Simone Weil. Una catara del Novecento

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Simone Weil

Il Timone n.152 aprile 2016

 La filosofa francese è ammirata da “destra” come da “sinistra”, da anarchici e tradizionalisti insieme. La chiave per comprendere il suo pensiero, che apparentemente poco si presta a essere incasellato, sta in due eresie antiche: quella degli albigesi e quella di Marcione

 di Valentino Cecchetti

«Da molto sono attratta dai catari, anche se conosco ben poco di loro», scrive Simone Weil all’esoterista Déodat Roché, nei primi mesi del 1941, dalla fattoria di Saint-Marcel-d’Ardèche, dove lavora come operaia agricola, ospite del “filosofo contadino” Gustave Thibon.

In realtà Simone è tutt’altro che ignara dell’eresia nata nelle corti della Linguadoca e debellata dalla spada dalla nobiltà francese agli inizi del XIII secolo. Non a caso l’opera I catari e la civiltà mediterranea (1942), concepita durante il soggiorno a Marsiglia (giugno 1940-aprile 1942), dopo la sconfitta della Francia, accompagna la crisi religiosa che matura nei colloqui con il domenicano padre Joseph-Marie Perrin. E meglio di ogni altra nozione, il “catarismo” permette di decifrare la complessità di un pensiero posto al crocevia tra dionisiaco, anarchismo “conservatore”, cristianesimo gnostico.

Nella medesima lettera, sempre riferendosi ai “perfetti”, la Weil prosegue: «Una delle ragioni principali di questa attrazione è la loro opinione riguardo l’Antico Testamento. […] Non sono mai riuscita a capire come uno spirito ragionevole possa considerare lo Yahweh della Bibbia e il Padre invocato nel Vangelo come un solo e medesimo essere. […] L’influenza dell’Antico Testamento e quella dell’impero romano, la cui tradizione è continuata nel papato, sono a mio avviso le due cause essenziali della corruzione del cristianesimo. […] il catarismo è stato in Europa l’ultima espressione viva dell’antichità preromana. Sono convinta che prima delle conquiste romane i paesi mediterranei e del Vicino Oriente formavano una civiltà non omogenea […] ma continua; che uno stesso pensiero viveva negli spiriti più elevati, espresso in forme diverse nei misteri delle sette iniziatiche d’Egitto e di Tracia, di Grecia e di Persia, e che le opere di Platone costituiscono la più perfetta espressione scritta in nostro possesso di questo pensiero. […] È da questo pensiero che il cristianesimo è nato; ma solamente gli gnostici, i manichei, i catari sembrano essergli rimasti veramente fedeli».

In Italia Simone Weil ha conosciuto una fortuna mai interrotta, a partire dalle traduzioni di Franco Fortini, presso le Edizioni di Comunità, nei primi anni Cinquanta (La prima radice, L’ombra e la grazia, La condizione operaia). Un critico “partecipe” del suo pensiero è stato Augusto Del Noce, negli anni della collaborazione al quotidiano II Tempo di Roma e al settimanale II Sabato (1973-1988). Del Noce recuperava la critica di Simone Weil al cristianesimo visto come separazione dal pensiero greco e come cedimento agli idoli della modernità. In tale ottica il pensiero della Weil diventava un modello di cattolicesimo “classico”, con la sua critica coerente e radicale del “progressismo”.

«È necessario – scriveva in quegli anni Del Noce – rovesciare un giudizio che è diventato in noi naturale, in conseguenza di una lunga abitudine», ovvero che in ogni posizione di pensiero è critico e nuovo l’aspetto «moderno», mentre è «dogmatico» l’aspetto tradizionale. Nel pensiero di Simone Weil, invece, «quel che c’è di critico e di nuovo è l’aspetto che riconduce alla tradizione». Si tratta di un’interpretazione che implica tuttavia l’assunzione di una serie di principi eterodossi. Perché l’itinerario spirituale della pensatrice francese, per quanto orientato alla conversione (stando alla testimonianza dell’amica Simone Deitz, che l’avrebbe battezzata in articulo mortis), lo è in una prospettiva in cui il cristianesimo viene riassorbito entro alcuni inconfondibili archetipi dualistici e gnostici.

In Simone Weil la radicale negazione del moderno (e degli idoli della “autoredenzione”) nasce dal ripudio della “forza” e del pensiero che coincide con l’ideologia. Da ciò deriva la particolare posizione politica della Weil, un antifascismo “anarco-conservatore”, in cui la critica del “totalitarismo” implica necessariamente anche la critica dell’idea di progresso. Una concezione che matura in fasi diverse della sua esperienza biografica ed intellettuale, ma coincide soprattutto con l’abbandono delle speranze rivoluzionarie, nei mesi della militanza nelle colonne di Buenaventura Durruti, durante la guerra civile spagnola. In questo frangente la sua visione politica si dissocia dall’irreligione (come Bernanos si dissocia dal fascismo senza rinnegare la “reazione”).

Per questa via l’anarchismo di Simone Weil – avvicinandosi a Proudhon, contro Marx e contestando la possibilità stessa di una “filosofia della storia” – incontra il trascendente. Ma il trascendente si presenta in una forma statica, come una “filosofia perenne”, in cui la rivolta del pensiero al dominio della “forza” e all’illusione progressista conduce ad una sorta di “nostalgia” del Principio, rischiarata di luce iniziatica.

In tale prospettiva, tornando alla lettera d’apertura, è più agevole interpretare quel riferirsi agli «spiriti più elevati» del mondo preromano «mediterraneo-orientale» e alle sette di Grecia, Tracia, Egitto, Persia, di cui il platonismo sarebbe la sintesi più compiuta, da cui addirittura «il cristianesimo è nato» e delle quali gnostici, catari e manichei sono i soli eredi e i legittimi continuatori. E ancora più facile è comprendere il cenno all’irragionevolezza di coloro i quali vedono l’identità tra il Dio veterotestamentario e il Dio del Vangelo. È questo un inequivocabile richiamo alla teologia gnostica di Marcione di Sinope, il ricco armatore e teologo del II sec. d.C., indispensabile alla comprensione tanto dei risvolti dell’eresia catara, quanto del peculiare anarchismo di Simone Weil. «Quali sono esattamente le opinioni di Marcione alle quali non è consentito aderire senza incorrere nell’eresia?» chiese al domenicano Marie-Alain Couturier in quella che sarebbe divenuta la sua celebre Lettera a un religioso.

Operando una forzatura ermeneutica dell’Epistola ai Galati di san Paolo (tredicesimo apostolo, superiore agli altri dodici perché eletto da Dio e non per hominem), Marcione fonda la propria teologia sull’antitesi tra fede e Legge. Il suo cristianesimo gnostico si basa sull’insanabile frattura tra l’Antico Testamento, che egli considera sotto la Legge (una condizione che definisce maledizione) e il Nuovo Testamento, che è posto sotto la fede (ed è dunque benedizione). L’Antico Testamento descrive l’opera di un Demiurgo inferiore, che proclama la legge dell’odio, trasmettendola al mondo e all’uomo. Esiste, però, anche un Dio della bontà, estraneo al genere umano (corrotto da Lucifero e respinto dal suo stesso creatore, il Dio della Legge).

Secondo Marcione il Dio della bontà non giudica perché è un Dio della compassione e invia agli uomini, come un dono immeritato e gratuito, Cristo, che viene a porre fine al dominio della Legge e del Dio inferiore. Un Cristo “dionisiaco”, che porta agli uomini la “distruzione” delle catene del mondo, la liberazione dai vincoli attraverso la morte: quella che i catari chiamavano “endura” ed è la via per ritrovare l’unità perduta e la Luce.

CHI E’

Simone Adolphine Weil (Parigi, 1909- Ashford, Kent, 1943), di famiglia ebrea benestante, sorella del matematico André, studia filosofia all’École normale supérieure sotto la guida di Alain (pseudonimo di Émile-Auguste Chartier). Milita nelle fila dell’estrema sinistra, ma non aderisce a nessuna formazione politica. Decide di vivere l’esperienza del lavoro manuale e si impiega come operaia nelle officine Renault di Billancourt. Partecipa alla guerra civile spagnola nelle fila anarchiche. Al ritorno in patria matura una intensa crisi religiosa. Si ammala di tubercolosi. Dopo la sconfitta della Francia e la promulgazione delle leggi razziali si rifugia prima a Marsiglia, poi negli Usa con la famiglia, infine in Inghilterra, dove collabora con le autorità in esilio della Resistenza francese e con Trance Libre” del generale De Gaulle. Muore in seguito al riacutizzarsi della malattia, legata alle dure esperienze di lavoro degli anni precedenti. I suoi scritti, ad eccezione degli articoli sulle riviste (Révolution Prolétarienne, Critique Sociale, Cahiers du Sud), sono tutti postumi, raccolti nei due volumi delle Oeuvres complètes (1988-89)

Per saperne di più

WeilI catari e la civiltà mediterra Marietti, 199

PétrementLa vita di Simone Weil Adelphi 1994