Il diritto all’obiezione di coscienza è a rischio

alfredo_mantovanoOsservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.744

del 14 Novembre 2016

 Intervista ad Alfredo Mantovano Vicepresidente del Centro Studi Livatino

a cura di Stefano Fontana

Dott. Mantovano, il recente Convegno del Centro Studi Livatino ha messo a tema il problema del diritto all’obiezione di coscienza. Può riassumere le principali considerazioni e valutazioni emerse dal convegno?

Il convegno si è posto l’obiettivo di far emergere: a) la dimensione europea e internazionale del conflitto sempre più frequente, in ordinamenti che pure si presentano come democratici, fra la legge dello Stato e la coscienza del singolo, b) l’incremento dei settori che sono interessati da tale conflitto, e quindi non più solo quello del personale sanitario, ma anche – fra gli altri – dei funzionari pubblici o dell’insegnante, c) la preoccupazione per l’estensione qualitativa e quantitativa del fenomeno da parte di ambienti culturali non confessionali, d) il carattere di baluardo della civiltà, oltre che della libertà, che oggi l’obiezione di coscienza (per brevità d’ora in avanti “odc”) rappresenta.

A mio avviso, l’obiettivo è stato conseguito grazie: a) a relatori come Gregor Puppinck, che hanno permesso di cogliere i tratti comuni fra i differenti Stati occidentali; b) all’articolazione della problematica per settori nella sezione del convegno che si è valsa dei contributi di Ermanno Pavesi, segretario generale della Fed. Eur. delle associazioni dei medici cattolici, di Pietro Uroda, segretario dell’Unione dei farmacisti cattolici italiani, di Massimo Gandolfini, presidente del Comit. difendiamo i nostri figli (che ha trattato della diffusione dell’ideologia del gender a scuola), di Paolo M. Floris, segretario gen. di un importante comune del Lazio, che ha trattato delle ricadute sugli uffici dell’anagrafe e dello stato civile della legge Cirinnà; c) alle approfondite riflessioni di giuristi come Mauro Ronco, ordinario di diritto penale a Padova, del consigliere della corte di Cassazione Giacomo Rocchi; d) al puntale intervento del presidente dell’ANM Piercamillo Davigo, che ha sottolineato il carattere “profetico” dell’esercizio dell’odc. Siamo stati particolarmente confortati dalla presenza di circa 300 convegnisti, fra i quali presidenti emeriti della Consulta, magistrati, docenti universitari, avvocati, studenti, e da una serie di importanti messaggi, primo fra tutti quello del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità.

La cultura moderna assegna un grande valore alla coscienza individuale, anzi potremmo dire che la esalta e la assolutizza, facendone l’unico criterio di valutazione morale. Come spiega che, nel caso della vita o della famiglia, invece, la impedisce?

La risposta a questa domanda presuppone la corretta identificazione della natura dell’odc: essa non ha niente a che vedere con la manifestazione di mere opinioni, e ancor di più col semplice legittimo dissenso che si esprime nei confronti di una legge. La coscienza, insieme con la ragione, è ciò che distingue gli esseri umani dagli animali, come recita il preambolo alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.

Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”). La coscienza è qualcosa che risuona all’interno dell’uomo e giudica il suo operato: ingiunge all’individuo, al momento opportuno, di compiere il bene e di evitare il male; giudica anche le scelte concrete, approva quelle che sono buone, denunciando quelle cattive. La coscienza morale è un giudizio della ragione: è ben distante dalla suggestione di un momento e chiama in causa la dignità della persona umana, che esige rettitudine.

Essa – ed è questo il punto di radicale divergenza da ogni prospettiva anarcoide – richiama ad una legge non scritta dalla persona – e da nessun altro uomo – ma “scritta nel suo cuore”, che ha carattere vincolante. Lo Stato mi intima “devi fare questa azione” e minaccia una sanzione se non obbedisco; la coscienza e la ragione mi dicono “non devi fare questa azione”, perché la “sanzione” è la perdita della mia personale dignità. Nell’odc non vi è la rivendicazione di un solipsismo libertario, ma l’aggancio alla realtà di natura, della quale il riconoscimento della vita in ogni momento della esistenza e della famiglia come prima elementare società costituiscono fondamenti ineludibili.

Già parecchi anni fa il nostro Osservatorio aveva sostenuto che l’obiezione di coscienza sarebbe diventato il principale problema politico. Ossia non solo un problema di libertà personale ma proprio politico, ossia attinente al bene comune e alla costruzione di una società buona. E’ d’accordo? e se è d’accordo come spiega che invece la politica se ne voglia sbarazzare?

L’estensione dell’odc segnala che qualcosa non va nell’ordinamento. Che il 70% dei ginecologi, il 50% degli anestesisti e poco meno del 50% dei personale sanitario ausiliare dichiarino – sono le cifre attuali – di non voler partecipare al procedimento che conduce all’aborto costituisce, al di là delle intenzioni del singolo professionista, una oggettiva denuncia dell’iniquità della disciplina italiana dell’aborto. Come immaginare che questi dati siano apprezzati da chi è convinto che si possa cambiare con un semplice sì la metà della Costituzione italiana e ritiene che invece di intangibile ci sia solo la legge 194?

Medici, infermieri, farmacisti, insegnanti, sindaci, operatori dei consultori, psicologi … la lista di persone che si scontrano con gravi ostacoli etici nella loro professione si amplia sempre di più. Cosa dire a queste persone sulla possibilità della coerenza di vita?

In molti conoscono il caso di Kim Davis, impiegata dell’anagrafe nello Stato del Kentucky, finita in carcere per aver rifiutato la celebrazione di un matrimonio same sex. In meno conoscono la vicenda di Lillian Ladele, in servizio al London Borough of Islington (UK), addetta alla iscrizione di nascite, morti e matrimoni; dopo l’approvazione del Civil Partnership Act nel 2004 (quindi formalmente non una legge sul matrimonio same sex, bensì sulle unioni civili, simile a quella italiana), fu disposto che l’articolazione dell’ufficio nel quale era inserita Ladele provvedesse anche alla registrazione delle unioni civili.

La funzionaria sollevò obiezione di coscienza, sostenendo che in base alle sue convinzioni religiose non era tenuta a officiare la cerimonia di costituzione di una unione che aveva le caratteristiche del matrimonio; per questo fu licenziata. In primo grado, l’Employment Tribunal ravvisò la discriminazione; l’Employment Appeals Tribunal ribaltò la prima pronuncia, dando torto alla funzionaria. Ladele ha poi proposto ricorso alla Corte EDU, lamentando la discriminazione su base religiosa: il ricorso è stato respinto con decisione definitiva il 27 maggio 2013.

La Corte ha escluso lesione di diritti e quindi ha confermato il licenziamento, per l’esplicita ragione che nell’UK manca una norma specifica che autorizzi l’obiezione di coscienza. Kim Davis ha perso la libertà, Lilian Ledale ha perso il lavoro; certo, restano le testimonianze di una coscienza che non si piega davanti alla legge che reputa ingiusta. Ma il prezzo si è elevato a tale punto che non può essere considerato un loro problema: è un problema di ogni persona di buona volontà, e anzitutto di chi ha gli strumenti culturali e professionali per chiarire nel modo più serio quale è la posta in gioco. E’ ciò che spinge il Centro studi Livatino a ritenere prioritaria la trattazione della materia.

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” si legge nel libro degli Atti degli Apostoli: cosa aggiunge la fede cristiana al diritto/dovere di obiezione di coscienza?

Mi permetto di ribadire che non si tratta di una questione confessionale. E’ sufficiente ricordare le parole adoperate nel 1991 dalla Corte cost. italiana a proposito dell’odc, per la quale “la sfera intima della coscienza individuale deve esser considerata come il riflesso giuridico più profondo dell’idea universale della dignità della persona umana che circonda quei diritti, riflesso giuridico che, nelle sue determinazioni conformi a quell’idea essenziale, esige una tutela equivalente a quella accordata ai menzionati diritti, vale a dire una tutela proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essi riconosciuti nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana.” La fede cristiana aggiunge a queste considerazioni di ordine naturale la consapevolezza che la propria dignità ha senso in quanto è il riflesso dell’immagine e della somiglianza col Creatore: e per questo merita il posto centrale.