Quando gli iceberg arrivavano alla latitudine di Napoli e nessuno si angosciava per il cambiamento climatico.

icebergTratto da: www.svipop.org

di Fabio Malaspina (fisico)

Nella notte del 14 aprile 1912, durante il viaggio inaugurale, il Titanic (soprannominato “l’inaffondabile”) urtò contro un grande iceberg e colò a picco alle ore 2.20 della mattina del giorno 15, causando la morte di 1512 persone. Era quasi giunto a destinazione (41.16 N; 50,14 O), si trovava praticamente davanti a New York. Ma come mai degli iceberg galleggiavano alla latitudine di Napoli? Di fronte a quale sconvolgimento climatico si trovarono i passeggeri della nave?

Sorprendentemente, invece, non è un caso unico nella storia, infatti nel testo “Storia Naturale”(i primi tre volumi furono pubblicati nel 1749 durante la cosiddetta “piccola era glaciale”) di Geoege-Louis Leclerc (più famoso con il titolo Conte di Buffon) si può leggere:”I navigatori assicurano che il continente delle terre australi è molto più freddo di quello del polo artico, ma non abbiamo nessuna sicurezza del fondamento di questa opinione, probabilmente ritenuta esatta dai viaggiatori solo perché hanno trovato i ghiacci ad una latitudine in cui non se ne trovano mai nei nostri mari settentrionali, fatto che può essere provocato da qualche causa particolare. Non si trovano più ghiacci a partire dal mese di aprile al di qua di 67 o 68 gradi di latitudine settentrionale ed i selvaggi dell’Acadia e del Canadà dicono che quando non si sono completamente sciolti in quel mese, è segno che il resto dell’anno sarà freddo e piovoso. Nel 1725 non vi fu, per così dire, estate e piovve quasi di continuo; così non soltanto i ghiacci dei mari settentrionali non si erano sciolti al 67° grado nel mese di aprile, ma se ne trovarono verso il 15 giugno anche al 41° o 42° grado”.

In che condizioni erano i ghiacci del Polo Nord in quegli anni in cui la catastrofe climatica non sembrava preoccupare la gente comune come accade in anni più recenti? Non è facile rispondere al quesito, all’epoca i poli erano solo terre d’esplorazione e non di studi scientifici sistematici (anche se sulle serie storiche si trovano ricostruzioni della “temperatura globale” dalla fine ‘800); uno dei primi tentativi di studiare scientificamente i Poli avvenne nel 1882-1883 con la Conferenza Polare Internazionale che creò una serie di stazioni scientifiche: 11 nella regione artica e 4 in quella antartica.

Successivamente ci fu lo storico viaggio di Fridtjof Nansen, a bordo del Fram, che vagò nei ghiacci del Nord dal 1893 al 1896; comunque quando Nobile effettuò la spedizione polare con il dirigibile Italia, nel 1928, sulla sua carta geografica vi era ancora scritto su una vasta area “zona sconosciuta”. Ancora minore il livello di conoscenza dell’Antartide nel secolo scorso, a tal proposito è utile rileggere come Raoul Bilancini, al “VI convegno dell’Associazione Geofisica Italiana” (9-10 novembre 1956), presentò l’attività mondiale nell’Anno Geofisico Internazionale (1) (IGY dal luglio 1957 al dicembre 1958): ”si cercherà di aumentare, nei limiti del possibile, le stazioni meteorologiche ed aerologiche sugli oceani, sull’Artide e specialmente sulla zona equatoriale e sull’Antartide: continente quest’ultimo, su cui si prevede l’istituzione di non meno di ventuno stazioni osservatrici, i cui dati dovrebbero portarci molto avanti nella conoscenza di una parte della Terra che, come dice Chapman (2) ci è nota, in certo modo, meno della Luna”.

Sui mass-media spesso i poli sono presentati dal punto di vista climatologico molto simili, invece come spesso ricordava Jacques Costeau l’Artico è un oceano circondato da continenti (i ghiacci sono prevalentemente galleggianti sull’acqua), l’Antartide è un continente circondato dagli oceani. Questa enorme differenza contribuisce ai processi che, anche in questi ultimi anni, inducono il ghiaccio marino in Antartide ad aumentare mentre al Polo Nord è in riduzione (la banchisa artica a marzo 2008 si trova in un buon “stato di salute” rispetto agli ultimi anni e specie a quanto sembrava a settembre 2007, il suo deficit rispetto il valore medio è di soli -0.5 milioni di Kmq mentre i ghiacci polari globali sono in un surplus di 0,6 milioni di Kmq).

In Europa e nell’Artico si è rilevato un clima più mite del passato ad iniziare dalla fine della “piccola era glaciale”, all’incirca a metà ‘800, tale fenomeno ha indotto una generale diminuzione dei ghiacci ed un riscaldamento delle acque; riscaldamento “dimostrato” anche dallo spostamento dei merluzzi verso nord e l’aumento del loro numero. Ad inizio ‘900 i merluzzi popolavano, in scarso numero e solo in alcuni punti, le acque della Groenlandia sud-occidentale, nel 1919 avevano raggiunto Godthaab a latitudine 64° N, nel 1922 Sukkertoppen a 65°, cinque anni dopo erano dinanzi Holsteinsborg a 67°, nel 1930 hanno toccato i 70° e intorno al 1950 erano arrivati a 73°.

Ad inizio del XX secolo in Canada ed in Alaska il ritirarsi dei ghiacciai è stato un fenomeno imponente, ad esempio il ghiacciaio di Muir, nella Glacier Bay-Alaska, si è ritirato di 22 Km fra il 1902 ed il 1949, con una media di mezzo chilometro all’anno. Tutto il ‘900 fu caratterizzato da una tendenza graduale verso un clima più mite, unico periodo che non seguì tale andamento fu il trentennio formato all’incirca dagli anni tra il 1945-1975: in questa fase il clima si raffredò bruscamente ed i ghiacci tornarono a crescere ed a far paura, rendendo generalmente più difficile la vita nei paesi del nord e mettendo a rischio le popolazioni Inuit (3)

In una conferenza scientifica tenutasi a Reykjavik, in Islanda, nel 1969, si approfondirono gli effetti perniciosi dovuti ad un aumento dell’estensione dei ghiacciai polari. L’Islanda non li vedeva dal 1920 ma nel 1965 e 1968 erano tornati ed erano riusciti a bloccare per vari mesi la pesca e la navigazione nella costa settentrionale. Molte le problematiche causate dal freddo (4); riportiamo brevemente il contenuto di alcuni interventi dell’epoca:

  • le due recenti svalutazioni monetarie (1 sterlina una volta corrispondeva a 120 corone islandesi, ora è valutata 210 corone) sono state provocate dalla pesante caduta dell’esportazione di aringhe;
  • molti meteorologi prevedono che la tendenza alla diminuzione delle temperature atmosferiche e marine dell’Atlantico del Nord e nell’Artico continuerà ancora per molto, qualcuno paventa la possibilità di una nuova era glaciale;
  • per uno studio sovietico, un aumento delle masse d’aria polare sposterebbe più a sud la depressione che attraversa l’Atlantico, portando cattivo tempo sull’Europa occidentale;
  • il ghiaccio danneggia porti, le navi e l’equipaggiamento da pesca;
  • il ghiaccio spinge verso sud gli orsi polari aumentando i rischi per la popolazione, quest’anno ne è stato ucciso uno solo in Islanda, il ventesimo che hanno dovuto uccidere in questo secolo;
  • molti i problemi per la salute della popolazione legati alla depressione derivante da molti mesi trascorsi vicino ad un mare freddo, bianco e silenzioso.

Nell’ultimo trentennio del ‘900 il clima è tornato più mite ed i ghiacci nordici hanno ripreso quella tendenza alla diminuzione mostrata ad iniziare dalla seconda metà dell’800. Grande novità in questi ultimi decenni è la presenza nello spazio, per la prima volta nella storia, di satelliti in grado si monitorare puntualmente e con continuità cosa accade all’estensione dei ghiacciai polari ogni giorno, estate ed inverno, notte e giorno. I satelliti permettono, per la prima volta, di osservare prontamente anche quando il passaggio a Nord-ovest è aperto (affermare che è navigabile è qualcosa di più complesso). Ma dei balenieri dell’ottocento e del passaggio a nord-ovest ne parleremo prossimamente.

Note

1) L’IGY si proponeva di gettar luce su tre principali problemi metorologici: dinamica dell’atmosfera, economia termica dell’atmosfera, ozono e vapour d’acqua.

2) Sydney Chapman (1888-1970), nel 1957 fu eletto presidente della speciale commissione sull’Anno geofisico Internazionale.

3) dal libro “Un popolo che scompare” di Silvio ZAvatti-Walter MInestrini, ediz APE Mursia del 1977. Nel vocabolario Inuit esiste la parola AYORNARMAN che corrisponde al nostro “non c’é nulla da fare”, “questo atteggiamento non è fatalismo, ma la consapevolezza che contro le forze superiori della natura non c’é altro da fare che aspettare.In altre parole l’Eschimese non ha la pretesa di piegare la natura ai suoi bisogni, ma si limita ad adattarsi alla natura stessa”.

4) Da “Il clima e i suoi effetti”, john Gribbin. Muzio Ambiente, 1988.