Il progresso (Prima Parte)

progressistiItaliani. Rivista che ignora il politicamente corretto

178- del 20 Marzo 2016

Di Luigi Fressoia

(archifress@tiscali.it)

Spigolando in internet ho trovato questa chicca: Monica Cirinnà quando faceva l’assessore al comune di Roma varò un Regolamento Comunale sulla Tutela degli Animali che all’articolo 8 (titolato Maltrattamento degli Animali), comma 6 dice: «È vietato separare i cuccioli di cani e gatti dalla madre prima dei 60 giorni di vita, se non per gravi motivazioni certificate da un medico veterinario». Di contro, come tutti sanno, con l’istituzione dell’utero in affitto il bambino viene subito separato dalla madre, “diritto” di cui recentemente ha goduto l’onorevole Vendola. Cioè si dà agli animali una premura che si vuole negare agli umani.

La contraddizione però è solo apparente poiché c’è un filo rosso che spiega benissimo i due comportamenti, li coordina e giustifica. Il filo rosso è l’idea che si è bravi, progressisti, democratici, colti e civili se si abbattono le consuetudini, le cose consolidate, le tradizioni quanto più millenarie se non addirittura “milionarie” cioè contro natura.

Si tratta di uno spirito -propriamente progressista- molto forte e convinto, che dunque intende come dovere civile ribaltare non più solo i rapporti tra umani come il padrone e l’operaio, la proprietà, poveri e ricchi, i confini territoriali, i bianchi e i neri, bensì gioisce (più precisamente sente il dovere morale), nel mettere in discussione i fondamenti biblici (soggiogare il creato oppure procreare e riempire la terra sono evidenti reati ambientali), e non di meno ribaltare chiari principi di natura, maschio e femmina, la procreazione, la famiglia, la psiche infantile (bisognosa di padre e madre), le funzioni di maternità e paternità.

Elevare gli animali allo stesso status degli umani è un ottima prova, ancor meglio se parallelamente gli umani vengono abbassati al rango animale come nel caso predetto dell’utero in affitto. Insomma è la natura stessa che deve essere aggredita e rimodellata previa sua arbitraria e infondata derubricazione a mero “condizionamento storico”. Sennò non sei civile, sei retrogrado. La domanda più giusta a questo punto è perché.

Perché i progressisti sono fermamente convinti di quell’idea di progresso civile che deliberatamente ignora e vìola la natura, la scienza, la ragione, la persona? Innanzitutto è più che un’idea, è un abito mentale che rimodella e plasma -piega a sé- ogni idea che incontra. Donde nasce tale abito mentale, e perché?

Nasce non con le prime due rivoluzioni liberali, l’inglese del 1648 e l’americana del 1777, bensì con quella francese dell’89 e si consolida con la rivoluzione russa del ’17. Le prime due non intesero sindacare e intaccare il comportamento umano, quella francese invece intese rifondare l’uomo nuovo, riscrivere tutto, perfino i nomi dei mesi dovettero essere cambiati. Ancor più quella russa e seguenti, ricordo una foto di adolescenti iugoslavi, maschi e femmine nudi e cupi in cammino lungo il sentiero di un campo estivo: dovevano fin da piccoli essere educati alla nuova morale dell’uguaglianza, nessuna differenza non solo tra ricchi e poveri bensì pure tra maschi e femmine.

Le prime due rivoluzioni rimasero nell’ambito della politica, le nuove puntarono all’antropologia. E il perché? Qui sta il nodo. Parlando coi diretti interessati (i progressisti cioè la gente cosiddetta di sinistra) ci si accorge subito è che difficile parlarne perché quell’abito mentale è un tabù, è introiettato nel profondo e provoca irritazione semplicemente a toccarlo. Noi ci siamo fatti un’idea.

Per costoro il male del mondo (aggressività, violenza, sfruttamento, insensibilità, oppressione), è filiazione diretta -specie di causa/effetto- delle istituzioni politiche, religiose, statuali, sociali consolidatesi nei secoli, che esisterebbero per assicurare ai dominanti la possibilità di dominare i dominati, i ricchi sui poveri, i maschi sulle femmine, i bianchi sui neri. Da qui una specie di automatismo secondo cui proporzionalmente all’abbattimento delle istituzioni consolidate, antiche, se non addirittura naturali, spariranno violenza, aggressività, sfruttamento, insensibilità e oppressione. Così e non altrimenti nascerà l’uomo nuovo.

Tale confusa novità filosofica -poi “sistemata” dal marxismo in particolare in un opuscolo di Engels “L’origine della Famiglia della Proprietà Privata e dello Stato”, libercolo dai contenuti risibili e di penosa superficialità-, intende che l’uomo nuovo del cristianesimo (la rivoluzione interiore, la cognizione della propria coscienza), non è sufficiente e non vale perché la storia ne ha dimostrato l’inefficacia.

Ci vuole ben altro, non solo bisogna investire le strutture politiche della società, cosa che ovviamente riguardò anche le prime due rivoluzioni liberali, ma ora la vera rivoluzione è che personalità e psiche sarebbero un derivato delle strutture sociali e relative educazioni, tanto è vero che meritano il nome di sovrastrutture, cioè infinitamente meno importanti delle strutture (economico-sociali). Abolire quindi tutto ciò che è consolidato/tradizionale e tornare al buon selvaggio il quale, finalmente libero da condizionamenti restituirà al mondo la sua felicità, il paradiso perduto.

Qui sta il nodo del tabù, ove la mente del progressista si rifiuta di procedere al passo successivo del ragionamento che pur esso stesso fa e farebbe in qualsiasi altro contesto: In Cambio Di Che? Bene l’ipotesi di abbattere e cambiare, ma in cambio di che? Siamo sicuri che causa del male sia quella? Non potrebbe essere che pur abbattuto/abolito il vecchio, il male si riaffacci di nuovo? Non potrebbe essere che aggressività, violenza, sfruttamento, insensibilità, oppressione riaffiorino comunque poiché insite, insieme a tante virtù, all’umano qualunque siano le sue istituzioni politiche e l’educazione? Non potrebbe essere che millenarie istituzioni hanno più protetto che oppresso popoli e individui?

Queste domande sono proibite a se stessi. Si deve conferire loro importanza secondaria, primario è abbattere ciò che esiste, quanto alla qualità del nuovo si vedrà al momento opportuno. L’irrazionalità è evidente poiché le conseguenze hanno pari importanza dell’azione, dal momento che potrebbero peggiorare l’esistente e quindi cancellare il valore delle intenzioni dell’innovazione. L’ostinazione a porre in piano secondario le conseguenze è il segno della patologia, dell’immaturità infantile, è il fuoco nascosto e inviolabile del tabù.

Se ne hanno pratici effetti nel quotidiano, per esempio nel tema dell’immigrazione: a testa bassa si vuole sostenere che tutti devono entrare perché sacro è il sentimento di abbattere antiche e nefaste frontiere, se poi ne venisse un’invasione pari a quelle barbariche che fecero tramontare il vecchio mondo, è ipotesi prudenziale che non si deve praticare pena l’accusa di razzismo e xenofobia, anche se è ipotesi più che ragionevole al pari di altre collaterali: aiutarli nei loro paesi, dirottarli anche fuori Europa (nei paesi arabi benestanti ad esempio), fargli capire che tutti qui non si può, etc. etc.

La ragione come si vede non è tollerata dal tabù. È probabile che dietro gli automatismi del tabù altro non sia che l’ansia di dimostrarsi i migliori, i più bravi, i più avanzati, cosa che notoriamente necessita perennemente di un contraltare cui poggiarsi, di un nemico, nella fattispecie gli incapaci a capire la modernità e il progresso. Ma noi sappiamo che le sole frustrazioni individuali naturalmente non possono bastare a spiegare un fenomeno tanto vasto.

Di solito dietro fenomeni così pervasivi ci sono interessi economici ma stavolta è difficile immaginare che solo il penoso lucro di 50 euro/giorno possa giustificare siffatta negazione della ragione/natura. La mente non può non valutare l’ipotesi della presenza del male in sé, di una intelligenza votata al male. E sono dolori, è molto difficile farci qualcosa, si ha la netta sensazioni che non ci si può far nulla quando –ahinoi tali élite di frustrati rabbiosi riescono a fare rete, a fondare/conquistare partiti, schieramenti, movimenti transnazionali: ne sorte una capacità diabolica di metter mano a tutto, scuole e università, sindacati e tribunali, tanta parte di chiesa, enti di stato e mass media, soprattutto i mass media.

Conquistato il conquistabile gli riesce facilissimo rovesciare il significato delle parole e fondare la neo-lingua con la quale dominare e giocare come il gatto col topo su qualsiasi argomento. Ove il topo siamo noi gente normale di ragione e natura. Politicamente sono élite di sinistra facilitate dalla antica adesione di ampie masse popolari alla remota politica popolare della stessa sinistra. Per questo anche se tali masse popolari di sinistra non condividono per nulla il delirio modernista (hanno le stesse posizioni della gente democristiana o di destra in materia di immigrazione, criminalità, educazione, famiglia, sessualità, lavoro, denaro), la politica modernista trova sempre ampia forza parlamentare e istituzionale. Il popolo rimane solo e senza voce, pur essendo larga maggioranza.

La neolingua e il programma progressista sanno che il vero motore degli umani non è la ragione bensì sono umori e passioni e basta far leva su queste mediante la neo-lingua e il gioco è fatto; la Germania tra Otto e Novecento fu regina delle scienze, eppure si riempì in un battibaleno di cattedratici che sostennero teorie raziali e altre amenità antiscientifiche: oggi è pieno di “esperti” che rassicurano della ininfluenza del padre e della madre perché basta l’amore.

Si veda la parola Diritto, ormai sovrapposta a desiderio, siccome desìdero avere un bambino, averlo è mio diritto. Qualsiasi studente di prima media confuterebbe un simile assioma, ma la neo-lingua intorta e arruola anche i professori, figurati gli altri. Lo Stato moderno notoriamente è nato per mettere le libertà della persona al riparo degli eccessi di potere del sovrano. Ma con neo-lingua e progressisti lo Stato è tornato diabolicamente totalitario pure in democrazia e stavolta col crisma del progresso e del bene.

Si veda la stessa parola Natura. Curiosamente in parallelo essa può impunemente essere sacralizzata su altri aspetti: tagliare un albero, deviare un fosso, spianare una collina, possono provocare nel progressista scatti d’ira capaci facilmente di raggiungere la pena capitale. La neo-lingua fa miracoli, puoi impunemente sostenere una cosa e cinque minuti dopo il suo contrario, tanto la sua magia nasconde perfettamente la contraddizione. Che esistano altre persone parimenti desiderose del bene (praticamente tutte), però affatto convinte che causa del male sia nel consolidato/naturale, al progressista suona impossibile e irritante: se non sei per abbattere ogni consolidato/naturale, sei necessariamente un partigiano del male comunque camuffato.

Che esistano altre scuole di pensiero, altre visioni dell’uomo e della storia, altre persone convinte della intrinseca bontà della famiglia, della proprietà, delle libertà dal potere statale, poiché consustanziali alla natura umana qualunque sia la loro contingente qualità, suona al progressista irritante falso eretico. Sei ottuso, razzista, xenofobo, fascista, omofobo, carnivoro, maschilista.

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C’è poco da fare. A chi domanda: “Ma che ne è a scuola tutti giorni di un bambino che per genitori avesse due uomini? A quali e quante sofferenze lo esponete?”, la risposta del progressista è: “Le sofferenze non sono colpa della novità ma del pregiudizio contro la novità che genitori ottusi instillano ai loro figli sgraziati”, ovvero sarebbero pronti domattina a sottoporre -di nuovo!- milioni di individui alla sofferenza di ogni novità contro natura, convinti dal proprio tabù che la natura è solo condizionamento culturale, di nuovo file di adolescenti nudi a forzare l’istinto al proprio pudore.

Per essi la Storia ha da essere una marcia cogli scarponi verso l’uomo nuovo. Se per te la storia ben invece è un processo che perennemente impasta le cose di natura (amor proprio, autoaffermazione, lavoro, procreazione, proprietà, famiglia, libertà) lungo il quale nostro compito è preservare la libertà delle persone, capisci bene che non c’è più niente da dire, non c’è niente da fare, inutili sono discussioni dibattiti e il famoso dialogo perché tra sordi.

Con la semplicità d’un bicchier d’acqua ripetono garruli che “certamente il sesso non è di natura ma è una scelta soggettiva”, sorridono e facilmente si cambia argomento, parlano d’altro, perfino la serie A. Ricordiamoci piuttosto che su certi piani e certi momenti contano solo i rapporti di forza, come ben capirono i padri, tacere e allontanarsi furtivi -qualora si intenda fare qualcosa tornare col santo manganello e tanto tantissimo olio di ricino, o nodo gordiano, e così azionare la Resistenza. Poi si ragiona meglio.

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