Paolo di Costantinopoli

“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”

[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].

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di Rino Cammilleri

Greco di Tessalonica e giovane lettore nella chiesa di Costantinopoli, gli fu profetizzato dal patriarca s. Metrofane l’episcopato. Infatti, nel 336, alla morte del patriarca Alessandro, toccò a lui. Ma se Costante, imperatore d’Occidente, era ortodosso, quello d’Oriente, Costanzo, era ariano. L’eresiarca Ario di Alessandria era morto nello stesso anno, il 336, ma la sua dottrina gli sopravviveva alla grande perché spiegava la Trinità in modo fin troppo semplice (Cristo non era che una creatura “speciale”). E i vescovi ariani fecero bandire Paolo.

Questi si rifugiò a Treviri, capitale d’Occidente, e poi a Roma, dove il papa Giulio I riconobbe il suo diritto (sancito dal concilio di Nicea, che nel 325 aveva condannato l’arianesimo). Paolo tornò dunque a Costantinopoli con lettere del papa e di Costante, ma una dimostrazione popolare a suo favore degenerò in tumulti che costarono la vita al generale Ermogene, incaricato di sedarli. Costanzo, per non esasperare la situazione già incandescente, si limitò a riespellere Paolo.

Si entrò in stallo, con la sede patriarcale di fatto vacante. Prevalsero alfine le pressioni occidentali e Paolo potè rientrare per qualche anno. Ma nel 350 morì Costante, e Costanzo ebbe mano libera contro Paolo. Questi fu arrestato con un trucco, per non incorrere nella furia popolare. Ma, poiché anche in esilio costituiva un problema, fu portato prima in Mesopotamia, poi in Siria e infine in Armenia, a Cucuso. Qui venne sbattuto in una profonda segreta e lasciato una settimana senza cibo e acqua. Alla fine, venne strangolato alla chetichella.

Il Giornale 7 giugno 2005