemplativa della liturgia. Gli scritti del card. Joseph Ratzinger credo siano stati determinanti. La sua prefazione a “Rivolti al Signore” di padre Uwe M. Lang ha sancito idealmente la riapertura del  dibattito sulle modalità concrete della riforma liturgica e la fine del monopolio culturale di quel mondo cattolico “progressista”, interessato più a stravolgere la Chiesa che ad annunciare Cristo.

Alcuni architetti ricominciano a costruire belle chiese che sono davvero «segni e simboli delle realtà celesti» come raccomanda il messale. Vorrei, in conclusione, ancora una volta precisare che l’attenzione alla bellezza non è un vezzo da esteti poiché la Bellezza scaturita dal cristianesimo può parlare ai cuori più direttamente di qualsiasi predica. Del resto, come insegna Benedetto XVI nella Sacramentum Caritatis, «la bellezza, (…), non è un fattore decorativo dell’azione liturgica; ne è piuttosto elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione».