Ragione

dea_ragioneIl Timone – Settembre/Ottobre 2007

di Gianpaolo Barra

Fa pena osservare la parabola discendente di una modernità che si è affermata attraverso una tenace, persistente, spesso cruenta contrapposizione alla “superstizione” papista.

Una lotta condotta – si legge ancora in molti libri di scuola – in nome di quella “ragione” che ambiva a liberare il genere umano dalle catene di una fede che lo asserviva al potere oscurantista della Chiesa.

E’ cominciata così, nel Settecento illuminista, l’ascesa del mondo moderno, che ha visto dispiegarsi un processo di scristianizzazione i cui frutti sono sotto gli occhi di tutti. Ma la promessa di realizzare il paradiso in terra, relegando nel solaio delle favole quello promesso dal Vangelo, non si è concretizzata.

Al contrario, da allora, ogni anno della storia ci ha regalato spruzzi di inferno. Giunti al termine di un lungo e sanguinoso cammino, la resa si è fatta inevitabile: accantonata la ragione, eccoci all’affermazione del pensiero debole, esplicita ammissione di sconfitta, e al trionfo del nichilismo, cioè il nulla, il vuoto, l’assenza di senso e scopo del vivere e dell’agire umano.

Esisteremmo, dunque, senza sapere perché, né sapere dove andare e che cosa sia giusto fare.

Sorprende solo gli ingenui il fatto che il solo rimasto a difendere la ragione dell’uomo, con la sua capacità di cogliere il vero e il bello della realtà che ci circonda, sia papa Benedetto XVI e quanti condividono le sue riflessioni.

Fatto curioso: proprio il capo di quella Chiesa che, accusata di avversione irriducibile all’umana ragione, gli illuministi volevano confinare in un angolo nascosto della storia.

Per il Papa, l’uomo possiede, per sua natura, la capacità di ragionare bene. E ragionando bene, è in grado di comprendere il senso della vita, il cammino della storia, la natura del creato e di coglierne l’intrinseca verità. In questo percorso, la fede illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, l’affianca e aiuta, ma non la oscura.

Più volte, Benedetto XVI ha avanzato una proposta, lanciato una sfida: diamo spazio alla ragione dell’uomo, evitando – naturalmente – di ripetere l’errore di esaltarla senza riserve e di divinizzarla, che tanto è costato al genere umano.

È un invito che molti, a partire dal cosiddetto mondo degli intellettuali, non vogliono raccogliere. Hanno paura. Percepiscono che, sfidati a ragionare, corrono il “rischio” di scoprire la verità di quella fede e le ragioni di quella Chiesa che detestano. Meglio rimanere nel dubbio, conservare agi, privilegi e rendite che il mondo tributa loro, piuttosto che fare ammenda di convinzioni erronee.

Anche nel “dialogo ecumenico”, il Papa sembra voler condurre i suoi interlocutori ad un confronto che si ponga, come guida, la ragione. Lo ha detto a Regensburg, in un discorso tanto contestato quanto non capito dal mondo musulmano.

E anche qui, la sfida non sembra venir raccolta. Si teme qualcosa.

Sì, perché la ragione bene utilizzata può condurci ad affermare ben più della semplice constatazione dell’esistenza di Dio. Può farci scoprire, ad esempio, che tra coloro che di Dio ci hanno parlato, solo Gesù Cristo ha detto cose sempre certe e vere. Solo lui conosceva infallibilmente Dio. E se si dimostra questo, coloro che cristiani non sono dovranno prima riflettere e poi, inevitabilmente, ripensare certe convinzioni.

Anche nella variegata famiglia di quelli che si dicono cristiani, la ragione può rettificare credenze secolari. Come quella – per fare un esempio – comune a ortodossi, anglicani e protestanti, che il Primato di Pietro sia stato congegnato dalla Chiesa cattolica e non espressamente voluto da Gesù Cristo.

Insomma, con il mondo laico, con quello dei credenti in Dio e con quello dei cristiani il Papa vuole dialogare a partire dalla ragione.

Non ci deve spaventare la lunghezza del cammino (Dio ha i suoi tempi che non sono i nostri).

Ci spiace solo che da molti l’invito non venga accolto.

(A.C. Valdera)