Il concetto di persona, conquista dell’antropologia cristiana

Cultura&Identitàteatro_tragedia. Rivista di studi conservatori Anno VIII nuova serie

n. 12 5 giugno 2016

La nozione di “persona”, come qualità intrinseca di un individuo che va al di là della sua mera consistenza corporea, è nata in seno al pensiero cristiano antico e si è trasfusa nel substrato della cultura dei popoli dell’Occidente, lasciandovi corposi sedimenti nell’Età Moderna, in cui il senso del termine ha iniziato a essere modificato per recepire nuovi ma distorcenti paradigmi, fino alla piena negazione contemporanea

di Ermanno Pavesi

1. L’uomo come persona: considerazioni generali

Nella cultura occidentale l’uomo viene denominato spesso “persona” (1) e anche la psicologia di tutti i giorni riconosce la peculiarità dell’essere umano e la sua dignità particolare rispetto agli altri esseri viventi, e gli attribuisce, fra l’altro, ragione e libero arbitrio. Si può addirittura pensare che ogni cultura debba conoscere il concetto di persona, ma questo è strettamente legato alla tradizione biblica e cristiana.

2. “Scoperta dell’anima” e origine del concetto di persona

Il flosofo Giovanni Reale (1931-2014) ha descritto due passaggi importanti nella storia della cultura occidentale: la “scoperta dell’anima” da parte del filosofo greco Socrate (469-399 a. C.) e la formazione del concetto “dell’uomo come persona”. Prima di Socrate lo spirito vitale che abbandona il corpo umano dopo la morte veniva chiamato “psiche”. Le funzioni che noi definiamo psichiche erano attribuite a organi somatici, come il cervello, il cuore e il fegato. Socrate ha descritto per primo l’anima come qualcosa di autonomo e l’ha identificata con tutto l’uomo: per Socrate non esistevano dubbi «[…] che l’anima è l’uomo» (2).

La filosofia greca aveva riconosciuto la particolare posizione dell’uomo nel cosmo. Si trovava però confrontata con un problema difficilmente solubile con la sola ragione: come si potrebbe spiegare il rapporto fra una psiche immateriale e potenzialmente immortale e un corpo materiale e fragile e potenzialmente mortale? Sembrava che ci fossero solo due possibilità: o l’anima rappresentava la natura vera e propria dell’uomo e il corpo veniva considerato come qualcosa di estraneo, persino come il carcere dell’anima, oppure l’anima veniva considerata come forma del corpo e quindi come mortale.

Solo il racconto biblico della creazione ha reso possibile una svolta: tutta la creazione, quindi anche le cose materiali, corrisponde al piano di Dio ed è buona: l’uomo è stato addirittura creato a immagine e a somiglianza di Dio. «Il fondamento spirituale dell‘Europa, che dal punto di vista assiologico può essere considerato un vertice, […] è uno dei concetti chiave del Cristianesimo, ossia il concetto di “uomo” come “persona”, con la connessa rivalutazione radicale del corpo umano. Quello di “persona” è un concetto che i Greci, malgrado l’elevatezza della nozione psyche (che pure muoveva in questa direzione), non avevano raggiunto; quanto al corpo, poi, i Greci ne avevano un concetto negativo» (3).

Solamente la creazione, come viene descritta nella Bibbia, può superare questa difficoltà. Dio non ha creato solo il cielo e le cose spirituali e invisibili, ma anche la terra e le cose visibili e materiali. Se per il pensiero greco il corpo poteva essere il carcere dell’anima, per san Paolo (5/10-64/67) invece esso è il «tempio dello Spirito Santo» (1 Cor 6,19). L’incarnazione di Dio mostra inoltre non solo che un’anima spirituale si può unire con un corpo materiale, ma che Dio può assumere addirittura la natura umana.

In ogni cultura esiste una precisa relazione fra l’immagine di Dio, quella dell’uomo e quella del mondo. Solo l’idea di “Dio come persona” ha consentito l’elaborazione del concetto di uomo come persona. “Uomo come persona” e “Dio come persona” sono i due concetti, «[…] che costituiscono la chiave di volta della “rivoluzione” cristiana e che schiudono al pensiero umano orizzonti del tutto nuovi: alludo al concetto di “uomo come persona”, completamente sconosciuto al pensiero greco (1931-2014), e alle altre culture, in connessione con il concetto di “Dio come persona”, che instaura un rapporto diretto con ciascuno degli uomini e da cui dipende la stessa nozione di uomo-persona» (4).

Nel corso della diffusione del cristianesimo l’idea dell’uomo come persona, cioè di un essere razionale dotato di ragione e di libero arbitrio, si è dovuta confrontare con un paganesimo profondamente influenzato dall’astrologia, dove dominano concezioni deterministiche: «Il cristianesimo primitivo era destinato a dichiarare guerra alla concezione astrologica dell’universo, come pure alla venerazione degli antichi dèi pagani. Fin dall’inizio quindi fu compito dei Padri della Chiesa minare la credenza nella predestinazione astrale e mostrare l’inconsistenza della fede negli dèi antichi. Nel caso degli dèi che erano anche divinità planetarie si combatté una battaglia su due fronti contro un unico nemico» (5).

Nella nostra area culturale si è progressivamente imposta l’idea dell’uomo come essere razionale e dotato di libero arbitrio, capace di distinguere fra bene e male, di scegliere l’uno o l’altro e di assumersene la responsabilità. Dall’inizio del secondo millennio si sono però diffuse nelle università appena fondate visioni del mondo e dell’uomo di origine ellenistica e araba. Queste teorie negavano fra l’altro l’esistenza di un’anima umana individuale e immortale e il libero arbitrio. Queste teorie deterministiche hanno contribuito in parte allo sviluppo della scienza: hanno rappresentato, infatti, la «condizione della concepibilità della natura» (6) , ma hanno anche favorito il riduzionismo.

La Chiesa ha reagito alla diffusione delle teorie deterministiche con sant’Alberto Magno (1193/1206-1280) e san Bonaventura (1221-1274), ma soprattutto con san Tommaso d’Aquino (1125/1226-1274); anche i primi rappresentanti dell’Umanesimo hanno difeso il libero arbitrio e l’immortalità dell’anima (7) . Con la Riforma protestante è cominciata la crisi di tale visione dell’uomo. Si deve ricordare che Martin Lutero, O.A. (1483-1546), dedica una delle sue opere più importanti, il De servo arbitrio, alla confutazione del concetto di libero arbitrio, definisce poi la ragione una prostituta che travia l’uomo o come «la più grande prostituta al servizio del diavolo» (8).

Lutero critica due delle più importanti funzioni della persona umana: l’uomo non sarebbe in grado di distinguere fra bene e male e le sue azioni sarebbero determinate non dal libero arbitrio, ma dalla concupiscenza. Quegli autori che hanno preso le distanze dal cristianesimo hanno negato sempre più la dimensione personale dell’uomo. La cultura occidentale aveva però talmente assimilato l’idea dell’uomo come persona — cosa che comprende anche la sua speciale dignità e i suoi diritti inalienabili —, che in essa sono sopravvissuti alcuni aspetti della concezione cristiana dell’uomo.

L’origine cristiana di questi valori è passata in secondo piano, al punto che questi valori sono stati considerati addirittura come una conquista che sarebbe stata possibile solamente grazie a una presunta “svolta antropologica” del mondo moderno e con l’emancipazione dal cristianesimo. Anche il più importante teologo protestante dopo Lutero, Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768-1834), ha negato la dimensione personale dell’uomo. Egli infatti scrive: «Voi sapete che la divinità, con una legge immutabile, ha costretto se stessa a scindere in due la sua grande opera fino all’infinito, di fondere insieme due forze contrapposte per formare ogni essere determinato, e far diventare realtà ciascuna delle sue idee eterne in due forme gemelle, ostili una all’altra ma che tuttavia possono esistere solo una grazie all’altra e inseparabili. La totalità di questo mondo corporeo […] appare […] nient’altro che un gioco infinito di forze contrapposte. Ogni vita non è che il risultato di una continua attrazione e ripulsione, l’essere determinato di ogni cosa risulta dal fatto che le due energie primordiali della natura, quella che attira a sé avidamente e quella che si espande in modo dinamico e vitale, sono combinate e stanno insieme in un modo determinato. Mi sembra che anche gli spiriti, appena trapiantati in questo mondo, debbano conformarsi a questa legge. L’anima di ogni uomo — le sue azioni nel tempo così come le proprietà interne del suo essere ci conducono a questa constatazione — non è che il prodotto di due tendenze contrapposte» (9).

Schleiermacher non attribuisce sostanzialità all’anima, la quale non sarebbe un principio autonomo e individuale che dirige lo sviluppo umano fin dall’inizio, ma sarebbe soltanto il prodotto di istinti opposti. Si tratta di una spiegazione dialettica dell’uomo e della realtà. Questa teoria, che spiega tutta la realtà e l’attività psichica dell’uomo come prodotto di due forze o istinti opposti, ha trovato una eco nella teoria di Sigmund Freud (1856-1939), che scrive: «Alcuni lettori di questo saggio potrebbero inoltre avere l’impressione di aver udito troppo spesso la formula della lotta tra Eros e pulsione di morte. Usata per contraddistinguere il processo d’incivilimento cui l’umanità è sottoposta, essa fu riferita anche allo sviluppo dell’individuo e per giunta fu ritenuta atta a rivelare il segreto della vita organica in generale» (10).

Il rifiuto della sostanzialità dell’anima umana e della dimensione personale dell’uomo rappresenta come un “filo rosso” che accomuna importanti rappresentanti di tutta la filosofa moderna. «Ciò che si è convenuto di definire come la filosofa moderna — precisa il filosofo francese Pierre Manent — si forma nel XVII secolo con una presa di posizione polemica contro la filosofa di Aristotele, e più precisamente contro la sua fisica e la sua metafisica, e più precisamente ancora contro la sua dottrina della “sostanza”, che riguarda la natura in generale e l’uomo in modo speciale.

Che quest’ultimo sia sostanza, “forma sostanziale”, con un suo rango all’interno di una gerarchia di sostanze o di forme, che sia una natura, con un suo rango, il rango delle nature sia animali che razionali, in una gerarchia di nature, che l’anima umana sia la “forma” del corpo umano, è questo insegnamento di Aristotele che era stato adottato nei suoi punti essenziali dalla dottrina cattolica e che Descartes [René (1596-1650)] come Hobbes [Thomas (1588-1679)], Spinoza [Baruch (1632- 1677)] come Locke [John (1632-1704)] si mettono a distruggere implacabilmente. Che l’uomo sia una sostanza, e una sostanza unica, rappresenta il Carthago delenda della nuova flosofa» (11).

Questa dottrina, nella sua forma cattolica, afferma che l’anima è tanto sostanza, cioè capace di esistenza autonoma, quanto forma del corpo, cioè, come principio vitale, è anche principio di tutte le attività con le quali la vita si manifesta in tutte le sue funzioni: vegetative, sensitive e razionali. L’intento anti-cattolico si è diretto contro la dottrina rivelata, anche se nella tradizione occidentale di essa sono stati mantenuti implicitamente importanti elementi. «Abbiamo visto che dall’inizio del tempo moderno — scrive il teologo e filosofo tedesco di origini italiane don Romano Guardini (1885-1968) — si viene elaborando una cultura non-cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli della personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell’aiuto scambievole, sono possibilità innate nell’uomo che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato. Certamente la cultura umana dei primi tempi del cristianesimo ha favorito la loro germinazione, mentre nel Medio Evo sono state ulteriormente sviluppate dalla preoccupazione religiosa per la vita interiore e la carità attiva; ma poi questa autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è divenuta una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell’uomo al tempo della Rivoluzione francese. In verità questi valori e queste attitudini sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto riguardo a ciò che è immediatamente-umano. […] Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a fgli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale» (12).

Guardini precisa che la verità sull’uomo può essere conosciuta fino a un certo punto per mezzo della ragione, ma che solo la Rivelazione consente una conoscenza più profonda dell’uomo e, in particolare, della sua dimensione personale. Per questo, il rifiuto della Rivelazione oscura tale conoscenza: «[…] in realtà — continua Guardini — si era rivelato un vuoto che esisteva ormai da lungo tempo. L’autentica personalità, assieme al suo mondo di valori e di atteggiamenti, era scomparsa dalla coscienza col rifiuto della Rivelazione» (13).

Il rifiuto della Rivelazione, e quindi il rifiuto della fede in Dio come persona e nella creazione, ha prodotto i suoi effetti solo con il tempo, perché intere generazioni sono cresciute e sono vissute in un una cultura che per molto tempo ha potuto alimentarsi ancora della sua eredità cristiana: «La conoscenza della persona è perciò legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute» (14).

Gli uomini non si sono ancora resi completamente conto delle conseguenze della scristianizzazione: «Già Nietzsche [Friedrich (1844-1900)] — scrive Guardini — aveva ammonito che il moderno non cristiano non aveva ancora compreso che cosa sia essere tale. I vent’anni trascorsi ce ne hanno dato una idea, e non era che l’inizio» (15). Nella sua analisi della fine dell’epoca moderna, scritta appena dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Guardini ha dato una particolare interpretazione dell’esperienza del nazionalsocialismo nei “vent’anni trascorsi”.

Mentre il nazionalsocialismo è stato spesso interpretato come l’ultima manifestazione di sistemi autoritari storicamente superati, i crimini del nazionalsocialismo rappresentano per lui l’esito coerente dell’epoca moderna non-cristiana. Se la dignità dell’uomo è strettamente legata alla sua dimensione personale, e questa dipende dalla visione dell’uomo biblica e cristiana, l’allontanamento dalla fede cristiana porta inevitabilmente all’indebolimento del rispetto per la dignità umana e i diritti umani. Ciò che il nazionalsocialismo ha dimostrato in modo radicale e drammatico.

3. La dimensione personale dell’uomo

Parlare di “dimensione personale” significa affermare che nell’uomo vi è un principio spirituale, esposto a influenze tanto interne, quanto esterne, ma che, grazie all’uso di ragione e al libero arbitrio, non è completamente determinato da tali influssi.

Alcune filosofie moderne considerano l’immagine che l’uomo ha di sé come una “falsa coscienza”. L’uomo è convinto di prendere decisioni meditate e responsabili, mentre di fatto sarebbe determinato da forze precise. Correnti filosofiche e psicologiche moderne hanno formulato loro teorie sulla natura di queste forze e, quindi, una visione dell’uomo riduzionistica. «C’è anzitutto il fatto — prosegue Guardini —, sempre più evidente, che la cultura dei tempi moderni, scienza, filosofa, pedagogia, sociologia, letteratura, ha visto l’uomo sotto una falsa luce; non solamente in determinati aspetti, ma nel suo principio, e perciò nella sua totalità. L’uomo non è quello che ci indicano il positivismo ed il materialismo. Secondo queste teorie egli si “sviluppa” dalla vita animale, che è prodotta a sua volta da non si sa quale differenziazione della materia. Nonostante tanti punti di contatto con la materia, l’uomo è qualche cosa di essenzialmente particolare, poiché viene determinato dallo spirito, che a sua volta non può essere fatto derivare da nulla di materiale. Tutto quello che esso è acquista perciò un carattere proprio che lo differenzia da ogni altro essere vivente» (16).

La negazione dell’esistenza nell’uomo di una istanza soggetta a influenze interne ed esterne, ma anche capace di coordinare le varie funzioni psichiche e di orientarle verso un fine determinato, lo lascia in balìa di ogni influenza e consente anche di interpretarlo in modo riduttivo. «L’uomo — ancora secondo Guardini — quale è concepito dai tempi moderni non esiste. I rinnovati tentativi di richiuderlo in categorie alle quali egli non appartiene: meccaniche, biologiche, psicologiche, sociologiche, sono tutte variazioni della volontà fondamentale di fare di lui un essere che sia “natura” e diciamo pure natura spirituale. E non si vede ciò che egli è anzitutto ed in modo assoluto: persona finita, che come tale esiste, anche quando non lo voglia, anche quando rinneghi la propria natura. Chiamato da Dio, posto in relazione con le cose e con le altre persone. Persona che ha la stupenda e terribile libertà di conservare o di distruggere il mondo, e persino di affermare e di realizzare se stessa o di abbandonarsi e perdersi» (17).

Il riduzionismo moderno tende a svalutare la dimensione personale dell’uomo, a considerarla come falsa coscienza, come epifenomeno di processi fisiologici, come sovrastruttura di forze istintive, come maschera dell’inconscio collettivo, come «l’insieme dei rapporti sociali» (18).

4. Psicologia “del profondo”

Quando si parla di psicologia “del profondo” — o psicoanalisi — si potrebbe pensare, che questa forma di psicologia, sviluppata dal medico austriaco Sigmund Freud, proprio in quanto pretende di richiamarsi a una visione “profonda” dell’essere umano, prenda in considerazione il nucleo centrale della persona, cioè quanto di più personale vi è nell’uomo: ma non è così. La psicoanalisi sostiene che la vita psichica cosciente dipende dall’inconscio e contraddice le concezioni della psicologia tradizionale e della filosofa, poiché non sarebbe possibile spiegare i contenuti psichici e le azioni dell’uomo a partire dall’attività psichica cosciente: «Cosa dirà — scrive Freud — dunque il filosofo di una dottrina come la psicoanalisi la quale asserisce al contrario che ciò che è psichico è in sé inconscio, essendo la consapevolezza soltanto una qualità che può aggiungersi o non aggiungersi al singolo atto psichico, e che, quand’anche manchi, nulla di quell’atto viene peraltro mutato?» (19).

L’inconscio rappresenta, poi, la regione nella quale processi somatici danno origine alle prime rappresentazioni psichiche, che quindi potrebbero essere spiegate adeguatamente solo riconoscendone la base organica: «L’edificio dottrinale della psicoanalisi che abbiamo creato è in realtà una sovrastruttura, che prima o poi ha da essere collocata sul suo fondamento organico; ma questo non ci è ancora noto» (20).

Freud riconosce che la descrizione dei fenomeni da parte della psicoanalisi, anche se più precisa di quelle di altre psicologie, non è ancora soddisfacente e spera nel progresso delle scienze naturali: «Probabilmente — scrive — le carenze della nostra esposizione scomparirebbero se fossimo già nella condizione di sostituire i termini psicologici con quelli della fisiologia o della chimica» (21).

Nel corso degli anni Freud ha diviso «l’apparato psichico della persona» in tre regioni o istanze: «Super-Io, Io ed Es» (22), e, per indicare quella regione che prima aveva chiamato “inconscio”, ha ripreso il termine “Es” dal medico tedesco e precursore della psicosomatica Georg Groddeck (1866-1934), perché questo termine caratterizza meglio la proprietà dell’attività psichica inconscia: «Questo pronome impersonale — sostiene Freud — sembra particolarmente adatto a esprimere il carattere precipuo di questa provincia psichica, la sua estraneità all’Io» (23).

Proprio l’uso di questa preposizione impersonale mette in rilievo il contrasto fra gli elementi impersonali e istintivi dell’essere umano e la sua dimensione personale. In questo Freud riconosce di seguire l’esempio di Groddeck, «[…] il quale ripetutamente insiste nel concetto che ciò che chiamiamo il nostro Io si comporta nella vita in modo essenzialmente passivo, e che — per usare la sua espressione — noi veniamo “vissuti” da forze ignote e incontrollabili» (24).

Molti filosofi e psicologi possono condividere questa teoria, cioè che coscienza, ragione e libero arbitrio non sono determinanti per l’attività psichica e per le azioni, ma che queste sono determinate da «forze ignote e incontrollabili», anche se ciascuna corrente ritiene di essere la sola a interpretarle correttamente. Per Carl Gustav Jung (1875-1961) le caratteristiche individuali di un uomo non rappresentano una individualità, ma sarebbero solo una facciata, una maschera, che corrispondono al ruolo che la società impone a ogni individuo.

Jung si riferisce a una interpretazione dell’etimologia del termine quando utilizza il termine “persona”: «Il termine è veramente appropriato, giacché originariamente Persona era la maschera che portava l’attore e che indicava la parte da lui rappresentata» (25). L’uomo si illuderebbe di prendere decisioni autonomamente, in realtà non avrebbe un ruolo attivo: «Può ben darsi il caso — sostiene Jung — che pensiamo per tutta la vita di tirar dritto per la nostra strada, e possiamo anche non scoprire mai che, in massima parte, siamo comparse sul palcoscenico del teatro del mondo» (26).

La persona, la maschera, costringerebbe a recitare sempre e solo un preciso ruolo, cioè di realizzare solamente una piccola parte della disposizione innata comune a tutti gli uomini: «Solo perché la Persona è un segmento più o meno accidentale o arbitrario della psiche collettiva, possiamo cadere nell’errore di considerarla anche in toto, come qualcosa d’individuale; ma come dice il nome, essa è solo una maschera della psiche collettiva, una maschera che simula l’individualità, che fa credere agli altri che chi la porta sia individuale (ed egli stesso vi crede), mentre non si tratta che di una parte rappresentata in teatro, nella quale parla la psiche collettiva. Se analizziamo la Persona, stacchiamo la maschera e scopriamo che ciò che pareva individuale è, in fondo, collettivo, in altre parole che la Persona era soltanto la maschera della psiche collettiva. Tutto sommato, la Persona non è nulla di “reale”. È un compromesso fra l’individuo e la società su “ciò che uno appare”» (27).

5. “Neurofilosofia”

I progressi delle neuroscienze hanno alimentato la speranza di poter spiegare in un tempo non troppo lontano tutta l’attività psichica come prodotto di processi neurobiologici. L’identità personale sarebbe solo l’associazione di proprietà e contenuti psichici differenti, ma non una istanza autonoma e con una continuità nel tempo. Scrive Jung: «Supponiamo che fusione e scissione divengano comuni, vale a dire, supponiamo che divenga del tutto comune che quando persone diverse si incontrano per strada si fondano in un solo corpo. Oppure, nel caso della scissione, immaginiamo che una singola persona possa ramificarsi in cinque persone identiche come risultato della divisione del suo corpo originario. Se tali casi divenissero comuni, avremmo problemi molto seri con la nostra nozione di identità personale. Credo che, probabilmente non avrebbe più applicazione» (28).

Per Gerhard Roth, professore di Fisiologia del Comportamento all’Università di Brema, in Germania, tutta l’attività psichica sarebbe solo il prodotto dell’attività cerebrale e l’immagine che ciascuno ha della realtà sarebbe solo una costruzione e questo varrebbe anche per l’Io: «Non solo le cose da me percepite — argomenta — sono costrutti nella realtà, io stesso sono un costrutto» (29) e ancora: «La realtà non è un costrutto del mio Io, poiché io stesso sono un costrutto» (30).

Fra i “neurofilosofi” vi sono alcuni studiosi che mettono in discussione anche la particolarità del vissuto umano: per questo sono state formulate ipotesi fantasiose su marziani e “zombi”, cioè esseri simili all’uomo, ma che non possiedono l’autocoscienza umana.

6. Fatali conseguenze dell’uso moderno del concetto di “persona”

Alcuni autori moderni intendono con persona qualcosa di diverso rispetto alla tradizione cristiana. Per l’antropologia cristiana la dimensione personale dell’uomo è strettamente collegata all’idea di un’anima individuale, spirituale e immortale, presente in ogni individuo fin dal concepimento, in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio e che caratterizza il suo sviluppo per tutta la sua vita. Per essi l’uomo non è persona, ma lo diventa, cioè sviluppa un’identità particolare e consapevolezza di sé o assumendo un determinato ruolo sociale che gli è stato imposto dalla società, oppure quando il sistema nervoso centrale si è sviluppato in modo tale da permettergli un sufficiente grado di autocoscienza interagendo con altri uomini e con l’ambiente.

La teoria che l’uomo non è una persona fin dall’inizio, ma che lo diventa in una determinata fase dello sviluppo ha conseguenze importanti. Ogni individuo sarebbe dapprima solo un essere vivente con un patrimonio genetico determinato e con un sistema nervoso centrale in via di sviluppo, per cui non gli vengono ancora riconosciuti né una dignità di persona e neppure diritti umani. Se un individuo non è di per sé persona, si pone la questione come, quando e da chi gli deve essere riconosciuta la dimensione personale.

I crimini dei nazionalsocialisti hanno scosso la visione ottimistica della storia: ci si è resi conto che l’individuo non è protetto dagli abusi di una legislazione ingiusta neanche in moderni Stati di diritto. È sembrato quindi necessario proteggere ogni individuo da possibili violazioni. Il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite afferma «[…] che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo».

La dichiarazione sottolinea inequivocabilmente che la dignità umana appartiene a ogni membro della famiglia umana, e vuole quindi proteggere ogni essere umano da ogni arbitrio anche da parte dello Stato. Dichiara pure «[…] che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo» (31). Non pochi autori contemporanei contraddicono i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: un caso estremo è rappresentato dalla proposta di alcuni “bioeticisti” di legittimare il cosiddetto aborto postnatale (32).

7. La teoria dell’aborto “post-natale”

Alberto Giubilini e Francesca Minerva, due “bioeticisti“, sostengono, per esempio, che alcuni genitori sono svantaggiati, se certe malattie o malformazioni dei figli possono essere diagnosticate solo verso la fine della gravidanza, quando un’interruzione della gravidanza non è più consentita, o addirittura dopo la nascita. I due studiosi sostengono una concezione singolare di persona: «Noi consideriamo come persona un individuo che è capace di attribuire alla propria esistenza (per lo meno) alcuni valori fondamentali, così che può sentire come perdita se viene privato della sua esistenza. Questo significa che molti [sic!] animali e uomini con un handicap mentale sono persone, ma che tutti gli individui che non sono in grado di attribuire un qualche valore alla propria esistenza non sono persone» (33).

Secondo queste considerazioni stravaganti si potrebbe uccidere un essere umano se questi non è ancora o non più in grado di essere cosciente del valore della propria vita. Non gli si procurerebbe alcun danno, poiché non potrebbe rendersi conto di patirlo (34). Dal momento che in molti Paesi la legge consente di praticare l’aborto nei primi mesi di gravidanza, questo diritto dovrebbe essere esteso all’uccisione del feto e addirittura del neonato, in quest’ultimo caso con un “aborto post-natale”. Solo in una fase più avanzata dello sviluppo l’essere umano potrebbe essere riconosciuto come persona, quando avesse raggiunto un certo grado di autocoscienza e avesse pure un progetto di vita. Se un bambino ha raggiunto questo grado di sviluppo, ciò dovrebbe essere deciso da neurologi e psicologi (35), che avrebbero la competenza di decidere se un neonato può essere ucciso.

8. Conclusioni

Il concetto di uomo come persona è una conquista dell’antropologia cristiana, che si basa sulla idea che l’uomo è tato creato a immagine e somiglianza di Dio. Al giorno d’oggi il concetto di persona viene utilizzato spesso indipendentemente dal suo significato originario, senza che ci sia una definizione condivisa. Per noi cristiani il concetto di persona rimanda alla particolare dignità dell’uomo e, per questo, tendiamo a parlare di persona anche in questioni bioetiche, la discussione però diventa filosofica. Molti interlocutori possono avere altre concezioni e soprattutto sostenere che l’uomo non è persona fin dall’inizio e che con il suo decadimento psichico può perdere la sua dignità di persona.

Appare quindi consigliabile parlare piuttosto dell’uomo come del membro della famiglia umana, secondo la formula utilizzata dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sulla definizione di persona si può discutere, dal punto di vista scientifico un esame genetico può invece dimostrare inequivocabilmente che l’embrione è già un nuovo membro della famiglia umana.

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1) Una delle etimologie del termine “persona” rimanda al verbo latino — di origine etrusca — “personāre”, riferito alla maschera (“persōna”, in greco πρόσωπον, prósōpon) indossata dagli attori del teatro romano, che aveva anche la funzione di amplifcare — da qui il prefisso accrescitivo “per” — la voce. Per traslato, ciò che qualifica in maniera unica l’essere umano, situandosi fra la corporeità fisica e lo spirito, ovvero la razionalità.

2) Platone (428/427-348/347 a.C.), Alcibiade maggiore, 130 C, in Idem, Tutti gli scritti, trad. it., a cura di Giovanni Reale 6 a ed., Bompiani, Milano 2010, pp. 595-632 (p. 623).

3) G. Reale, Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una rinascita dell’uomo europeo, Cortina, Milano 2003, p. 79.

4) Ibid., p. 7.

5) Raymond Klibansky (1905-2005); Erwin Panofsky (1892-1968) e Fritz Saxl (1890-1948), Saturno e la melanconia. Studi su storia della flosofa naturale, medicina, religione e arte, 1964, trad. it., n. ed. ampliata, Einaudi, Torino 2002, p. 149.

6) Ibid., p. 167.

7) Cfr. i capitoli L’Umanesimo, Francesco Petrarca e la nascita dell’Umanesimo e Umanisti cristiani nel mio Poco meno di un angelo. L’uomo, soltanto una particella della natura?, D’Ettoris Editori, Crotone 2016, pp. 111-151.

8) La ragione «[…] ist die höchste Hur, die der Teufel hat» (M. Lutero, Predigt am zweiten Sonntag nach Epiphanie, in Predigte des Jahres 1546, in D. Martin Luthers Werke, Kritische Gasamtausgabe (Weimarer Ausgabe), 73 voll., Böhlaus Nachfolger, Weimar (Impero Germanico) 1914, vol. LI, p. 126, vv. 9-10).

9) Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, Sulla religione. Discorsi a quegli intellettuali che la disprezzano, 1799, trad. it., a cura di Salvatore Spera, Queriniana, Brescia 1989, pp. 43-44 (trad. modifcata da me).

10) Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, trad. it., in Opere, Boringhieri, Torino 1978, vol. X, 1924-1929. Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti, pp. 553-630 (p. 625)

11) Pierre Manent, La cité de l’homme, Flammarion, Parigi 2012, pp. 161-162.

12) Romano Guardini, La fine dell’epoca moderna, 1950, trad. it., in Idem, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 7-109 (pp. 98-100).

13) Ibid., p. 101.

14) Ibid., p. 100.

15) Ibid., p. 102.

16) Ibid., p. 78.

17) Ibid., p. 80.

18) Cfr. Karl Marx (1881-1883), Tesi su Feuerbach, 1888 (redazione 1845), trad. it. integrale in Feuerbach. Marx. Engels, Materialismo dialettico e materialismo storico, a cura di Cornelio Fabro C.S.S.R. (1911-1995), La Scuola, Brescia 1962, pp. 81-84, Tesi VI, p. 83 (il testo delle Tesi è consultabile anche alla pagina ) https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1845/3/tesi-f.htm .

19) S. Freud, Le resistenze alla psicoanalisi, trad. it., in Opere, cit., vol. X, 1924-1929. Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti, cit., pp. 45-58 (p. 53).

20) Idem, Introduzione alla psicoanalisi, trad. it., ibid., vol. VIII, 1915-1917. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, pp. 189-618 (p. 542).

21) Idem, Al di là del principio del piacere, trad. it., ibid., vol. IX, 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, pp. 187-249 (p. 245).

22) Idem, Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), trad. it., ibid., vol. XI, 1930-1938, pp. 115-284 (p. 184).

23) Ibidem.

24) Idem, L’Io e l’Es, trad. it., ibid., vol. VIII, 1915-1917. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, cit., pp. 471-520 (p. 486).

25) Carl Gustav Jung, L’Io e l’inconscio, 1928, trad. it., in Idem, Due testi di psicologia analitica, Boringhieri, Torino 1983, pp. 121-314 (p. 155).

26) Aniela Jaffé (1903-1991) (a cura di), Ricordi, sogni, rifessioni di C. G. Jung, 1961, trad. it., ed. riveduta e accresciuta, Rizzoli, Milano 1997, p. 125.

27) C. G. Jung, L’Io e l’inconscio, cit., p. 154-155.

28) Ibid., pp. 251-252.

29) Gerhard Roth, Das Gehirn und seine Wirklichkeit [Il cervello e la sua realtà], Suhrkamp, Francoforte sul Meno 1996, p. 329.

30) Ibid., p. 330.

31) Organizzazione delle Nazioni Unite, Dichiarazione dei Diritti Umani, del 10 dicembre 1948, alla pagina http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Pages/Language.aspx? , consultata il 19-5-2016 (entrambi i brani).

32) Alberto Giubilini e Francesca Minerva, Afterbirth Abortion. Why should the Baby Live?, in JME Online First, 2-3-2012, alla pagina https://kuruc.info/galeriaN/egyeb/after-birth_abortion.pdf

33) Ibid., p. 2.

34) Ibid., p. 3.

35) Ibid., p. 4.