Verità, carità e libertà sono le strade per il dialogo

Angelo Amato

Mons. Angelo Amato

L’Osservatore Romano, 8 Novembre 2007

Intervista all’arcivescovo Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede

di Giampaolo Mattei

“Il dialogo non è un assoluto che sostituisce la verità e l’annuncio di Cristo. Essere fedeli alla propria carta d’identità religiosa è il miglior passaporto per entrare nel territorio religioso altrui e dialogare” con le “armi” spirituali e le modalità dei cattolici: la verità, la carità e la libertà.

L’arcivescovo Angelo Amato, segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, riafferma così le coordinate per testimoniare oggi Cristo in una società che, paradossalmente, si presenta allo stesso tempo postmoderna e multireligiosa. Niente sincretistiche “onu delle religioni” o timidezze nel testimoniare e annunciare Cristo.

Su questo tema egli è intervenuto, martedì, alla 47ª assemblea generale dei superiori maggiori italiani in corso a Castellaro (Imperia). E afferma: non si può essere “dilettanti” nel dialogo ecumenico, interreligioso e con quanti non si riconoscono in nessuna fede. Ecco l’intervista che l’arcivescovo Amato ha rilasciato a “L’Osservatore Romano”.

In una società plurireligiosa, come si può testimoniare Cristo come unico salvatore del mondo?

Da una parte prevale oggi il pensiero debole, secondo cui tutto sarebbe relativo e pertanto non ci sarebbe una verità delle cose, ma tante opinioni più o meno plausibili. Da ciò risulta un agnosticismo religioso e un relativismo etico, che non permette di fare riferimento a norme morali condivise e iscritte nel cuore di ogni persona umana. La conseguenza è che di solito si ritiene etico quello che è legale, ad esempio aborto, divorzio.

Dall’altra parte, invece, nell’odierna società multireligiosa si afferma sempre più un pensiero forte, promosso dalle diverse convinzioni religiose, che per il cristiano fanno riferimento al Vangelo di Gesù Cristo e per i non cristiani ai loro libri sacri e alle loro credenze. La testimonianza dei cristiani oggi deve essere leggibile non solo da parte del nichilista e del relativista postmoderno, ma anche da coloro che ignorano o non condividono o addirittura si oppongono sia alla visione cattolica della fede sia alla fede cristiana nel suo complesso.

I cattolici, attraverso il magistero, hanno un orientamento chiaro per avere oggi una identità forte: ad esempio, è utilissimo il Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica. Non si può venire meno a questa nostra identità altrimenti si perde anche il senso stesso del dialogo con l’altro.

Che cosa significa essere testimoni?

La testimonianza implica armonia tra la parola e la verità, fino a mettere in gioco la propria vita per rimanere fedeli alla verità. Testimoniare è l’attività primaria degli apostoli dopo la risurrezione. La testimonianza apostolica è confessione di fede e coinvolgimento personale. Gli apostoli non comunicano una ideologia, ma testimoniano una Persona.

Gesù, loro salvatore. Pensiamo, poi, ai tanti martiri anche contemporanei. Una testimonianza data con la vita diventa motivo di credibilità e di attrazione per coloro che vivono al di fuori della Chiesa. La testimonianza agisce con discrezione ed esercita un innegabile fascino. Attira a sé senza violenza. All’uomo contemporaneo, ricco tecnologicamente parlando, ma fragile e confuso moralmente, il testimone si presenta come persona con una forte identità cristiana, che vive bene la sua fede e irradia serenità, pace, gioia, comprensione e misericordia.

Il dialogo ecumenico e interreligioso ha delle caratteristiche?

In campo ecumenico esiste un duplice dialogo: quello della carità e quello della verità. Il primo consiste nella conoscenza, nella comunicazione, nel rispetto, nell’amicizia, nell’accoglienza reciproca, nel superamento dei reciproci pregiudizi di ordine culturale, psicologico e storico. Il dialogo della verità, invece, non può essere generico ma bilaterale, deve essere condotto da specialisti, con cura.

Ben diverso è il campo interreligioso che si fonda sull’appartenenza dei credenti alla comune umanità e sull’apertura di ogni persona umana alla dimensione ascetica e spirituale. Anche qui si può distinguere il dialogo della carità da quello della verità.

Il dialogo interreligioso – che ha come finalità la promozione della pace tra i popoli – non può e non deve escludere la conversione alla verità e alla fede cristiana, nel rispetto della libertà e della dignità di ogni persona. Paradossalmente però in una certa teologia cattolica delle religioni – e anche in una certa prassi “pastorale” – il dialogo interreligioso, diversamente da quello ecumenico, sembra essere giunto al suo capolinea, con l’affermazione perentoria secondo cui tutte le religioni sono altrettante vie alla salvezza.

Siamo, dunque, davanti alla grande opera della missio ad gentes di ieri, di oggi e di domani.

Certamente la missione evangelizzatrice della Chiesa conserva oggi tutta la sua pienezza: non è certo prevaricazione assolutistica e fondamentalistica, ma rispetto della verità del mistero salvifico di Cristo e obbedienza al suo comando di annunciare e di testimoniare il Vangelo a tutte le creature. La parità, come indispensabile presupposto del dialogo, riguarda la pari dignità personale degli interlocutori e non i contenuti. Il cristiano in dialogo non può nascondere o tacere la verità della sua fede fondata sul mistero di Gesù Cristo.

Eppure ci sono correnti che ritengono sufficiente la cooperazione umana senza invito alla conversione a Cristo.

È vero, non si può tacere che non pochi oggi ritengono la missio ad gentes come una sorta di prevaricazione nei confronti di altre religioni. Di conseguenza non viene ritenuto più praticabile il comando missionario di Cristo. Lo stile sempre valido è quello di san Francesco.

In realtà la libertà non può essere mai disgiunta dalla verità. Il fatto che ci siano diverse proposte religiose non significa che de iure siano tutte ugualmente vere. Certo la verità della rivelazione cristiana accolta con fede non può e non deve essere imposta con la forza, ma nella libertà e nell’assoluto rispetto della coscienza altrui.

Non si può, però, pregiudizialmente impedire al cristiano di testimoniare la propria fede, di motivarla e di proporla con carità e libertà al prossimo. Si tratta di una offerta legittima e di un vero e proprio servizio che il cristiano fa al suo prossimo. Su questa base antropologica, quindi, la missio ad gentes risponde non solo a una retta epistemologia del dialogo interreligioso, ma anche a una corretta comprensione della libertà e del rispetto altrui.

L’evangelizzazione è un’opportunità per il non cristiano di conoscere e di aprirsi liberamente alla verità di Cristo e al suo Vangelo. È questo l’atteggiamento della Chiesa fin dal giorno della Pentecoste.

Lei ha parlato di questi temi all’assemblea dei superiori religiosi italiani. Dove sta andando la vita consacrata?

La vita consacrata è una delle più antiche interpretazioni della sequela Christi nella storia. Nonostante una cultura, come quella postmoderna, indifferente e nichilista, che rifiuta certezze e verità, la vita consacrata – soprattutto in Europa – sembra un bosco dove, accanto a vecchie piante che muoiono, fioriscono giovani alberi che ne prendono il posto. È la parabola della vita stessa e delle sue stagioni, che nascono, muoiono, rifioriscono. Così io non propongo tanto le lamentele sulla vecchiaia o sulla mancanza di vocazioni, quanto la certezza che Gesù chiama ancora oggi i giovani di tutto il mondo alla sua sequela.

(A.C. Valdera)