2010, Ritorno alla libertà

europaIl Foglio, 29 dicembre 2009

L’Europa dipende dalla guida morale del cristianesimo, dall’illuminismo e dalla sovranità nazionale. Gli burocrati ci hanno confiscato questi lasciti. Consigli per il buon uso dell’anno nuovo

di Roger Scruton

Alla fine di ogni anno rivolgo il mio sguardo all’indietro, cercando di fare il punto. Faccio un paragone tra i miei figli come sono ora, a nove e undici anni, e com’erano un anno fa. E ripenso alle condizioni sociali e politiche in cui era iniziato l’anno e mi chiedo come siano cambiate le cose.

Solo a quel punto penso al futuro e, come la maggior parte delle persone di buon senso, mi rendo conto di non poter predire quel che verrà, anche se posso decidere di essere una persona migliore. E un modo dei tanti di essere migliore è quello di smettere di fare previsioni e programmi, e di pensare invece ai miei doveri.

Ma viviamo all’ombra di altri, che avevano previsto il futuro ostentando grande sicurezza, e che si sono radunati in riunioni tenutesi in tutto il continente per correggere e applicare il piano regolatore per l’Europa. Un piano pensato quasi un secolo fa da menti ormai da lungo tempo. divorate dai vermi. Forse sarebbe stato il piano giusto, se le loro previsioni si fossero rivelate corrette. Ma erano sbagliate, così come lo sono tutte le previsioni, e ora ci troviamo gravati da una montagna di trattati, leggi e direttive che hanno senso solo in funzione di assunti da lungo tempo smentiti.

Ritenevano, quanti stilarono il Trattato di Roma, che la libertà di circolazione oltre i confini nazionali avrebbe prodotto piccoli aggiustamenti, con lo spostamento dei lavoratori dalle zone di disoccupazione a quelle in crescita. Ritenevano che per garantire l’ “equità delle condizioni” sarebbe bastato un ristretto corpus di norme e regolamenti, e che a tempo debito le rivalità nazionali avrebbero cessato di esistere, mentre la prosperità condivisa tra gli europei superava la reciproca concorrenza.

Naturalmente la realtà si è rivelata diversa. La migrazione incontrollata della popolazione lavoratrice dall’Europa, orientale a quella occidentale ha scompaginato ogni cosa e causato disoccupazione, sovrappopolazione e illegalità in Italia, Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. Le norme e i regolamenti dell’ acquis communautaire sono cresciuti, raggiungendo la cifra di 170 mila pagine di editti senza senso. E la concorrenza tra le nazioni è aumentata in fierezza, tanto che ognuna si batte per usare l’inaffidabile macchina legislativa a proprio vantaggio.

Quest’anno ha visto l’imposizione del Trattato di Lisbona sul popolo europeo, e la scelta di un presidente e di un ministro degli Esteri, teoricamente posti a rappresentanza di quello stesso popolo; senza che però se ne spiegasse il perché e il percome Il ministro degli esteri è inglese, ma di lei sappiamo solo una cosa, e cioè che nonne sappiamo praticamente nulla. Una burocrate senza personalità, promossa senza elezioni da una posizione à un’altra nella gerarchia interna ai Labour, perfettamente adeguata a essere il ministro degli Esteri di un ente che non è fondato su nessuna identità, se non quella di un piano in cui nessuno crede.

Che gli eurocrati, nel prossimo anno, possano coronare l’obiettivo cui mirano da tempo, ovvero quello di legare la City di Londra con vincoli normativi che distruggano infine il suo ascendente, è da vedere. Ma una cosa è certa: le rivalità nazionali all’interno dell’ Unione europea d’ora in avanti saranno l’argomento principale della politica europea. La mia speranza personale è che questa rivalità porti finalmente le nazioni a una maggiore capacità di farsi valere e che i singoli governi si dimostrino pronti a porre un limite alla confisca dei loro poteri.

Dovrebbe essere possibile, per il governo italiano, decidere per conta del suo popolo se desidera mantenere nei propri confini il gran numero di zingari rumeni giunti nel paese senza invito. Dovrebbe essere possibile, per lo stesso governo, ignorare la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’affissione del crocefisso nelle aule scolastiche. E dovrebbe essere possibile per tutti i nostri governi regolamentare le proprie istituzioni finanziarie secondo quanto richiedono l’interesse nazionale e la storia delle relazioni commerciali.

E’ però evidente che l’Europa sta attraversando una crisi d’identità che semplifica l’appropriazione di potere da parte dei burocrati e dei giudici che cercano di governarci. La cultura europea si fonda su tre grandi lasciti: il cristianesimo, la sovranità nazionale e l’illuminismo.

Le nostre élite hanno voltato le spalle al cristianesimo, apparentemente inconsapevoli della misura in cui il popolo europeo ancora dipende dalla sua guida morale e spirituale. La sovranità ci è stata confiscata, cosicché non sappiamo più con certezza quanto siano salde le fonti del diritto, né perché gli dobbiamo obbedienza. E persino l’eredità dell’illuminismo è a rischio, con il diffondersi per il continente di leggi che impediscono di esprimere la propria appartenenza religiosa o nazionale.

La libertà di parola non è più tutelata dalle accuse di “islamofobia” o “xenofobia”, e in molti luoghi d’Europa non si può mettere in dubbio senza esporsi a rischio l’idea fasulla di “società multiculturale”. Ai suoi paladini la “correttezza politica” sembra essere la più tollerante di tutte le fedi. Ma tolleranza significa accettare quanto si disapprova, e questa è una virtù che sembra stare scomparendo dall’ Europa, mentre le ortodossie sono programmate dal sistema giudiziario.

Come dobbiamo rispondere a questa crisi d’identità? L’anno a venire deve certamente essere: un annodi ricerca dell’anima. Ciascuno di noi deve chiedersi qual è la sua posizione rispetto alla religione cristiana, se si ritiene credente o scettico. Ciascuno di noi deve chiedersi quale idea ha della sovranità nazionale, se intende accettare o rifiutare il principio secondo cui ogni popolo dovrebbe elaborare le proprie norme come ente sovrano. E ciascuno di noi deve chiedersi cosa significhi oggi Illuminismo.

Si tratta semplicemente di un nome diverso per il sempre più lungo elenco di “diritti” delle minoranze, impostici dalla macchina europea, il cui effetto è quello di rendere marginale il nostro modus vivendi tradizionale, o rappresenta ancora lo spirito della libertà individuale, compresa la libertà di parola, di religione, e la proprietà privata per cui tante guerre si sono combattute in Europa?

Certamente è giunto il momento di un dibattito pubblico chiaro su queste domande, affinché i due burocrati scelti per rappresentarci sulla scena politica mondiale siano resi edotti dei veri sentimenti del popolo europeo. Gli europei avrebbero molta più fiducia nel proprio futuro se chi parla a loro nome dimostrasse chiaramente anche di aver compreso l’eredità morale, legale e spirituale che ci unisce e fosse pronto a pronunciarsi in sua difesa. In qualche modo dubito che uno di questi due nuovi “leader” sia in grado o di svolgere questo compito o di comprendere perché potrebbe essere necessario.