Teorie riparative: incredibile che la politica osi volerle proibire

riparativa_terapiaLa Croce quotidiano 8 giugno 2016

Gerard Van Den Aardweg e Joseph Nicolosi illustrano i dati di una ricerca che vorrebbero proibire

di Giuseppe Brienza

Sergio Lo Giudice, il senatore del Partito Democratico che ha presentato il 17 maggio scorso il disegno di legge n. 2402 recante “Norme di contrasto alle terapie di conversione dell’orientamento sessuale dei minori”, è la stessa persona che ha “comprato” un bambino all’estero ricorrendo alla pratica dell’utero in affitto. Se passerà il ddl che lo vede primo firmatario (sottoscritto da altri 17 senatori Pd, fra i quali l’immancabile Monica Cirinnà), le prime vittime saranno i giovani con orientamento omosessuale egodistonico, ai quali si vieterà per legge di chiedere aiuto e agli psicologi di offrirlo, minacciando stigma e procedimenti disciplinari (oggi intentati “solo” da parte dei rispettivi ordini professionali, domani in forza di una legge dello Stato).

In questo modo si censura un punto di vista psicologico accreditato universalmente, quello che fa capo allo psichiatra austriaco Alfred Adler (1870-1937) e agli studi di Irving Bieber, sviluppati soprattutto dagli psicologi contemporanei Gerard J.M. van den Aardweg e Joseph Nicolosi, che hanno messo a punto la cosiddetta “terapia riparativa”, invisa a tutti i movimenti omosessualisti.

Il ddl proposto dal sen. Lo Giudice contro le terapie riparative è per questo prima di tutto un insulto alla scienza medica, come dimostrano fra gli altri i risultati dell’attività clinica del citato van den Aardweg. Dopo aver conseguito un dottorato in psicologia presso l’Università di Amsterdam (1967) con una dissertazione su omosessualità e pedofilia come nevrosi sessuali, lo psicologo di origine olandesi ha accumulato una lunga esperienza nel trattamento di persone con tendenze omosessuali. In questo campo ha pubblicato molti articoli e libri, tradotti in diverse lingue.

La sua tesi fondamentale è che le tendenze omosessuali sorgono da un complesso di inferiorità in merito alla propria qualità di uomo o donna e, spesso, le cause si situano nel periodo della pubertà, generalmente individuabili nella situazione educativa e in problemi di adattamento. Van den Aardweg esclude, quindi, l’esistenza di cause biologiche per l’omosessualità. Collateralmente studia il fenomeno sociale rappresentato attualmente dalla pretesa di normalizzare l’omosessualità e le relazioni omosessuali e che è in sostanza un movimento politico, una “superstizione moderna”, le cui argomentazioni sono destituite di qualsiasi fondamento reale e scientifico.

Nel suo noto libro Omosessualità & speranza. Terapia & guarigione nell’esperienza di uno psicologo (Ares, Milano 1995), van den Aardweg riporta inoltre, per esperienza diretta, di «casi forse più numerosi di quanto si presuma, perché molte di queste persone preferiscono rimanere anonime e non essere pubblici esempi di “omosessuali convertiti e curati” [nei quali] ho avuto l’assoluta certezza che qualsiasi, sia pur minimo, impulso omosessuale fosse scomparso da molti anni e che i loro sentimenti fossero eterosessualizzati» (traduzione dal testo originale in lingua inglese “Homosexuality and Hope: A Psychologist Talks About Treatment and Change”, Servant Pubns 1985).

«Inoltre – prosegue nello stesso suo saggio lo psicologo –, queste persone si erano liberate di parecchie turbe emotive, da molte preoccupazioni e depressioni, ed erano diventate molto meno egocentriche nel loro modo di pensare e di sentire. Caratteristicamente, riuscivano a parlare del proprio passato con umorismo. Tutti hanno sottolineato l’importanza della volontà – “Come omosessuale, puoi lamentarti, desiderare di cambiare, ecc.”, mi ha detto uno di loro, “ma in realtà ti sembra troppo bello per desiderare veramente di sbarazzartene. La tua volontà è debole, questo è il grande problema”. Intervistate alcuni anni dopo, e nel caso di due di loro, molti anni dopo la modifica del loro orientamento sessuale, tutte queste persone hanno detto che il loro completo cambiamento emotivo era stato graduale e che, in alcune situazioni, gli accadeva di provare ancora alcuni sentimenti di inferiorità, sebbene non ne fossero seriamente turbati, vivendoli come intrusioni di poca importanza nel loro senso di benessere».

Dalle esperienze di van den Aardweg con persone omosessuali cambiate si ha la conferma che, comunque le si voglia chiamare, le “terapie riparative” sono state in molti casi origine di riscoperte del profondo significato della vita personale da parte di molti, che dopo questa scoperta sono tornati felici, perseguendo anche un cammino di ricoperta dell’amore nel matrimonio e nella famiglia. «Questo – spiega lo psicologo – ha fatto veder loro il proprio problema omosessuale come una cosa secondaria, spogliandolo dell’estrema importanza che aveva precedentemente avuto nella loro coscienza: hanno smesso di esserne ansiosi e di compiangersi per esso».

Nel corso delle “terapie riparative” scientificamente fondate, le persone che liberamente vi si sottopongono sperimentano a mano a mano un processo di riscoperta del per effetto del quale gli intensi desideri o ossessioni omosessuali scompaiono dalla coscienza, e nascono nuovi interessi eterosessuali, senza che la persona sia troppo concentrata su questo problema. «Il reale cambiamento è sentito come qualcosa di molto nucleare nella personalità, ed i cambiamenti negli interessi sessuali sono sentiti come la conseguenza più o meno naturale del cambiamento fondamentale nella personalità» scrive van den Aardweg.

Nell’ultimo libro tradotto in italiano dello psicologo olandese, intitolato “La scienza dice no. L’inganno del “matrimonio” gay” (Presentazione di Paolo Pasqualucci, Edizioni Solfanelli, Chieti 2016, pp. 168, € 12,00), l’attualità dei suoi studi risulta addirittura bruciante, dopo che il percorso per l’introduzione del “matrimonio gay” nell’ordinamento giuridico è ormai ultimato anche nel nostro Paese.

In questo recente saggio, l’ormai ottantenne psicologo e studioso, confuta sulla base di dati di una ineccepibile ricerca scientifica, che lo impegna da più di cinquant’anni, le pretese che la subcultura gay è riuscita a far prevalere ormai in molte società occidentali. L’idea, cioè, che l’omosessualità sia un “orientamento sessuale” naturale, innato, pertanto non trattabile con le terapie di tipo psichiatrico e psicoanalitico perseguite con successo dallo stesso van den Aardweg.

In linea di continuità con il pensiero di Adler, che considerava la nevrosi un tentativo di compensazione del sentimento d’inferiorità, anch’egli definisce l’omosessualità «l’espressione di una specifica personalità nevrotica» (Una strada per il domani, guida all’(auto) terapia dell’omosessualità, Città Nuova, Roma, 2004, p. 10), «un disturbo emotivo che si manifesta nell’infanzia e nell’adolescenza» (Omosessualità e speranza, Ares, Milano, 1995, p. 18).

Dopo aver avuto un gran numero di colloqui, nel corso della sua vita professionale, con uomini afflitti da tendenze omosessuali, van den Aardweg conferma che neppure in un caso vi era stato un normale rapporto padre-figlio: «Analizzando i rapporti d’infanzia, appare chiaro che molti omosessuali effeminati hanno vissuto un rapporto di eccessiva dipendenza dalla propria madre a causa della mancanza del padre, sia essa fisica che psicologica (per esempio, un uomo debole dominato da sua moglie o una persona che non ha avuto un ruolo paterno attivo nei confronti del bambino). Il ritratto della madre che demascolinizza presenta molte varianti: la madre eccessivamente premurosa e protettiva […], la madre dominatrice […], la madre sentimentale o drammatica […], la madre anziana […], la madre bambina […]» (Una strada…, op. cit., p. 32).

«A volte può accadere che una madre sia talmente possessiva nei confronti del figlio da impedire al padre di partecipare alla sua vita» (Ibidem, p. 34).  La mancanza di riconoscimento di un genitore, che non è autorizzato al suo ruolo e, quindi, che figura come mancante o assente, diviene un fattore di rischio per l’interiorizzazione di una mascolinità o femminilità negativa. I fattori educativi svolgono quindi un ruolo centrale: «Un ragazzo può arrivare a sentirsi meno maschio, meno virile, quando è stato allevato in modo iperprotettivo e iperansioso da una madre impicciona e quando il padre ha avuto troppo poca importanza nella sua educazione» (Omosessualità e speranza, op. cit., p. 91).

Siccome le fasi della preadolescenza e dell’adolescenza, spiega van den Aardweg, sono momenti fondamentali in cui il/la giovane sviluppa l’immagine di sé in rapporto alla sua posizione tra i simili dello stesso sesso, appare di tutta evidenza come la loro sottoposizione a corsi ispirati all’ideologia gender debba essere del tutto evitata. Con parole chiare deve essere piuttosto loro spiegato l’identità sessuale naturale, dando la parola alla scienza ma anche alla psicologia ed all’antropologia.

Ma gli attivisti gay hanno ancora buon gioco nel loro terrorismo psicologico nei confronti della terapia riparativa, ora spalleggiati persino dal Senato della Repubblica italiana. A questa oppongono la c. d. “terapia affermativa”, col risultato che numerose persone con tendenze omosessuali indesiderate peregrinano da un terapeuta all’altro, continuando a sentirsi imporre: «Deve accettare la sua omosessualità… intraprenda uno stile di vita gay e poi si sentirà meglio». Come afferma però Van den Aardweg, «la speciosa esortazione “accetta te stesso” diventa talora un invito ad arrendersi all’immaturità da una parte, e alla repressione della parte migliore di sé dall’altra».

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