Oda di Amay

 “cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”

[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].

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di Rino Cammilleri

La santa odierna viene invocata per la protezione degli occhi. Era davvero un pezzo grosso: figlia del re Childeberto, sorella dei futuro re Dagoberto, zia di s. Uberto e madre di Arnoldo, poi vescovo di Metz. Oda andò in sposa a Boggis, duca d’Aquitania. Profondamente pia, aveva saputo maritarsi con un uomo degno di lei. Infatti, d’accordo col marito, il giorno stesso delle nozze divise i suoi beni in tre parti, di cui una la dedicò alla costruzione di chiese, una la destinò ai poveri e una la riservò ai bisogni della nuova famiglia.

Fu un matrimonio felice, una volta tanto. Finché morte non li separò. Sì, perché quei tempi si viveva veramente poco, specialmente gli uomini. Ma c’è da dire che si nasceva realmente già adulti, nei senso che l’educazione tendeva ad anticipare il più possibile l’assunzione di responsabilità. Così, nella pur breve vita, c’era davvero il tempo di fare tutto quello che uno doveva fare. Il Medioevo era un mondo giovane e pieno di giovani; per questo era così audace e temerario.

Insomma, Oda rimase presto vedova. Poiché era ancora nel pieno delle forze e oltremodo piacente, ebbe parecchie profferte di nuove nozze. Ma non volle più saperne: difficilmente avrebbe trovato un altro come il defunto marito. Purtroppo, era il tempo in cui spadroneggiava il tristemente famoso maestro di palazzo Ebronio, vero arbitro della politica di allora. Costui prese a perseguitare Oda, la quale dovette rifugiarsi col nipote s. Uberto in Austrasia, sotto la protezione di s. Lamberto. Dopo aver fatto costruire ad Amay un santuario dedicato a san Giorgio e un’abbazia, morì nel 713.

 il Giornale