Il giudice sentenzia: mandate i figli nella scuola statale perché “neutra”. Storia di un mito

Glenn_coverTempi 31 Marzo 2016

Il tribunale di Milano: la scuole private “orientano” i minori. Occorre recuperare un bel libro di Charles Glenn per capire dove nasca questa posizione ideologica

 Emanuele Boffi

“Il giudice: i figli alla scuola pubblica”. È questo il titolo di un articolo di Repubblica di mercoledì 30 marzo in cui si segnala una sentenza del Tribunale di Milano. Le prime righe dell’articolo ne riassumono il senso: «La scuola pubblica rappresenta una scelta neutra, mentre la privata potrebbe “orientare il minore verso determinate scelte educative o culturali in genere”».

LA VICENDA. Il caso riguarda due ragazzi di 9 e 12 anni, figli di una coppia separata: lui vorrebbe che frequentassero una scuola statale, lei che continuassero a seguire le lezioni dell’istituto paritario cattolico, dove finora hanno studiato. La madre avrebbe voluto garantire la continuità educativa, ma, anche a causa della situazione economica venutasi a creare dopo la separazione, si è finiti in tribunale.

Non essendo dettagliato nell’articolo cosa si intenda per “nuova situazione economica”, non possiamo entrare nello specifico della vicenda. Una cosa, però, possiamo dirla: le motivazioni rese note dal giudice travalicano di gran lunga il merito e sconfinano apertamente nell’ideologia. Il giudice, infatti, virgoletta Repubblica, ha concluso che «non si possa affatto dire che la scuola privata risponda “al preminente interesse del minore”, poiché vorrebbe dire che le istituzioni di carattere privato sono migliori di quelle pubbliche”. Pertanto, conclude, “la decisione dell’Ufficio giudiziario non può che essere a favore dell’istruzione pubblica”».

IL MITO DELLA NEUTRALITÀ. La nostra attenzione è stata attratta dall’aggettivo “neutra”, usato dal giornale per descrivere la scuola statale. Quello della “neutralità” dell’educazione statale è un mito duro a morire e ci ha fatto rammentare un libro di Charles Glenn che quel mito faceva a pezzi e che, oggi, sollecitati dalla cronaca, siamo tornati a consultare.

Fu pubblicato negli Stati Uniti nel 1988 e tradotto in italiano col titolo Il mito della scuola unica (Marietti, 2004). Ancora oggi è considerato uno dei testi fondamentali per la storia dell’istruzione dal secolo XIX ai giorni nostri. La tesi di Glenn è chiara: l’istruzione di Stato non è così imparziale come vogliono farci credere, anzi, essa tende a non ammettere altre forme possibili. Glenn sa di che cosa parla non solo per i suoi studi, ma anche per aver lavorato per vent’anni nella scuola statale statunitense, prima come dirigente del Bureau of Equal Educational Opportunity e poi come direttore esecutivo dell’ufficio per la “Educational Equity” del Dipartimento dell’educazione dello Stato del Massachusetts.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE. Glenn non se la prende con la scuola di Stato, di cui anzi riconosce meriti e valore, ma con l’idea – lui scrive correttamente: «il mito» – della sua neutralità: «La ragione più comunemente addotta a sostegno della scuola unica verte sulla necessità di evitare conflitti di credenze e valori, ma, ironia della sorte, essa è stata invece una fonte inesauribile di questi conflitti in ognuna delle nazioni in cui si è discusso. (…) Gli sforzi tesi a eliminare gli elementi di conflitto hanno avuto l’effetto di produrre un programma inaccettabile tanto per ciò che omette, quanto per ciò che include».

La battaglia, così come la descrive lo studioso, affonda le sue radici nella Rivoluzione Francese e nella sua pretesa di imporre una nuova religione che surclassi quella cristiana. Lo esplicitò lo stesso Danton in un celebre discorso alla Convenzione nazionale:

«È tempo di ristabilire il grande principio, che ci sembra frainteso oltre misura, per cui i bambini appartengono alla Repubblica più che ai loro genitori. (…) È nelle scuole nazionali che i bambini debbono suggere il latte repubblicano».

UN NUOVO CLERO. Proprio quella scuola francese statale, laica, repubblicana è per Glenn l’emblema stesso della “non neutralità”. Imparziale non fu la Rivoluzione che sostituì i vecchi libri di testo con “Il catechismo e il Vangelo repubblicano”. Equanime non fu il ministro dell’Istruzione François Guizot che, colato il sangue dalle ghigliottine, cercò per sua stessa ammissione di «entrare nell’anima degli insegnanti popolari» per riscaldarla «senza tornare all’ancien regime, ma con una politica basata sulla scienza».

Glenn nota che l’imposizione giacobina – poiché il “popolo bue” proprio non ne voleva sapere di seguire le direttive degli illuminati – era destinata al fallimento e tuttavia anche a porre le basi delle nuova mentalità in campo educativo. Bastò, infatti, che si fecesse meno grossolana e più empatica per centrare il bersaglio. Scrive infatti Glenn: «Ciò di cui c’era bisogno non era la neutralità ma una nuova forma di autorità spirituale capace (come aveva scritto Comte nel 1824) di “sostituirsi al clero e organizzare l’Europa mediante l’educazione”.

La gente comune non avrebbe potuto mai essere convertita all’amore disinteressato per l’umanità con argomenti razionali, ma solo con un appello alle emozioni. Ferry [il ministro francese dell’Istruzione di inizio Novecento, ndr] e altri cercarono di sostituire l’amore per Dio con l’amore per l’umanità e la Francia».

NUOVO CONFORMISMO. Oggi sappiamo che anche questo tentativo ha mostrato tutti i suoi limiti. È la cronaca a farci uscire dall’utopia della scuola neutrale quando ci informa che negli istituti francesi vi sono studenti che esultano per gli attentati di Parigi e Bruxelles. In verità, non è una notizia di oggi e i primi a divenire consapevoli del fallimento del progetto repubblicano furono gli stessi francesi.

Leggete cosa diceva già nel 1981 Louis Legrand, un sostenitore del titanico sforzo educativo statale: «Il suo unico contenuto è diventato la neutralità, che accetta come contenuto dell’istruzione solo ciò che non è basato su alcun valore, la pura conoscenza e la tecnica. (…) Ma questa neutralità è impossibile, come hanno dimostrato molti fatti degli anni recenti, e specialmente la crescente e inquietante indifferenza dei giovani nei riguardi degli studi accademici. (…) Questa pseudo-neutralità è fondamentalmente una scuola di conformismo sociale – o di rivolta anarchica contro tale conformismo. Il vuoto ideologico conduce infatti alla sterilità dell’istruzione».

L’UNICA VIA D’USCITA. Il lavoro di Glenn prosegue mostrando come il medesimo mito della neutralità abbia invaso gli Stati Uniti e non mancano citazioni sul caso olandese e italiano dove si sottolinea l’aspra lotta risorgimentale contro la Chiesa cattolica e i suoi istituti. Il saggio conclude mostrando come nella storia siano sempre esistiti modelli diversi e plurali – statali e non statali – con cui si è cercato di garantire un’educazione ai più giovani. E che solo chi è offuscato da un pregiudizio immotivato può pensare che solo l’istruzione di Stato possa essere garante di indipendenza e imparzialità.

Come mostra la storia, infatti, queste pretesa neutralità finisce spesso col divenire più fondamentalista del fondamentalismo e più clericale del clericalismo che pure vorrebbe di combattere. Una soluzione, conclude lo studioso, non sarà mai trovata finché lo Stato non abbandonerà il mito dell’identificazione del “pubblico” con lo “statale”, del “comune” con l’“unico”, del “laico” con il “neutrale”.