Catechesi anti-ereticale

Fides Catholica n.1 – 2009

di Fabrizio Cannone

eresia_cover

L’A. presenta un recente libro del padre domenicano Giovanni Cavalcoli, La questione dell’eresia oggi, che porta in campo un dibattito che da tempo sembrava sepolto: la rilevanza, ancora oggi – in un tempo in cui gli errori su vari livelli hanno perso l’intrinseca negatività -, dell’eresia come problema da affrontare e da risolvere con la verità della fede, insegnata ininterrottamente dal Magistero della Chiesa.

Sono proprio i Pastori della Chiesa, i Vescovi, ad avere il munus docendi nella Chiesa che dovrebbero esercitare anche confutando i numerosi errori dottrinali che pullulano. Dice Cavalcoli: «Da alcuni decenni l’uso della parola “eresia” sembra essere scomparsa dal vocabolario corrente della predicazione cristiana, dalle pubblicazioni cattoliche, e dallo stesso linguaggio dei pastori della Chiesa a tutti i livelli».

E così evidenzia anche il da farsi: «senza abbandonare le preziose conquiste del Concilio (…) bisogna assolutamente recuperare quei valori preconciliari (…) i quali, in quanto patrimonio perenne della tradizione cattolica, costituiscono elementi integranti della sua essenziale pienezza, se vogliamo evitare l’eresia». L’A. sottolinea due elementi dottrinali sui quali impostare una giusta discussione.

Introduzione

II teologo domenicano Giovanni Cavalcoli ha pubblicato nel corrente anno un importante testo sullo spinoso problema dell’eresia nel cattolicesimo contemporaneo e nella stessa teologia diffusa anche all’interno della Santa Chiesa di Roma (1). Vista la delicatezza della materia e altresì la sua rilevanza per tutti noi che siamo e vogliamo rimanere cattolici integrali – cioè, a scanso di equivoci, fedeli in toto sia alla santa Tradizione che al sommo Magistero della Chiesa – in queste pagine cercherò di porgerlo al lettore, semplificandolo al massimo, e invitando eventualmente alla diretta lettura dello stesso.

Il libro di oltre 300 pagine comporta 5 capitoli più una introduzio­ne e una conclusione; per facilitare la comprensione degli assunti, vedremo i capitoli nello stesso ordine stabilito da padre Cavalcoli. Ad ogni capitolo dedicheremo un articoletto di sintesi e di esposizione delle sue principali affermazioni, omettendo ciò che non ci convince del tutto nell’analisi del teologo tomista, il quale è anche Accademico Pontificio, consultore di Congregazioni Romane e docente di lungo corso in varie e prestigiose Facoltà teologiche cattoliche. Scopo dei brevi articoli sarà quello di rinnovare la tradizionale catechesi antiereticale tipica dei Padri della Chiesa e dei teologi cattolici della Controriforma, che oggi però pare in assoluto declino.

Il libro inizia con una constatazione che ci porta subito al cuore della problematica teologica sviluppata dal domenicano: «Da alcuni decenni l’uso della parola “eresia” sembra essere scomparsa dal vocabolario corrente della predicazione cristiana, dalle pubblicazioni cattoliche, e dallo stesso linguaggio dei pastori della Chiesa a tutti i livelli» (p. 9). Come è possibile ciò? Forse non c’è mai stato un periodo storico così intriso di eresie come l’attuale, eppure lo stesso termine da sempre usato per identificare una posizione erronea dal punto di vista cristiano, pare scomparso.

Se il modernismo di inizio ‘900 fu definito “sintesi di tutte le eresie” da papa san Pio X (enc. Pascendi), e molti autori, come il Maritain o il card. Siri, parlarono di una sua forte riviviscenza dopo il Vaticano II (1962-1965), come è potuto sparire dal vocabolario ecclesiastico il termine tecnico, teologico e biblico di eresia, con cui era possibile, ed è ancora possibile, discernere e separare la verità cristiana dal suo contrario?

In realtà nel Codice di Diritto Canonico promulgato da Giovanni Paolo II nel 1983 il termine permane (cann. 751, 1041, 1364), ed anche in altri documenti della Congregazione per la Dottrina della Fede. II canone 751 definisce così l’eresia: «Vien detta eresia, l’ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa». Il canone 1364 ci dice qual è la pena riservata all’eretico: «L’apostata, l’eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae», cioè la massima pena prevista dalla legislazione della Chiesa. Come mai allora attesa la gravita del delitto di eresia, nessuno ne parla più?

Secondo l’Autore, il motivo principale per cui è stata attuata una sorta di censura verso il concetto di eresia, “è proprio dato dal fatto che lo stesso Concilio Vaticano II non ne parla mai” (p. 11). C’è però un motivo subordinato a questo, benché precedente, che ha contribuito alla sparizione della parola eresia. Esso “è dato dalla diffusa convinzione, di origine illuministica (…), secondo la quale ciò che conta, nella dottrina cristiana, non è la teoria, ma la prassi: il cristianesimo non è una conoscenza, ma una morale” (p. 13).

Non conta tanto la fede, quanto la personale attività; i dogmi paiono inutili o oziosi, più importante è la vita vissuta; contro la svalutata contemplazione e la squalificata ascesi, è rivalutata l’esperienza, persino quella immorale; ciò che primeggia infondo in questo neocristianesimo riveduto e corretto dal modernismo non è la grazia, ma la natura, non le virtù ma il cuore, non la carità cristiana ma l’umana solidarietà, non la Chiesa ma la società civile…

“In un clima del genere, chi viene a riproporre il problema dell’eresia, può fare la figura del guastafeste retrogrado o del profeta di sventure” (p. 15).

Secondo il dotto Autore, “senza abbandonare le preziose conquiste del Concilio (…) bisogna assolutamente recuperare quei valori preconciliari (…) i quali, in quanto patrimonio perenne della tradizione cattolica, costituiscono elementi integranti della sua essenziale pienezza se vogliamo evitare l’eresia” (p. 12). Purtroppo però, nota amaramente il medesimo padre Cavalcoli, perfino “l’autorità ecclesiastica sembra (…) spesso più preoccupata che si realizzi la suddetta serena convivenza solidaristica e naturalistica, che non di vigilare sulla correttezza ed ortodossia delle idee che circolano nel popolo di Dio in fatto di dogma” (p. 15).

Un’altra ragione per cui il problema dell’eresia non viene più avvertito con la serietà e lo zelo di una volta sta in un pregiudizio molto diffuso e cioè che al giorno d’oggi il cristiano dovrebbe limitarsi a testimoniare la verità senza difenderla “perché essa si difende da sola”, e dunque sarebbe bene non essere mai contro nessuno, ma sempre per tutti. Secondo il domenicano questi sono “stolidi princìpi del solito buonismo” (p. 17). La lettura delle acute valutazioni di padre Cavalcoli ci aiuterà a rigettare questa marea infetta dell’eresia, e parallelamente, a fare con più convinzione e con maggior ragionevolezza il nostro atto di fede.

1.Inquadramento del problema

Padre Cavalcoli ricorda al lettore che il problema dell’eresia oggi non è solo e non è tanto da intendersi come l’opinione religiosa erronea di chi, cristiano o meno, si trova fuori dal perimetro visibile della Chiesa, ma proprio il contrario. “L’eresia invece è piuttosto il rifiuto di una verità di fede da parte di chi è già nella Chiesa, né intende uscirne, perché ritiene di possedere il vero pensiero della Chiesa” (p. 17). Dopo il Concilio Vaticano II, per un mistero insondabile, la Chiesa fu. invasa da eresie vecchie e nuove che hanno a poco a poco inquinato la teologia e la filosofia, la morale e l’esegesi, la liturgia e la catechesi, in breve tutto il pensiero cattolico e tutta la vita della Santa Chiesa di Dio.

“Forse mai come oggi, nella storia della Chiesa, è esistita tanta confusione dottrinale e tanto pullulare di eresie, a tutti i livelli e in tutti gli ambienti” (p. 32). Dire questo è particolarmente significativo da parte di un teologo che sa bene cosa sono state le eresie antiche, come l’arianesimo o il nestorianesimo e quelle moderne come il deismo o il giansenismo.

“Nel corso degli anni sessanta e settanta, e anche negli anni ottanta, la suddetta tendenza disgregatrice, che si ammanta dell’autorità del Concìlio, è stata più volte denunciata sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II, mentre la Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuta in più di un’occasione, e teologi di grande talento e fama hanno fatto sentire la loro voce, come i cardinali Parente, ex-segretario del Sant’Offizio, Siri, Daniélou, De Lubac, filosofi come Fabro, Del Noce o Von Hildebrand o teologi come Von Balthasar, Van Der Ploeg, Perini e Galli, ma purtroppo non sono stati abbastanza ascoltati, mentre hanno avuto più seguito ed hanno conquistato un grande potere all’interno della Chiesa i teologi falsamente progressisti” (p. 31).

Secondo l’accorato allarme di padre Cavalcoli, “la situazione attuale potrebbe far indubbiamente pensare a quella descritta dalle profezie escatologiche del Nuovo Testamento. Mai, infatti, all’interno della Chiesa cattolica, è stato così diffuso l’errore nel campo della fede” (p. 33). Lo scontro tra il bene e il male, e tra i rispettivi seguaci, si configura oggi come una lotta senza esclusione di colpi e probabilmente destinata a durare ancora molto a lungo: “È una lotta titanica della luce contro le tenebre, di Cristo contro Beliar, della Chiesa contro il Drago, nella quale il cattolico, nonostante le prove e le insidie, ha comunque la certa speranza di potersi salvare e poter salvare molte anime” (pp. 33-34).

Non per scoraggiare i lettori, ma al contrario per rinvigorire i buoni, mettendo loro in faccia la realtà (ecclesiale) nuda e cruda, il domenicano ci offre pensieri preziosi sulle difficoltà della lotta all’eresia e sull’identità stessa del nemico: “Ma è una lotta difficile, dove molte sono le occasioni di scoraggiamento e di amarezza, molti gli sconcerti e le prove, molte le delusioni e i fallimenti, molti i timori e le angosce, molti gli amici che si ritirano o tradiscono. I neomodernisti, che hanno acquistato un immenso potere ed ascendente, e spesso si tratta di persone colte e capaci (…), hanno da tempo scelto una tattica morbida e garbata, ma inesorabile e determinata: vogliono infatti farsi passare per spiriti liberali e tolleranti; nel contempo sono ben organizzati ed hanno precisi obbiettivi. Tentano di emarginare i veri fedeli in maniera indolore, senza che quasi se ne avvedano, e mediante i loro ragionamenti sofistici non esercitano violenza ma seduzione, e così possono apparire caritatevoli e comprensivi, aperti a tutti. Ma il loro scopo è che il vero fedele si trovi emarginato, praticamente escluso dalla comunione ecclesiale quasi senza che se ne accorga” (p. 34).

L’eccellente analisi dell’Autore descrive magnificamente cose che, lo si avverte chiaramente, anch’Egli deve aver vissuto di persona, forse nello stesso Ordine Domenicano, che da tempo, purtroppo, appare assai distante dal combattimento per la verità a cui lo consacrò il santo Fondatore. Il vero fedele nell’ottica del teologo tomista altro non è che il fedele cattolico che non vuole venire a patti e a conciliazione con lo spirito mondano, con lo spirito moderno (2), come vollero fare i modernisti, e come i neo-modernisti, più sottili e dunque più temibili dei primi, vogliono fare ancora, insinuando che non essere moderni, mondani, secolarizzati, significherebbe non già essere integralmente cattolici e fedeli al Pontefice… bensì scismatici! Ma questo è falso, anche dopo l’ultimo Concilio, il quale, secondo Benedetto XVI, non è stato un’apertura verso il mondo (3).

Secondo Cavalcoli, “La coscienza che il demonio agisce all’interno della Chiesa, la coscienza che dietro all’apparenza può nasconderei un falso fratello, la prospettiva di poter essere tradito da un fratello o emarginato dai superiori, la necessità di dover convivere con fratelli che falsano verità di fede, il dover accettare il fratello che ti ignora e ti disprezza per motivi legati alla fede, il vedere il successo di fratelli che diffondono eresie, tutto questo, certo, può a tutta prima turbare, scoraggiare o provocare sdegno e rancore; e invece il vero fedele resta sereno pensando a quanto ha patito Cristo dalla sua comunita religiosa” (p. 35).

Dopo questo quadro a tinte fosche, perché realistico, il Nostro conclude invitando tutti i buoni, anzitutto i vescovi, i veri teologi e i pastori di buona volontà a rinnovare la lotta indispensabile contro tutte le eresie così diffuse nella Santa Chiesa e a rimuovere tutti i canali della loro trasmissione. Se l’acqua avvelenata difatti infetta e distrugge un corpo umano sano, il veleno dell’eresia distrugge il Corpo mistico di Cristo e nuoce a un numero incalcolabile di anime.

2. L’eresia nella Sacra Scrittura

Padre Cavalcoli spiega cos’era l’eresia nell’economia della Vecchia Alleanza. “Essa consiste in una proposizione contraria a quanto Dio ha rivelato di Sé mediante i Patriarchi, Mosè e i profeti e che è custodito dal sommo sacerdote” (p. 42). Al di là di questa definizione sommaria e generale, “l’eresia, nell’Antico Testamento, corrisponde sostanzialmente e soprattutto al peccato di bestemmia e dì idolatria, per il quale venivano rinnegati il monoteismo e il Nome sacro di Jahvè, creatore dell’uomo e del mondo” (p. 44).

L’eretico più spesso non era colui che deviava dalla verità della religione mosaica, ma colui che ne violava i precetti (eresia in senso morale): la teologia ovviamente non aveva ancora quella precisione che avrà dopo l’Incarnazione del Verbo, sia con la Patristica, sia con la speculazione successiva, fino all’acme insuperato della Scolastica europea.

“La forma più grave di falsità, per la Bibbia, è ‘pronunciare invano il nome del Signore’ ” (p.46), ma anche la falsa profezia (cf. Ger 23,32).

Prima di accostare l’eresia nella Nuova ed Eterna Alleanza stipulata nel preziosissimo Sangue del Figlio di Dio, riportiamo due principi teoretici dell’Autore che debbono restare gravati nella mente del lettore, per aiutarlo a capire bene la gravita di ogni virus ereticale in quanto virus del pensiero, e più in generale per cogliere l’assurdità del relativismo contemporaneo che vorrebbe mettere tutte le religioni, tutte le culture, tutte le civiltà, e più in generale tutte le idee sullo stesso piano, perfino quelle tra loro contrarie o contraddittorie

Primo principio: “II sincero amore per il vero (…) comporta necessariamente odio per il falso” (p. 46). Secondo principio: “Dio per primo ama la verità e odia il falso” (p. 46). Crediamo che i 2 principi, di buon senso e in fondo ammessi anche da chi li contesta, non abbiano bisogno di alcuna spiegazione. Essi risultano essere, assieme ai più generali principi primi della logica, il necessario antidoto all’infezione modernista, semi-modernista, progressista o liberale, in quanto malattie del pensiero, prima ancora che della volontà.

Nel NT dunque abbondano i riferimenti all’eresia e agli eretici e già questo deve farci meditare assai: come mai la teologia contemporanea che si vanta di essere tornata alla “Parola” (dopo secoli di asserita ignoranza scritturistica post-tridentina), tanto da poter essere facilmente accusata di biblicismo (4), omette ogni riferimento all’eresia, al contrario del Sacro Testo (1Cor 11,19; Gai 5,20; Tt 3,10; 2Pt 2,1;)? A quale “Parola” intende allora rifarsi codesta teologia, figlia legittima della Nouvelle Théologie condannata a suo tempo da Pio XII (enc. Humani generis)?

Forse a quella riveduta e corretta dai novatori i quali rifiutano i dogmi definiti dell‘ispirazione e dell‘inerranza biblica, e desiderano adattarla alle loro precompensioni laiciste, razionaliste e relativiste? Del tipo: “questo suona arcaico” (miracoli, profezie, maledizioni divine, famiglia monogamica e gerarchica, valore dell’obbedienza e della castità, realtà angeliche e diaboliche, esistenza dell’inferno e del purgatorio, esistenza storica di Adamo ed Eva, dottrina del peccato originale, verginità perpetua di Maria, sacerdozio ministeriale maschile, primato petrino e sua infallibilità, numero settenario dei sacramenti, origine divina dell’autorità politica, legittimità della guerra giusta e della pena di morte, etc. etc.): “CENSURA”! Oppure: “Questo passo parla di pace e di amore, ed è accettabile da parte di credenti, non-credenti e diversamente credenti”: “IMPRIMATUR”!!

Tutto ciò potrà forse far sorridere il lettore, ma un esperto in materia come padre Cavalcoli, autore di decine di articoli e opere teologiche fondamentali, ha giustamente notato che: “Un segno particolarmente sorprendente della quasi soppressione del termine ‘eresia’ (…) è dato (…) dalla traduzione della CEI della Bibbia di Gerusalemme” (p. 51): di tutti i passi dell’originale greco traducibili col termine di eresia e di eretico, e già così tradotti dalla Vulgata di san Girolamo, quella autorevole versione ne ha lasciato uno solo!! Secondo il Nostro al contrario anche nei passaggi concernenti le tenebre (cf. Mt 8,12 e 22,13; Me 15,33, Gv 12,35; 1Gv 1,6 etc.) lo Spirito Santo, attraverso l’agiografo, intendeva parlare di eresia e di eretici.

La stessa apostasia finale sarebbe collegata all’eresia come suo culmine massimo (2Ts 2,3-4), simboleggiata altresì dall’Anticristo e dalla sua perversione (cf. 1Gv 4,2). “Questo trionfo generalizzato dell’eresia e dell’empietà, prima della Venuta finale gloriosa di Cristo vincitore sulle potenze del male” (p. 54) previsto dall’Apocalisse, potrebbe coincidere con il periodo che stiamo vivendo, in ogni caso chiamato e definito da padre Cavalcoli, come “l’apparente trionfo del neomodernismo e delle potenze ereticali nella Chiesa di oggi” (p. 54).

Ancora un’importante delucidazione dell’eresia nel Testo Sacro alla luce della magistrale analisi del teologo domenicano: “L’eresia, nel Nuovo Testamento, è ‘un altro Vangelo’, apparentemente simile a quello vero, ma in realtà contenente errori insidiosi e pericolosi: un Vangelo che si presenta come ‘cattolico’, ma che in realtà è eretico” (p. 54). Ma che fare davanti al dilagare dell’eresia contemporanea? Molti anzi del tutto giustamente si chiedono se sia lecito ad un semplice cristiano avvertito, o ad un sacerdote senza particolari responsabilità, giudicare l’eresia e affrontarla.

Ebbene secondo il Nostro: “Un discernimento va fatto con la massima prudenza da parte di ogni fedele – non sempre è necessario aspettare l’intervento del vescovo o della S. Sede per riconoscere un eretico, così come se scoppia un incendio, bisogna darsi da fare, se si può, anche prima che giungano i vigili del fuoco. Il Nuovo Testamento e i documenti della Chiesa e della Tradizione forniscono i criteri in base ai quali giudicare” (p. 57). Si vedano anche Gc 5,19-20 e 2Gv 7-11.

3. Essenza e caratteristiche dell’eresia

Ancora una volta, in questo importante capitolo, padre Cavalcoli non fa una trattazione tecnica o rigorosa sull’eresia in senso strettamente teologico, ma ne mostra la sua natura odierna, che è da un lato la stessa di ieri e di sempre, ovvero una gravissima deviazione dall’ortodossia cattolica, da un altro lato però, forse il principale, l’eresia si presenta oggi come un veleno particolarmente ben annacquato tanto da parere cosa di poco conto, e questo perfino ad un numero impressionante di teologi e pastori.

“La gravita dell’eresia è data dalla profonda ferita che essa infligge alla Chiesa e alla comunione ecclesiale” (p. 63). Essa inoltre “non sorge dall’estraneo o dal nemico dichiarato della Chiesa” (p. 64). Le caratteristiche dell’eresia si ritrovano perfettamente descritte nella Sacra Scrittura, in particolare nel Corpus Paolino. “Gli eretici ‘cambiano la verità di Dio con la menzogna’ (Rm 1,15) venendo ‘con prodigi menzogneri’ (2Ts 2,9), ‘accecati nei loro pensieri, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e per la durezza del loro cuore’ (Ef 4,18), ‘con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore’ (Ef 4,14). Essi ‘tramano inganni con la lingua’ (Rm 3,13), ‘ingannano i cuori dei semplici’ (Rm 16,18) ‘con vani ragionamenti’ (Ef 5,6), ‘con argomenti seducenti’ (Col 2,4) e con la loro falsa filosofia (cf. Col 2,8), ‘ingannatori e ingannati nello stesso tempo’ (2Tm 3,13); ‘la loro parola si propaga come cancrena’ (cf. 2Tm 2,17); essa è come Veleno d’aspide sotto le loro labbra’ (cf. Sal 140,4), ‘le loro parole sono spade sguainate’ (Sal 55,22). Sono ‘falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche Satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; la loro fine sarà secondo le loro opere’ (2Cor 11,13-15)” (p. 65).

L’eresia di oggi, secondo il domenicano, si apparenta al modernismo di inizio ‘900, di cui san Pio X scrisse così: «I fautori dell’errore già non sono ormai da ricercare fra i nemici dichiarati; ma ciò che da somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa» (5).

Dopo aver riportato alcune autorevoli opinioni sull’essenza e la definizione dell’eresia, tra le quali quelle dei teologi Cano, Suarez e del Dictionnaire de Théologie Catholique, padre Giovanni cita l’Enciclopedia Cattolica, vera somma del pensiero cattolico redatta sotto l’autorità di Pio XII e ancora validissima dottrinalmente e scientificamente: “Oggettivamente considerata, l’eresia può definirsi: una dottrina che contraddice direttamente a una verità rivelata e come tale proposta dalla Chiesa ai fedeli” (p. 70).

Una descrizione più recente di eresia, una delle rare volte che un teologo ha pensato bene di riutilizzare un termine sempre attuale e preciso, è dovuta alla penna di mons. Inos Biffi, che pochi anni or sono scrisse: “All’opposto dell’ortodossia stanno le eresie, che si possono registrare fin dal principio della Chiesa e significano sempre una separazione dall’insieme (…), un’anomalia di fronte alla Tradizione, una novità in essa non riconoscibile, e quindi inaccettabile” (6).

Ma come mai, ancora una volta, scrivere di eresia e di eretici appare oggi così strano e quasi “eretico” (!) e nessuno nella Santa Chiesa di Dio avverte il grave problema sottolineato in mille modi dal teologo domenicano? La risposta è sempre la stessa: “È talmente grave la confusione odierna in fatto dottrinale, che chiunque di noi, anche teologo o vescovo, può accogliere e insegnare qualche eresia senza rendersene conto e senza volerlo, tanta è la astuzia e la potenza degli eretici, essi stessi forse a volte inconsapevolmente tali, influenti anche negli stessi vertici della Chiesa cattolica e nelle sue istituzioni educative a tutti i livelli” (p. 77).

Addirittura secondo padre Cavalcoli che cita il card. Gaetano, il grande commentatore di san Tommaso nel XVI secolo, “il rischio di cadere nell’eresia non risparmia nessuno, neppure il Papa” (p. 78): anche se questa remota possibilità secondo noi in venti secoli di cristianesimo non si è mai realizzata, almeno all’interno del magistero autentico e definitivo dei Sommi Pontefici, la sua sola possibilità deve farci stare all’erta sul raggio d’influenza del virus dell’eresia, compatibile con ogni grado della Sacra Gerarchia e con ogni ufficio ecclesiastico, con la popolarità e l’apprezzamento dei dottori e del Popolo di Dio…

Se qualche lettore volesse accusarci di qualche mancanza verso l’obbedienza e la devozione dovuta ai sommi Pastori della Chiesa i quali, come direbbe san Leone Magno pur se personalmente indegni non perdono la loro ecclesiastica dignità, rispondiamo col domenicano che: “L’ipotesi del Gaetano può sembrare irriverente nei confronti dell’autorità del Papa. Tuttavia essa si fonda sul principio indiscutibile secondo il quale ogni figlio di Adamo peccatore è esposto al rischio di qualunque peccato, non escluso il peccato di eresia” (p. 79).

Concludendo padre Cavalcoli mette in rilievo l’aspetto diabolico dell’eresia: essa è opera di Satana (cf. pp. 88-93) quale causa remota, la causa prossima e umana è la superbia. L’effetto è duplice: la distruzione della fede e della Chiesa, che sulla fede si fonda, e la dannazione eterna dell’eretico.

4. La verità di fede come antidoto all’eresia

Le verità della fede cattolica, contenute nella Rivelazione Divina e stabilite dalla Sacra Scrittura, dalla Sacra Tradizione e dal Sacro Magistero della Chiesa, costituiscono l’antidoto unico, universale ed efficacissimo al veleno ereticale, ed è solo per questo, e non per i limiti e i peccati degli uomini di Chiesa, che gli eretici e i novatori di ogni tempo hanno sempre tentato di abbattere il potere papale e l’Autorità Ecclesiastica Romana. La storia cristiana oltre a rendere testimonianza all’infallibilità del Magistero e all’indefettibilità della Chiesa cattolica, rende testimonianza dell’infallibilità al rovescio dell’eresia: essa, in tutte le sue forme storiche e in tutti i suoi innumerevoli tentacoli, è sempre stata ‘infallibilmente’ causa di male, di errore, di peccato, di violenza, mai di vera riforma e di vera santità.

“In questo senso, eresia e dogma si corrispondono esattamente, come l’individuo sano si oppone esattamente all’individuo malato (…): è in base al sano che possiamo dire: questo è malato” (p. 125). L’errore modernista e neomodemista dipende evidentemente dal protestantesimo: si prende un versetto evangelico e si giudicano la Chiesa e la religione cattolica, la Gerarchia e il catechismo, a partire dall’idea che di quel versetto ci si fa (libero esame, sola scriptura).

Si dice per esempio: “La Chiesa è sotto la Parola di Dio”. Dunque si giudica la Chiesa e la sua storia alla luce della propria lettura di questa Parola. Ma i modernisti mentono: essi infatti non credono all’ispirazione divina del testo, né alla sua inerranza assoluta: come può allora un testo antico di 2000 anni, per giunta erroneo poiché contiene errori (secondo l’esegesi modernista) ed è succube ad una mentalità pre-moderna, pre-scientifica, pre-critica garantire alcunché? Già qui si vede che essi usano la Bibbia… contro la Bibbia! “Credere alla Bibbia e non credere alla Tradizione è non credere alla Bibbia” (p. 135).

Inoltre bisogna aggiungere questi 2 caposaldi del cattolicesimo rimossi i quali si crea ex nihilo un’altra religione né cattolica né cristiana: 1. “L’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è affidato al solo Magistero vivo della Chiesa” (7). 2. “La Sacra Tradizione [ignorata dai modernisti], la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione divina, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere” (8).

Se questo è vero, respingere la Tradizione e ignorare il Magistero, rigettati sia dal modernismo che dal neomodernismo, vuoi dire non avere neppure la Scrittura, la quale senza di essi non può “indipendentemente sussistere”. Se dunque l’eresia modernista: 1) rigetta esplicitamente il Magistero infallibile della Chiesa; 2) rifiuta categoricamente l’esistenza stessa di una Tradizione normativa per tutti i cattolici; 3) si vanta di adorare una Parola, che risulta però sia diminuita dal non essere affatto “di Dio” (quale autore principale, cf. Dei Verbum n.11a), ma solo di anonimi autori umani, fallibili e spesso bugiardi (miracoli, profezie, etc.), sia svuotata dal suo vero senso mediante il principio luterano del libero esame, che cosa resta del cristianesimo? Nulla, il modernismo infatti dalla sua ha solo l’errore, l’eresia, il non essere, il vuoto assoluto, il nulla senza fine…

Al contrario, noi cattolici abbiamo la Bibbia perché non la separiamo né dalla Tradizione (da cui deriva), né dal Magistero che la interpreta infallibilmente. “L’inerranza della Scrittura è stata più volte insegnata dai Sommi Pontefici, soprattutto a partire dall’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII del 1893, fino al recente Concilio” (p. 144). Inoltre, “La Tradizione in senso stretto (…) ha un aspetto scritto (gli insegnamenti dei Padri e i documenti scritti del Magistero) e un aspetto orale perennemente presente per tutto il corso della storia – il Magistero vivente della Chiesa” (p. 137). Il Magistero della Chiesa infine, infallibile nel custodire le dottrine rivelate da Dio circa la fede, la morale e la legge naturale (altrimenti sarebbe inutile), “si estende tanto quanto il deposito della Rivelazione” (Lumen gentium n. 25, cit., p.221).

Solo aderendo con intelligenza e devozione al Magistero infallibile della Chiesa, alla Sacra Scrittura e alla Sacra Tradizione possiamo essere sicuri di seguire la via della salvezza, senza sbandare di qua e di là nei precipizi e nelle trappole che l’inferno ci prepara attraverso il modernismo e i suoi germi insidiosi.

5. I rimedi all’eresia

“Ciascuno ha il dovere di curare la propria salute, di guardarsi da quanto può nuocere, di curare le proprie malattie, di difendersi da ciò che lo danneggia, di curare o provvedere alla salute di persone eventualmente affidate alle nostre cure, di promuovere la salute pubblica” (p. 255). Posto il principio, l’applicazione spirituale è presto fatta: “Quello che vale per la salute del corpo, vale analogamente e ancor più per la salute dell’anima” (p. 225). Dobbiamo unire l’assoluto della Verità, alla dinamica della carità: mai l’uno senza l’altro. Dio infatti è sia Verìtas che Charitas. L’umiltà e la prudenza, il coraggio e la forza debbono accompagnarci in questa santa crociata per la salvezza nostra, delle nostre famiglie, della stessa Chiesa e dell’umanità tutta intera.

“Mentre non c’è difficoltà – già notava S. Agostino – a segnalargli [al prossimo] che ha una macchia nell’abito, ben più difficile è fargli notare che ha una macchia nell’anima” (p. 226): con i modernisti è difficilissimo poiché essendo accecati dalla presunzione di sapere essi solo cosa sia il Vangelo, per principio rifiutano ogni critica e riserva, in ciò simili ai peggiori farisei.

“Il problema dell’eresia, nella tradizione biblica e cristiana, ha un aspetto agonistico e drammatico, che il moderno buonismo ha abbondantemente dimenticato” (p. 226). Buonismo o pacifismo del tutto irrazionale: l’errore infatti non è ne buono, né innocente, né innocuo. Esso è causa di conflitti senza fine: tra Dio e l’errante, ma anche tra erranti in modo diverso, dunque la nostra guerra all’eresia, perché di questo si tratta, ha per fine la pace comune, pace che solo il trionfo della verità può dare e mai il compromesso con chi vuole distruggere la vera religione.

“Non è possibile evitare il conflitto, nonostante la nostra volontà di pace e il nostro desiderio di tranquillità, perché sono queste forze che non ci danno pace, per cui, se vogliamo salvarci, dobbiamo difenderci a volte con estrema decisione ed energia, dopo aver individuato con precisione il nemico, senza scambiarlo con l’amico” (p. 226). Ma come resistere all’eresia, se essa pervade il pensiero cattolico contemporaneo fino al midollo e se nessuno fa nulla per contrastarne il potere sempre più totalitario, vera dittatura del relativismo “cattolico”? “Certamente, difendersi dai superiori eretici [che siano laici con qualche autorità su di noi o ecclesiastici] od ottenere la loro correzione non è facile, sia perché generalmente si tratta di persone forti e orgogliose, e sia perché, grazie alla loro abilità, essi hanno attorno a sé un ambiente di persone simili a loro” (p. 231).

Addirittura e paradossalmente, “in un ambiente inquinato dall’eresia (…) facilmente sono gli ortodossi [cioè noi cattolici integrali] che possono far la figura dei devianti; magari non si arriva al punto di spudoratezza di chiamarli ‘eretici’, ma eventualmente con nomignoli infamanti, nell’inventare i quali i buonisti mostrano una fervida fantasia, come per esempio ‘fondamentalista’, ‘conservatore’, ‘reazionario’ ‘integrista’, ‘tradizionalista’, ‘intransigente’, ‘preconciliare’, ‘destrorso’, ecc” (p. 231). Si potrebbe quasi dire che se uno non ha mai ricevuto uno di questi epiteti dall’establishment teologico-politico presente, non ha ancora dato una piena testimonianza a Cristo e all’integrante del suo messaggio…

La cosa non deve affatto stupire, se perfino Benedetto XVI, nell’ultimo discorso prima dell’elezione al Soglio Pontificio, ha dichiarato che avere una visione chiara sulla realtà, e conforme ai dettami della Chiesa, è divenuto segno di “fondamentalismo” (Allocuzione alla messa prò eligendo Summo Pontifice). Secondo padre Cavalcoli la nuova evangelizzazione, necessaria soprattutto nei paesi apostati d’Occidente, ma più o meno ovunque, “non potrà non avere anche questo aspetto ‘esorcistico’ e antiereticale” (p. 237): la causa maggiore infatti della apostasia di massa è l’eresia modernista, che si interseca ovviamente con altri mali moderni, come il materialismo, il relativismo etico o il pacifismo, ma di cui resta indubbiamente il pericolo numero 1, proprio perché agisce dall’interno della Chiesa e della fede, facendo passare insensibilmente chi frequenta la parrocchia X o la facoltà teologica Y o il seminario Z da un campo all’altro, senza reazioni di sorta

Il domenicano ritiene giustamente che i Vescovi dovrebbero essere l’avanguardia della lotta all’eresia, ma purtroppo, in generale non è così: “II rischio dei pastori di oggi è quello di pretendere di farsi mediatori in un senso a volte equivoco, che sconfina nella doppiezza o il doppio gioco. Con la scusa del rispetto per ‘tutti’ e per il ‘pluralismo’, capita che un superiore dia ragione all’ortodosso come all’eretico, come se si trattasse di scelte ugualmente legittime, per un falso pacifismo, per poter godere del favore di tutti, passare per un animo ‘aperto’, ‘tollerante’, ‘liberale’, rispettoso delle ‘differenze'” (p. 245).

Dopo i vescovi, il domenicano Cavalcoli vede nel suo ordine, che vanta santi inquisitori come san Pio V e san Pietro da Verona, ma che ora si trova in un “grave smarrimento dottrinale” (p. 304), una specifica vocazione alla lotta anti ereticale. Giovanni Paolo II in una lettera al Maestro Generale ribadì il ruolo dell’ordine di san Domenico nel combattere “le grandi falsità che non muoiono mai”, “il fideismo e il razionalismo” e persino “quella ricorrente eresia manichea che il Cristianesimo ha dovuto affrontare fin dal principio” (p. 301 ).

Conclusione

Non è facile dare una conclusione a quanto da noi tragicamente visto sopra, sulla scorta delle analisi minuziose e precise di padre Giovanni Cavalcoli. Certo è che la Chiesa, o almeno la cristianità intesa come il riflesso della Chiesa e del cristianesimo nel mondo e nella civiltà umana, pare a poco a poco disgregarsi. Il ritmo di questa disgregazione aumenta vertiginosamente, in parallelo con l’aumento dei fenomeni della secolarizzazione dei costumi, del relativismo etico e di una vita sociale e culturale sempre più improntata all’edonismo sfrenato e al consumismo. Si annunciano persecuzioni, di cui si vedono i prodromi qua e là: Spagna di Zapatero, U.E., oltre ai paesi islamici e marxisti.

Se bene ha fatto il Papa attualmente regnante a ribadire una sostanziale continuità dottrinale tra il passato storico della Chiesa – il preconcilio, dalla Chiesa delle origini a Pio XII – con il Concilio e il post-concilio, d’altra parte ci pare innegabile che dal punto di vista storico-culturale il Vaticano II segni una svolta forse senza precedenti nel cattolicesimo romano.

Non sono stati forse i Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II a dichiarare ripetutamente che la Barca di Pietro, peraltro assicurata per sempre dalle promesse di indefettibilità di Cristo in persona, sembrava dopo l’ultima assise ecumenica in via di “autodemolizione”? Tali dichiarazioni sono evidentemente il segno della presa di coscienza della drammaticità della situazione ecclesiale contemporanea e anche della volontà di riparare la Chiesa di Roma che, come il Signore disse alla Chiesa d’Assisi, “cade in rovina”. Ma la buona volontà non basta…

Padre Cavalcoli sviluppa nella sua conclusione due punti che sintetizzerò cosi. Anzitutto, secondo lui, “tutta la complessa questione si potrebbe riassumere (…) in un problema fondamentale e principale, senza escludere molti aspetti secondari; la questione di come correggere un cattolicesimo che, in vari modi, consapevolmente o inconsapevolmente, si è lasciato influenzare dagli errori dei fratelli separati, soprattutto protestanti” (p. 307). Il secondo punto sta per lui nel rapporto reciproco tra eresia ed ecumenismo: “Le due questioni: dell’eresia e dell’ecumenismo non possono essere assolutamente dissociate. Se da una parte infatti il vero ecumenismo è un potente antidoto contro l’eresia (…), dall’altra si deve dire che è falso quell’ecumenismo che dimentica il problema dell’eresia e della sua confutazione” (p. 307).

C’è chi sostiene che gli stessi documenti emessi dal Vaticano II abbiano delle responsabilità in questa apostasia generalizzata e in questo trionfo dell’eresia all’interno del pensiero cattolico. Secondo me la posizione giusta è anzitutto il riconoscimento che i testi prodotti dal Concilio Vaticano II – riconosciuto e approvato da Giovanni XXIII, da Paolo VI, da Giovanni Paolo I, da Giovanni Paolo II, da Benedetto XVI – non possono essere considerati eretici o invalidi, se non si vuole perdere la comunione visibile con la Chiesa gerarchica, nostra Madre e Maestra, Sposa di Cristo, Luce delle Genti, fuori della quale non c’è salvezza.

D’altra parte a mio parere si possono emettere delle riserve su alcuni passi e su varie espressioni, soprattutto dei documenti di minor valore dottrinale (come i decreti e le dichiarazioni, rispetto alle Costituzioni Dogmatiche), riserve però e critiche, costruttive e misurate, sforzandosi sempre di sentire cum Ecclesia leggendo il passo ambiguo, o poco chiaro, o malsonante alla luce del dogma e della Tradizione, Tradizione dogmatica e morale che si ritrova indubbiamente nei testi definitivamente approvati.

Forse è vero che i testi conciliari, particolarmente lunghi e prolissi, contengono alcune espressioni nuove e alcuni punti grigi, che devono essere letti e spiegati alla luce del resto e non il contrario, come purtroppo è stato comunemente fatto in questi 40 anni di teologia e di esegesi cattolica. Comunemente? Sì, altrimenti non si spiegherebbe il contesto generale di sbandamento del cattolicesimo dotto, e neppure si capirebbero sia i continui riferimenti al Concilio da parte degli ultimi eretici condannati da Roma (da Hans Kùng a Jan Sobrino, passando per Eduard Schillebeeckx, Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Jacques Dupuis, etc. etc.), sia la necessità sempre attuale di spiegare e rispiegare il vero senso di alcune espressioni conciliari da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede (come nel recente caso del subsistit in).

Prendiamo 2 esempi e concludiamo. Circa le ultime risposte della Congregazione della Fede sulla dottrina della Chiesa è possibile notare che sebbene si sostenga che il subsistit di Lumen gentium ha una sfumatura in più, e per questo è stato preferito dai padri conciliari al tradizionale est, la dottrina e l’identità della Chiesa non cambia. Dunque anche l’est resta legittimo. Ma allora come mai tutti gli autori sottolineando la positività della novità di Lumen gentium dicono di opporsi alla concezione superata, giuridica, politica, tridentina, rappresentata dall’est? Dov’è qui la continuità? Le autorità dovrebbero spiegarlo meglio e anzitutto usare ancora l’est e non più solo il subsistit.

Un altro esempio è dato dal rapporto tra Nostra Aetate e Dominus Jesus. Nel documento conciliare si parla di buddismo, induismo, islam ed ebraismo in termini esclusivamente positivi, salvo ricordare che la Chiesa “è tenuta ad annunciare incessantemente, il Cristo che è Via, verità e vita’ (Gv 14,6) in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa” (n. 2d). Nel secondo documento al contrario, redatto dopo gli sbandamenti di tanto ecumenismo-sincretismo, si parla sia della differenza tra la vera fede (cristiana) in Dio e la “fede” delle altre religioni, che non è fede ma credenza (n. 7), sia degli errori delle altre religioni i quali sono di ostacolo alla salvezza (n. 21), ripetendo infine, seppur in nota, il dogma di fede dell’extra Ecctesiam nullus omnino salvatur (n. 20, nota 82).

Ora tutto questo in Nostra Aetate non c’era e in tal senso vi è stata indubbiamente una correzione. Per salvare il salvabile e annientare l’eresia modernista che distrugge interamente l’Opera della Redenzione, auspichiamo ulteriori chiarimenti e correzioni andanti sempre nel senso del recupero dell’integralità della santa fede cattolica.

Paolo VI, poco prima del trapasso, si confidava così al suo vecchio amico Jean Guitton: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel vangelo di San Luca: ‘Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’. Capita che escano dei libri in cui la fede è in ritirata su punti importanti, che gli episcopati tacciano, che non si trovino strani questi libri. Questo, secondo me, è strano. Rileggo talvolta il vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai. Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia” (9).

Note

1) G, Cavalcoli, La questione dell’eresia oggi, edizione Vivere In, Roma, 2008, con imprimatur.

2) Cf. Pio IX, Sillabo, prop. CXXX.
3) Cf. Discorso alla Curia Romana, Il Vaticano II quaranta anni dopo, 2005.
4) Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 55
5) Pascendi, n. 2 cit, a p. 68.
6) cit. a p. 71
7) Dei Verbum, n. 10b, corsivo mio.
8) ivi, n. 10c.
9) J. Guitton, Paolo VI segreto, Cinisello Balsamo, 2002 (1985), pp. 152-153