Parlando dell’islam in tutta onestà

James Schall

Padre James Schall

Cultura & Identità – Rivista di studi conservatori Anno VII, nuova serie n. 10-31 dicembre 2015

Un commento del filosofo della politica americano sul vero volto dell’islam: un monito all’Occidente ad affrontare i suoi avversari così come sono davvero e senza complessi.

di James Schall, S.J.

Non solo nei Paesi islamici, ma anche in diversi Paesi occidentali vigono leggi che non consentono di formulare pubblicamente giudizi critici sull’Islam. Spesso si tratta delle stesse leggi che proibiscono il cosiddetto “hate speech” (linguaggio di odio) nei confronti di altri gruppi come gli omosessuali, le donne e le minoranze razziali. Tali leggi e provvedimenti, la cui violazione comporta sanzioni pecuniarie o di tipo detentivo, hanno di fatto limitato la libertà di parola riducendola a lettera morta.

Queste leggi sono generalmente basate su un’idea di pace civile che ha le sue radici nel pensiero di Thomas Hobbes (1588-1679). L’idea, cioè, secondo la quale l’unico modo per impedire le violenze che le controversie di natura religiosa o filosofica sicuramente innescano è la promulgazione di leggi civili che vietino le espressioni di “odio”.

Questa forma mentis spiega come mai l’autorità civile sia così refrattaria a qualunque analisi onesta del portato delle credenze filosofiche o religiose. Leggi di tale tipo si rivelano particolarmente nocive quando ci impediscono di parlare in maniera obiettiva dell’islam. È vero: critiche, satire o manifestazioni di dissenso rivolte ai suoi princìpi potranno spesso provocare la violenza islamica, ma, invece di chiedersi se l’analisi critica sia fondata, semplicemente la si proibisce. L’attendibilità della critica è ritenuta irrilevante.

In questa sede m’interessa parlare della verità sull’islam. La tesi che quasi sempre si sente esprimere nelle discussioni pubbliche o di tipo accademico o sui media, è grosso modo la seguente: “i musulmani sono per la maggior parte pacifici. La violenza proviene dai terroristi”. Tale posizione si fonda su due premesse: 1) le originarie conquiste musulmane dell’Africa, della Spagna, del Medio Oriente, dei Balcani e di tutto il territorio fino all’India furono “pacifiche”, quasi siano state l’esito di libere elezioni e non — come accadde in realtà — di conquiste militari; 2) quelli che chiamiamo “terroristi” non sono “veri” musulmani. I “terroristi” diventano, in tale ottica, una sorta di non ben definita confraternita, che non ha alcun legame se non con se stessa. Ecco allora che il terrorismo si preferisce spiegarlo in termini economici, culturali, psicologici o ideologici, che nulla avranno a che vedere con la “religione”. Questa lettura ci permette di sostenere l’idea “politicamente corretta” secondo la quale l’islam è una religione di “pace”, assolutamente non correlata alla “violenza”.

Qui, propongo un approccio controcorrente. Voglio difendere l’integrità dei “terroristi”, così come ci ostiniamo a chiamarli. Voglio garantire loro la “dignità” che si meritano. Sostenendo cioè che non si tratta di un insensato prodotto della povertà, dell’ideologia, dell’ignoranza, di manie psicologiche o di qualunque altra scappatoia, che ci consenta di non chiamarli per quello che loro stessi affermano di essere: credenti leali e devoti del Corano, i più autentici fra i seguaci di Muhammad (570 ca.-632). Non ha alcun senso fingere che la visione jihadistica non trovi fondamento nel Corano.

La cosa con cui bisogna fare i conti non è la “violenza” dell’islam, quanto invece la sua verità. Magari l’interpretazione jihadistica del Corano non ci piace, ma, escludendola da quelle possibili, denigriamo la dignità dell’ISIS e di tutte le ramificazioni sunnite e sciite che fanno ricorso alla violenza. Costoro, infatti, ritengono che la propria interpretazione dell’islam abbia legittime radici nel Corano, nella storia islamica e nel giudizio di molti autorevoli commentatori. Gli “Stati” islamici moderni, costruiti dall’Occidente negli ultimi due secoli, hanno già dovuto confrontarsi con tale problema. Il più delle volte, per contenere all’interno dei propri confini la violenza, hanno messo in piedi una dittatura militare.

Ho sentito il Primo Ministro inglese e altri provare a spiegare l’attrazione che spinge molti giovani, uomini c donne, verso i movimenti islamisti. Solitamente, essi adducono ogni tipo di ragione… salvo quella giusta, cioè che l’attrazione deriva dalla credenza nella veracità del Corano. I movimenti come l’ISIS non fanno altro che portare avanti l’universale missione, di molto ritardata, di sottomettere ad Allah il mondo intero, secondo quanto il Corano prescrive.

In tali movimenti si potranno individuare cinici e profittatori, ma ciò che li sostanzia rimane la missione di natura religiosa rivolta a tutta l’umanità. A ogni persona, una volta soggiogata, sarà proposta la stessa opzione che gli islamici propongono ormai dal secolo VII: convertirsi, morire o pagare un’imposta in cambio della tolleranza.

Quali sono le conclusioni da trarre, una volta adottato tale punto di vista? Primo, che abbiamo bisogno di una più elevata forza militare per fronteggiare la situazione. Secondo — ed è ancor più fondamentale —, dobbiamo affrontare la verità sull’islam. Per farlo vi sono due possibili approcci. Il primo è quello di far tesoro dell’edizione critica del Corano che andrà presto in stampa a Berlino. Tutti noi, inclusi gli stessi musulmani, dobbiamo renderci conto di che cosa sia il Corano e di com’è strutturato. In secondo luogo, abbiamo bisogno dell’approccio di padre Zacharia Botros, il prete copto della TV (1). Egli spende il proprio tempo a studiare il Corano in arabo per mostrare le sue molte incoerenze e contraddizioni interne. Il testo coranico è l’anello più debole dell’islam.

Entrambi questi approcci rispettano il testo per quello che è, non per ciò che pretende di essere, cioè l’ultima parola di Dio all’umanità. Certe volte, già solo per poterci esprimere, abbiamo bisogno di qualche forza che ci difenda, come suggerito nella lezione di Regensburg da Benedetto XVI (2005-2013) (2).

Comunque, ciò di cui sicuramente non abbiamo bisogno è una “tolleranza” o una legge civile in nome delle quali non sia più possibile affermare la verità su ciò che i movimenti islamisti dicono di essere. Non sono “terroristi” allo sbaraglio. Stanno cercando di realizzare l’ideale che vedono nel Corano.

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James Vincent Schall, gesuita e fino a pochi anni fa titolare della cattedra di Filosofia politica alla Georgetown University di Washington, è autore di decine di saggi. L’ultima sua fatica è On Christians & Prosperity (e-book, Acton Inslitute, 2015). In italiano è disponibile il volume La filosofia politica della Chiesa cattolica vol. 1 (Cantagalli, Siena 201F). Padre Schall è anche autore dell’introduzione a Hobbit Party. Tolkien e la visione della libertà che l’Occidente ha dimenticato, di Jonathan Witt e Jay W. Richards, la cui uscita in Italia, a cura di Maurizio Brunetti, presso D’Ettoris di Crotone, è attesa per il 2016. L’articolo qui proposto, Speaking Honestly About Islam, è apparso su Crisis Magazine. A Voice for the Faithful Catholic Laity il 22 luglio 2015 (cfr. la pagina <http://www.crisìsmagazine. com/2015/speaking-honestly-about-islam>); traduzione di Emanuela Bringheli e Maurizio Brunetti; note redazionali

1) Nato in Egitto nel 1934, padre Zachary Botros ha raggiunto la notorietà con le trasmissioni sul Corano trasmesse sul canale Hayah, di ispirazione evangelica, mandate in onda dal 2003 al 2010, quando l’emittente ha deciso di sospenderle. Dichiarato “nemico n. 1 dell’islam” da parte del quotidiano arabo al Insan al Jadeed, Al-Qaeda ha posto sulla sua testa una taglia di sessanta milioni di dollari. Padre Botros ha fondato nell’aprile del 2011 una propria emittente, Alfady. che trasmette in Canada, negli Stati Uniti e in Medio Oriente.

2) Cfr. Benedetto XVI, Lectio magistralis; “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006 presso l’Università di Ratisbona, in occasione del suo incontro con i rappresentanti della scienza, durante il suo viaggio apostolico a München, Altötting e Regensburg (Germania) (9-14 settembre 2006).