Cina, una nazione senza speranza

Il Corriere del Sudfiglio_unico n. 1 – anno XXIII,

1 febbraio 2016

Lorenza Formicola

Il 2016 sarà l’anno in cui le mamme e i papà cinesi potranno generare il secondo figlio senza dover essere per forza ricchi burocrati disposti a pagare le multe dai 25.000 ai 100.000 euro previste dalle leggi vigenti fino all’anno scorso. Alla notizia, rilanciata qua e là, è stato dato lo stesso peso che si riserverebbe a un’azienda che dà finalmente il via libera a un incremento di produzione di macchinine. E se una simile decisione per il bilancio di un’azienda può essere sintomo di benessere, per quello di uno Stato è solo l’eco funerea di depressione e di un ambiguo rapporto con la vita.

Gli ultimi dati raccontano di tredici milioni di aborti l’anno. Venticinque al secondo. Cui vanno aggiunti gli interventi di sterilizzazione di massa, 196 milioni, i “cripto aborti” e i 403 milioni di interventi per inserire dispositivi Cina, una nazione senza speranza contraccettivi e abortivi intrauterini. La pianificazione familiare ideata dal governo cinese doveva essere un toccasana per l’economia dell’intera nazione, ma i conti erano stati fatti senza tener conto della realtà.

Qualche anno fa persino una rivista come Time scriveva della crisi del figlio unico. «Nell’attuare il più grande esperimento di ingegneria sociale della storia umana, la Repubblica popolare ha semplicemente scambiato una bomba demografica a orologeria per un’altra». La terra che ospita un miliardo e 401 milioni di uomini avrà presto troppo poche persone o meglio, troppo poche persone del tipo giusto. Più di tre decenni di pianificazione familiare imposta dal governo, la cosiddetta politica del figlio unico, hanno ottenuto risultati al di là dei più grandiosi sogni degli artefici». Sogni che da subito proiettavano sulla parete a quadretti della democrazia, quella fatta di numeri e percentuali, le ombre d’incubi funesti.

Nel 2050 un cinese su tre sarà un ultrasessantenne, e da ogni individuo in età lavorativa dipenderanno (anche pensionisticamente) sei anziani. Già da un po’ di tempo la popolazione in età lavorativa si è ridotta. E non è una cosa da poco. Non lo è per nessun posto del mondo, figuriamoci per un governo che dipende dall’abbondante manodopera. Insomma, sebbene annunciata dal primo istante, a oggi c’è l’impossibilità di sostenere in futuro il sistema pensionistico e di mantenere la base produttiva del paese e, quindi, il famoso vantaggio competitivo derivante dall’abbondanza di forza lavoro.

E il modestissimo accorgimento alla violenza del figlio unico potrebbe portare al massimo a un milione di nascite in più ogni anno, «troppo poco, e troppo tardi» secondo esperti dell’Università di Pechino. Ma non è tutto qui. Gli aborti selettivi delle bambine in un Paese nel quale l’obbligo del figlio unico si affianca la preferenza per i maschi, ha saputo solo generare un irreparabile squilibrio tra i sessi. In Cina il normale rapporto tra maschi e femmine di 105 a 100, con gli aborti selettivi è stato trasformato in 119 a 100, e in alcune province addirittura a 135 maschi ogni 100 femmine. Ci sono 37 milioni di uomini di più rispetto alle donne.

E questo, oltre ad aver creato i cosiddetti “villaggi degli scapoli” – dove vivono solo uomini – e i “rami nudi” – uomini che hanno interrotto definitivamente la propria discendenza –, ha dato il via libera a un vero e proprio traffico di esseri umani: donne rapite e vendute come mogli dentro e fuori il Paese. La Cina ha potuto godere, inoltre, di tutti i vantaggi di un alleato e complice della prima ora come l’agenzia dell’Onu per la questione demografica, l’Unfpa.

Dal 1978 l’agenzia ha contribuito a finanziare la politica violenta del controllo delle nascite, chiudendo entrambi gli occhi per le note, palesi, e continue violazioni dei diritti umani. Nel 1983 l’Onu assegnò persino il premio al ministro per la pianificazione familiare di Pechino per la capacità di organizzare politiche di controllo delle nascite “su larga scala”.

Nel 1991 l’allora direttrice dell’Unfpa dichiarò che l’esperienza cinese in materia di pianificazione doveva diventare un modello. E se è in gioco la vita dell’uomo in un rapporto dalle dinamiche perverse, il credo ambientalista con il Club di Roma non può mai risultare assente.

Il botanico David Bellamy nell’introduzione a The Gaia Atlas of Planet management si dedicò a un elogio per il popolo cinese che «consapevole dei limiti dell’ambiente, usa tale consapevolezza per pianificare in modo sostenibile la popolazione». La politica demografica cinese ricevette anche la benedizione del Wwf per la capacità di «persuasione nel cambiare atteggiamento verso la gravidanza».

Qualsiasi tipo di commento è superfluo. La Cina, con o senza la politica del secondo figlio, è una nazione già collassata. Senza Speranza.