Quello che gli uomini non dicono

Presentazione del libro

QUELLO CHE GLI UOMINI NON DICONO

Roberto Marchesini

(psicologo e terapeuta)

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Parrocchia di Santa Rita – Viareggio – 13 Novembre 2016

(testo non rivisto dal relatore)

Ormai sono diversi anni che è uscito il mio libro Quello che gli uomini non dicono. La crisi della virilità che ho scritto sostanzialmente per i miei pazienti, perché qualche anno dopo che ho iniziato a fare lo psicoterapeuta mi sono accorto che tantissimi uomini i quali venivano con i sintomi più vari – problemi familiari, lavorativi o sessuali – in realtà di fondo avevano tutti lo stesso problema: la crisi della virilità. Cioè non si sentivano abbastanza forti, sicuri intraprendenti, dinamici; si sentivano spaventati, timorosi… Insomma non si sentivano all’altezza del compito maschile. Gli uomini sono in crisi quando non si sentono all’altezza del compito. E’ come se loro, e lo vedremo, sanno di avere un ruolo e un compito. Allora ho pensato di mettere qualche riflessione in questo libro. Sono partito da una specie di analisi storica del fenomeno fino ad arrivare a dei consigli pratici.

EstwoodPattinsonIn realtà questo processo non l’ho osservato solo io ma l’hanno osservato moltissimi, soprattutto negli Stati Uniti. Vi mostro adesso delle slide in cui vedete delle vignette che girano su internet. Nella prima c’è Clint Eastwood assieme a Robert Pattinson, protagonista di film di vampiri e la vignetta dice: «Una volta i miei eroi cinematografici erano così», facendo vedere Eastwood, «Adesso i tuoi sono così», indicando Pattinson. Nella seconda vignetta c’è Sean Connery assieme ad un cantante abbastanza effeminato con la scritta: «Uomini, cosa è successo?». La terza presenta i simboli americani della virilità: da una parte c’è il famoso Gi Joe della guerra in Corea e nel Vietnam e dall’altra, simbolo della virilità attuale, il pigiama boy. Queste battute fanno capire che tanti americani hanno notato che c’è stato un cambiamento nell’immagine della virilità.

pigiama boyGi JoeMa basta guardare i film in costume ambientati nell’antica Grecia o nell’antica Roma degli anni Settanta, in cui tutti i personaggi sono uomini virili e soprattutto pelosi. Se invece ricordate Il Gladiatore di qualche anno fa, che pure esalta la virilità, vedete che tutti i protagonisti sono completamente glabri, depilati e con le sopracciglia curate, come se i romani tenessero alla loro immagine. E’ chiaro che è cambiata dagli anni Settanta in poi l’immagine che abbiamo dell’uomo.

Vediamo la slide successiva. Sono due pubblicità di prodotti per uomini; la prima andava negli anni Settanta, inizio anni Ottanta ed è di un dopobarba, la seconda è di prodotti maschili ed è di oggi: shampoo, rasatura, doccia… Perché questo cambiamento? Perché effettivamente gli uomini sono cambiati e basta guardarsi intorno. Basta guardare gli uomini di una certa età, i quali hanno una certa presenza, non prestano attenzione all’abbigliamento, hanno un certo stile nei rapporti, mentre gli uomini delle ultime generazioni hanno un modello di virilità completamente diverso.

Il fatto è che per un ragazzo di adesso non è facile avere modelli maschili con cui confrontarsi. La televisione e la pubblicità gli passano il modello dell’uomo curato e se cercano modelli di altro tipo questo è quello che trovano: la pubblicità della Provincia di Brescia del 2006 in cui si vede una ragazza con un occhio nero e la scritta: «Gli occhi neri sono di suo padre». In quest’altra pubblicità si vede un bambino che picchia una bambina e la scritta: «Lo fa anche papà». Questa è l’immagine che passa dell’uomo che non si depila, che non fa la doccia tutti i giorni, ecc.:è violento.

Toscani_donneUn’altra immagine è la campagna del settimanale femminile Donna Moderna con le foto di Oliviero Toscani in cui c’è un bambino, Mario, “carnefice”, e una bambina, Anna, “vittima”. Quando hanno chiesto a Toscani come mai Mario sarà sicuramente “carnefice” risponde letterale: «Dipende dal Dna, non c’è dubbio». Quindi se l’uomo non è quello che si depila, che si fa spesso lo shampoo…è pericoloso, è violento. Come se la virilità, la virilità classica, fosse una cosa brutta e negativa, che quando c’è va eliminata e bisogna fare in modo che gli uomini restino senza questa caratteristica. Ecco perché è cambiato così tanto il modello. I bambini non hanno più modelli virili positivi come ai nostri tempi.

Quando io ero alle elementari il modello era Sandokan, che combatteva fisicamente per salvare la bella, che era la Perla di Labuan. Si dice che una volta non si faceva educazione di genere ma non è così, l’educazione di genere si faceva: ai maschietti erano dati modelli maschili di eroi che combattevano e rischiavano la vita per salvare i deboli e le donne. Un altro eroe che affascinava era Michele Strogoff, che per adempiere al suo compito ne passa di tutti i colori finendo anche accecato ma che alla fine ce la fa. Però era un genere molto diverso: Strogoff era un soldato al quale lo Zar aveva dato un incarico, oppure l’ultimo dei Moicani: eroi che combattevano, mentre adesso gli uomini non devono più combattere. Come è cominciata questa cosa?

Facciamo un passo indietro, un escursus storico; quand’è che si è cominciato a vedere la virilità, la forza, l’assertività come cose brutte? L’esempio è in questa immagine della decapitazione di Luigi XVI re di Francia all’inizio della Rivoluzione francese. La cosa impressionante è che in molte di queste stampe d’epoca il patibolo è circondato da soldati a cavallo, come se il popolo non dovesse vedere. Perché questo processo parte da lì? Lo dice Balzac in un suo romanzo, in cui uno dei protagonisti afferma che con la decapitazione di Luigi XVI è stata tagliata la testa a tutti i padri.

decapitazione_LuigiXIVLa decapitazione del re di Francia non è stato solo l’aver giustiziato una persona, ma un simbolo. Il re era il padre del Paese e Balzac l’aveva capito. Ci vuol poi poco a fare il passaggio dalla decapitazione del padre del Paese alla decapitazione del padre di famiglia, perché è lo stesso processo: c’è un ruolo, che è quello del capofamiglia, del capo del popolo, e ribellandosi a questa autorità, eliminandola, necessariamente questa autorità viene meno in tutti gli ambiti della società. Nel Sessantotto infatti assieme ai vari slogan c’era anche «né padri, né padroni»; ovvero la figura paterna era paragonata al padrone e come sapete l’elemento dominante di quegli anni era quello economico e paragonare il padre al padrone significava voler togliere di mezzo l’autorità.

L’autorità è solo uno dei compiti a cui è chiamato il padre, ma è chiaro che eliminato quello, necessariamente si eliminano tutti gli strumenti che un uomo ha per esercitare la sua autorità, tra cui la forza, l’assertività, la sicurezza.

Nel Sessantotto è cominciato anche il femminismo: un attacco diretto alla virilità. In realtà anche il femminismo nasce con la Rivoluzione francese, durante la quale furono scritti i primi testi femministi. Mary Wollstonecraft, che era una inglese che si reca a Parigi per scrivere sulla rivoluzione, tornata in Inghilterra scrive la rivendicazione dei diritti della donna. In quel periodo un’altra scrive dei diritti della donna e della cittadina: Colinde de Gosc. Femminismo liberale, certo e non radicale come quello che emerge nel Sessantotto, ma già allora l’attacco alla virilità come impersonificazione dell’autorità era cominciato.

Arriviamo poi ai tempi moderni e alla cultura del piagnisteo e del politicamente corretto, di cui ora non si parla più tanto, ma fino a qualche anno fa c’era un dibattito sul politicamente corretto. Cosa c’entra questo? vi chiederete. C’entra, perché se ci fate caso quali sono i cardini del politicamente corretto? Rispettare i sentimenti dell’altro, non prevaricare, essere disposti a cedere pur di non essere aggressivi e violenti, Se ci pensate il politicamente corretto non è altro che l’applicazione a livello sociale del femminile.

Le donne ragionano così e siamo di fronte alla sensibilità femminile estesa a tutta la società; il che di per sé non è una brutta cosa ma diventa problema quando manca il contraltare maschile: va bene non urtare la sensibilità degli altri ma si deve anche ristabilire la verità; va bene non prevaricare ma ad un certo punto bisogna anche battere i pugni sul tavolo. Ovvero il politicamente corretto è innocuo se c’è il contraltare della virilità, altrimenti diventa disturbante. Provate a pensare il politicamente corretto come all’applicazione della sensibilità femminile al discorso pubblico: niente di male, solo che non c’è un contraltare a limitarlo.

Adesso cerchiamo di definire cos’è questa virilità. Non è una cosa facile.

MagritteGuardiamo questa immagine: un bellissimo quadro di Magritte in cui si vede il pittore che ha un uovo sul tavolo e dipinge un uccello, ovvero che dipinge qualcosa che ancora non c’è ma che potrebbe esserci. Attenzione, che potrebbe esserci, perché se prendo l’uovo e faccio la frittata l’uccello non c’è più. Vi faccio notare che avete capito subito cosa raffigura questo quadro ma se al posto dell’uovo vi fosse stato un peperone il quadro avrebbe lo stesso significato? No, sarebbe completamente senza senso.

Ebbene, questo quadro è la rappresentazione grafica della dottrina del movimento di Aristotele. Aristotele dice che tutte le cose che esistono le possiamo trovare in due stati: lo stato di potenza e lo stato di atto. Lo stato di potenza vuol dire che può potenzialmente diventare tante cose; come le cellule staminali, che diventano cellule di qualsiasi parte del corpo, poi queste cellule si sviluppano, diventano le cellule di un vecchio e come si dice hanno attualizzato la loro potenza, quindi sono diventate “atto”.

Nel caso del quadro l’uovo è potenza, perché potrebbe diventare un uccello, potrebbe diventare una frittata o tante altre cose mentre l’uccello è uno degli atti potenziali dell’uovo. Voi guardando il quadro avete capito subito questa cosa e secondo me questa è anche la migliore definizione di legge naturale, cioè una legge che tutti hanno dentro di sé e che quando vedono riconoscono senza che nessuno glielo insegni. La virilità funziona esattamente così.

Non so se avete presente quel certo autore che una volta ha scritto Maschi e femmina li creò. Non “uomo e donna” ma “maschio e femmina” li creò. E voi adesso pensate: caspita, è vero nasciamo maschi e femmina; anzi di più, siamo concepiti maschi e femmina, perché fino al momento del concepimento, a seconda del gamete che rilascia il papà, noi siamo o maschi o femmine e lo siamo in tutte le cellule del nostro corpo. E’ come se dicessimo – tornando al nostro Magritte –  che l’uovo è il sesso: maschio e femmina; il genere, uomo e donna, è l’uccello, ovvero lo sviluppo di quello che è in potenza il sesso. Questo è il rapporto tra sesso e genere.

Aggiungiamo un altro pezzetto. Aristotele diceva anche che c’è un principio che guida il cambiamento da potenza ad atto e questo principio si chiama, indovinate?: natura. Quindi natura non sono solo gli uccellini, le piante  o come dice qualcuno quello che esiste; no! Dal punto di vista aristotelico è naturale ciò che è secondo il progetto delle cose. E qui abbiamo risolto anche la questione del gender: che rapporto c’è tra sesso e genere? Il genere è lo sviluppo del progetto che ci viene affidato con il sesso. E infatti l’ideologia di genere nega la natura, nega che ci sia un progetto.

Arriviamo ora alla virilità. Noi nasciamo maschi ma il fatto di diventare uomini non è scontato, è un progetto che ci viene affidato e che noi abbiamo il compito di sviluppare. Quindi la virilità, come la femminilità, sono un compito e non un privilegio; in secondo luogo non è già sviluppato dalla nascita quindi se impediamo lo sviluppo di questa natura avremmo i risultati che abbiamo visto prima: la “virilità” del pigiama boy, un progetto mancato e una virilità che non si è realizzata.

Due cose vi prego di ricordare, primo: la virilità è un compito e non un privilegio; secondo: non è scontata, ovvero non tutti i maschi sono già virili e dobbiamo bastonarli per indurre la loro virilità.

Adesso introduciamo un altro concetto aristotelico, poiché la gente dice che quello che chiamiamo virilità è uno stereotipo.

Una esperta di letteratura per l’infanzia nei libri per bambini ha cercato gli aggettivi tipicamente maschili e quelli tipicamente femminili; ve li leggo. Per i maschietti: forte, avventuroso, coraggioso, attivo, indipendente, astuto, sicuro di se; per le bambine: emotiva, premurosa, paurosa, educata, buona, ingenua. Questa autrice afferma che questi sono stereotipi. Ma attenzione, non tutte le caratteristiche di una persona sono stereotipi.

Quattro_età_uomoIn questa altra slide vediamo un altro quadro che rappresenta le quattro età dell’uomo e vediamo il bambino mentre gioca, il giovane mentre suona, l’uomo adulto che indossa l’armatura e legge un libro e l’anziano che beve. E’ interessante perché questo quadro non si intitola “Quattro uomini” ma “Le quattro età dell’uomo”, ovvero l’uomo è sempre uomo. Qual è il concetto aristotelico che ci comunica questo quadro?

La differenza tra sostanza e accidente. La sostanza è quella cosa che non cambia mai, l’accidente è quella cosa che può esserci o non esserci. In queste quattro figure l’uomo è lo stesso, ecco la sostanza, mentre l’età cambia, e questo è l’accidente. Io stesso quando sono nato non pesavo quanto peso adesso, eppure sono sempre io: la mia identità è la sostanza, il peso è l’accidente. E’ chiara la differenza? Dunque dobbiamo fare attenzione a non definire tutto come stereotipo, come accidente; perché alcune caratteristiche non sono accidentali ma sostanziali.

uomo_lavora_magliaSono io il primo a dire di togliere di mezzo le caratteristiche accidentali. Ad esempio alcune attività o modi di vestirsi sono accidentali. In quest’altro quadro del ‘700 inglese vediamo un uomo che lavora a maglia. Noi che siamo abituati a vedere le donne lavorare a maglia pensiamo sia un tipico lavoro femminile, ma non è così perché nei Paesi del nord Europa, specialmente un paio di secoli fa, il lavoro a maglia era il tipico passatempo maschile. Quindi il lavoro a maglia è accidentale e non sostanziale.

Un altro esempio: vediamo qui un cacciatore che indossa degli stivali. Se entriamo in un magazzino di calzature e cerchiamo un paio di stivali in quale reparto dobbiamo andare? Reparto uomo o reparto donna? Gli stivali sono nel reparto donna, al che uno potrebbe dire che gli stivali sono la tipica calzatura femminile. Adesso è così ma fino al secondo dopoguerra lo stivale era la tipica calzatura maschile da lavoro, almeno per quegli uomini che potevano permetterseli. Ecco, questi sono gli stereotipi, che possiamo pure criticare e abbandonare perché a noi interessa la sostanza della virilità.

uomo_stivaliPrima, con la dottrina del movimento – l’uovo, l’uccello, ecc. – abbiamo capito che quando parliamo di virilità e femminilità parliamo di un progetto, cioè qualcosa che si sviluppa nel tempo. Se ci facciamo caso la parola “uomo” nelle lingue classiche ha una particolarità; prendiamo il greco, che ha due parole per indicare l’uomo: anthropos (ἄνθρωπος), l’essere umano di sesso maschile, e aner (ἀνήρ), l’uomo realizzato e compiuto, l’eroe.

Tra l’altro deriva da lì il nostro nome Andrea che significa coraggioso. Quindi c’è uno sviluppo: uno nasce anthropos per diventare aner. La stessa cosa in latino, che ha due parole per indicare l’uomo: homo, l’essere umano di sesso maschile, e vir, l’uomo pienamente compiuto, da cui deriva la parola virilità. Gli antichi avevano questa idea dello sviluppo: l’uomo nasce maschio ma non basta: deve sviluppare il suo progetto e realizzare pienamente la sua virilità.

Ebbene, noi ci mettiamo in questo solco e cominciamo a ragionare in questi termini. Quale possiamo dire sia la realizzazione e il fine di tutti gli esseri umani? Tanti hanno dato risposte diverse. Ad esempio la filosofia umanistica dice che il fine dell’uomo è l’autorealizzazione; non così l’antropologia classica: non dicevano questo Aristotele e San Tommaso, non diceva questo San Paolo e neppure Gesù; non dicevano queste cose i romani. Per loro la realizzazione dell’uomo è donare la propria vita per qualcosa al di fuori di sé. La realizzazione dell’uomo non è mai dentro l’uomo ma fuori l’uomo. Lo ha detto Gesù, direte, ma anche Aristotele, che non era certamente cristiano.

Viktor Frankl, psicologo ebreo famoso per essere sopravvissuto ai lager in cui ha fatto alcune riflessioni, faceva questo esempio. In una delle sue conferenze in Australia gli hanno fatto omaggio di un boomerang e quando ha detto di conoscerlo come strumento di caccia che se lanciato torna indietro gli hanno detto: “no, torna indietro se manca il bersaglio”; e Frankl: così è la nostra vita; se ritorna a noi ha mancato il bersaglio. La stessa cosa diceva il filosofo danese Kierkegaard, secondo cui la porta della felicità si apre verso l’esterno e ogni tentativo di aprirla verso l’interno la chiude sempre di più. Anche lui aveva capito che la realizzazione è fuori di noi e il compito dell’uomo è il dedicare la propria vita a qualcuno o a qualcosa ma fuori di lui. Più semplicemente possiamo dire che il fine dell’uomo è il sacrificio di sé e il bene degli altri.

Se su questo siamo d’accordo riflettiamo un po’ su cosa può essere la specificità del sacrificio che viene richiesto agli uomini e alle donne. Se la virilità è un progetto, cerchiamo di capire in cosa consiste.

Giovanni Paolo II ha scritto moltissimo su questi temi ed è stato il primo a criticare l’ideologia di genere. Quando vado nelle parrocchie trovo tutti allarmati per i libretti sul gender che circolano adesso nelle scuole e questo mi fa arrabbiare perché, dico loro, tutto questo il Papa ve lo ha detto trent’anni fa, nel 1995.

Uno degli elementi chiave per la diffusione della ideologia del gender è stata la Conferenza di Pechino del 1995, che l’ha fatta entrare ufficialmente a far parte del bagaglio dell’Onu e nelle sue agenzie. Giovanni Paolo II quell’anno scrive la famosa lettera alle donne e la scrive pensando proprio alle donne che partecipano alla Conferenza di Pechino.

In essa scrive le stesse cose che si stanno dicendo adesso: ovvero che l’uomo e la donna sono portatori di valori non intercambiabili; alcune cose sono caratteristiche della donna, altre dell’uomo e sono cose che altri non possono avere. Per quanto riguarda ad esempio la donna Giovanni Paolo dice una cosa bellissima: «La donna è portatrice di una bellezza non soltanto fisica ma soprattutto spirituale».

La bellezza spirituale è la grazia, quindi la donna è portatrice di grazia. Il Papa coglie quello che gli psicologi dicono essere l’elemento chiave dell’autostima femminile: la bellezza. Se vedete una donna trascurata potete scommetterci un dito che ha una bassa autostima e se prendete una donna con una bassa autostima potete scommettere un altro dito che si trascura. La bellezza è strettamente legata all’autostima delle donne. A questo punto potremmo chiederci qual è la caratteristica fondamentale dell’uomo, che non è solo fisica ma anche spirituale? L’elemento che è legato all’autostima degli uomini è la forza.

Se un uomo non si sente forte ha una bassa autostima. E anche in questo caso possiamo chiedere: qual è la forza non fisica ma spirituale? E’ quella che la Chiesa ha addirittura dichiarato virtù: la fortezza; ovvero la virtù che ci aiuta ad affrontare i pericoli più estremi e di offrire addirittura la nostra salute fisica pur di non cedere al male. E difatti i teologi che si sono confrontati con la virtù della fortezza dicono concordi che gli angeli non possono essere forti. La fortezza è una virtù umana poiché gli angeli non possono essere feriti, non possono sanguinare, non possono morire.

Ma non è finita qui, perché il nostro ragionamento è: a cosa servono queste caratteristiche nella realizzazione dell’uomo e della donna?

Pensate al corpo dell’uomo, confrontato con quello della donna: è più pesante, è più grosso, è più forte… Perché Dio lo ha voluto così se non per sacrificarsi col suo corpo?

Una volta ero in Trentino e con il proprietario di un albergo parlavamo del gender e di altre cose e lui diceva: «La donna è mamma, la donna è santa», e io: «va bene, ma l’uomo?», e lui ha risposto: «L’uomo è carne da macello». Noi siamo così non per sopraffare le donne ma per sacrificarci e salvare le donne. In Polonia dicono che un uomo nella vita deve fare tre cose: costruire una casa, piantare un albero, fare un figlio e poi morire in guerra. Questo è ciò che i polacchi si sono tramandati per generazioni.

E qual è il sacrificio a cui è chiamata la donna?

Torniamo a Giovanni Paolo II e alla sua Mulieris dignitatem, l’enciclica che ha dedicato alle donne, in cui dice che Maria è la donna prototipica, è il prototipo della genuina femminilità. Maria è l’archetipo della personale dignità della donna. Sempre nella enciclica il Papa dice che Cristo è il paradigma e l’esemplare degli uomini maschi. Quindi possiamo guardare a Maria e Gesù come al paradigma e gli archetipi dell’uomo e della donna, completamente e compitamente realizzati. Gesù sacrifica il suo corpo in croce, flagellato e trafitto mentre a Maria «una spada ti trafiggerà l’anima», «Maria meditava tutte queste cose conservandole nel suo cuore». Ovvero il sacrificio di Maria è interiore e spirituale: Lei soffre ma non fisicamente nel suo corpo che non è fatto per essere “portato al macello” ma per accogliere dentro di sé le sofferenze.

Come capite qui si aprono diversi significati; se ci pensate le femministe si arrabbiano perché gli uomini si dedicano al mondo esterno: il lavoro, la politica, ecc. mentre alle donne resta la casa, la famiglia, ecc. Pensate anche al rapporto sessuale tra uomo e donna, all’orgasmo maschile – esterno – e all’orgasmo femminile – interno -; pensate alla generazione per un uomo e per una donna.

Capite come la virilità e la femminilità non siano un privilegio ma un compito? L’uomo è fatto per opporsi fisicamente al male e la donna è fatta per assorbire dentro di se il male e se non è un sacrificio questo!

Ma torniamo a parlare della virilità. Voi penserete che Maria e Gesù siano sì degli archetipi, ma come dire… oltre. Come è possibile che un uomo nella sua vita realizzi una compiuta virilità? E’ mai successo nella storia che l’uomo si sia almeno avvicinato alla perfezione di virilità incarnato da Gesù? Io vi dico che tutto sommato possiamo dire di sì, c’è stato un periodo in cui l’uomo si è avvicinato il più possibile a questa idea di virilità che ci ha dato Giovanni Paolo II e la figura che lo rappresenta è il cavaliere medievale.

Sapete come nasce la cavalleria? I primi cavalieri sono dei barbari riuniti in bande, con un capo, il re, e i suoi sgherri che mangiavano assieme allo stesso tavolo – la leggenda della tavola rotonda nasce proprio da qui – e questo fino a quando nasce un genere letterario: la chanson de geste, che fa del cavaliere un personaggio coraggioso, bello, nobile, ecc. Queste chanson sono lette nelle corti, mandate a memoria dal popolo, recitate, cantate fino al punto che le donne pretendono che gli uomini si comportino come i cavalieri delle chanson de geste. La regola diventa che una donna di corte non poteva essere neppure corteggiata se un uomo non era sceso almeno tre volte in combattimento nell’arena. E alla fine del terzo combattimento cosa gli concedeva? Uno sguardo, oppure il fazzoletto; mica come adesso…  Ecco come le donne hanno imposto agli uomini un ideale e come gli uomini per le donne hanno obbedito.

Non so se avete mai visto il video di una coppia – Jason e Crystallina; erano fidanzati, adesso sono sposati –  che gira gli Stati Uniti a parlare di verginità. Jason ha sempre praticato la verginità mentre Cristallina l’ha scoperta dopo averne combinate di tutti i colori. Ad un certo punto Cristallina dice alle ragazze: voi vi lamentate che i ragazzi non vi guardano se voi non vi concedete; ebbene, se voi gli chiedeste di comportarsi da cavaliere loro per voi lo farebbero, testuali parole. E’ la stessa cosa che è successa nel medioevo: le donne hanno chiesto agli uomini di non essere più brutali, rozzi e barbari ma di nobilitarsi. E gli uomini hanno accettato.

Faccio l’esempio di Lancelot, il poema dedicato a Lancillotto, in cui la dama del lago dice: «I cavalieri non furono creati alla leggera ma quando l’invidia e la cupidigia si accrebbero nel mondo, quando i deboli non riuscirono più a sopportare le vessazioni dei forti stabilirono sopra di se dei garanti e dei difensori per assicurare la pace e la giustizia e le porre fine agli oltraggi di cui erano oggetto. Per questa protezione furono prescelti quelli che, per generale avviso, avevano maggiori qualità: gli alti, i più forti, i belli, i leali. Essi dovevano assumersi un grave fardello di doveri.

All’origine dell’ordine fu imposto, a chi voleva essere cavaliere e otteneva il privilegio della legittima elezione, di essere cortese senza bassezze, buono senza fellonia, pietoso verso i bisognosi, generoso e sempre pronto a soccorrere i deboli, a rendere equo giudizio senza odio, senza debolezza di cuore, per non nuocere alla giustizia facendo trionfare il forte. Il cavaliere non deve, per paura della morte, compiere alcun atto macchiato dal sospetto di vergogna. Deve temere l’ignominia più della morte. La missione della cavalleria è inoltre di proteggere la santa Chiesa perché ad essa è vietato prendere le armi per vendetta e rendere male al male». Insomma il cavaliere aveva solo doveri e il suo primo dovere era di sacrificarsi tutto per tutti. Addirittura non poteva nemmeno odiare il nemico. Per questo si dice noblesse oblige, la nobiltà è un obbligo.

Questo è il prototipo dell’uomo che più si è avvicinato a Gesù ed è stata la donna, non la Chiesa, a creare la cavalleria. Lo strumento non è stata l’etica ma l’estetica, ovvero la letteratura e il romanzo.

Tante volte mi chiedono: come si fa a incoraggiare i giovani e i ragazzi ad indirizzare la loro vita? E’ molto semplice: raccontategli storie, affascinateli con gli esempi; come facevano con noi. La nostra formazione era fatta di storie: favole, racconti per ragazzi, romanzi avventurosi e le favole dal punto di vista educativo hanno una presa eccezionale sui bambini.

Per qualche anno ho fatto l’insegnante di sostegno nelle scuole di Milano e anche i centri estivi. Io che non tolleravo il doposcuola, perché straziava il cuore vedere questi bambini anche d’estate tutti i giorni seduti a scuola con la maestra, capivo il fatto che arrivassero la mattina urlando e non volendo stare in classe. Così una mattina quando è entrato il primo bambino ho preso una sedia l’ho messa al centro della classe e ho cominciato a leggere una favola.

Quando entravano gli altri bambini urlando la scena era sempre quella: silenzio, prendevano una sedia e si sedevano ad ascoltare. Capite? Non è l’educazione civica che ci fa diventare più cittadini e più virili, cittadine e più femminili, ma l’estetica. Il gesto cattivo è prima di tutto un gesto brutto. Una cosa non va fatta non perché “non si fa” ma perché è brutta, è vergognosa. Ecco; il bello è un’ottima strada per educare i ragazzi, perché loro e noi siamo sensibili alla bellezza. E’ proprio attraverso i racconti in cui questi cavalieri erano poveri, generosi, disinteressati, coraggiosi che si è creata una civiltà.

Carpaccio_cavaliereIn questo quadro del Carpaccio, Ritratto di cavaliere, vediamo un cavaliere che esce dal castello, sopra di lui l’insegna di un cavallo: sono le passioni senza cavaliere; vicino a sé un Pavone, che simboleggia il giovane che si vanta della sua forza e della sua armatura; sopra un Airone che viene ucciso dal Falco: l’Airone è il cavaliere e il Falco è il male, quindi le premesse sono che quel cavaliere farà una brutta fine; invece no, perché attraverso un percorso, simboleggiato dal terreno brullo e senza vegetazione, si arriva al cavaliere in primo piano con posa ieratica che rinfodera la spada, ovvero il suo compito è finito è morto.

Questo cavaliere ha compiuto il suo servizio, il suo sacrificio; si è realizzato. Il suo progetto si è attualizzato.

Poi nel quadro vi sono altri simboli: il cane che lo accompagnava c’è ancora e simboleggia la fedeltà: il cavaliere è stato fedele al suo compito. Il simbolo più bello è l’Ermellino, con sopra la scritta Malo mori quam ut sordidum, preferisco morire che sporcarmi, perché nei bestiari era scritto che l’Ermellino preferiva morire piuttosto che sporcare il suo manto immacolato; così il cavaliere. Ai suoi piedi vi sono delle rane e dei rospi che sguazzano nel fango: sono le azioni vili e ignobili. Ecco la cavalleria: il sacrificio fisico piuttosto che il male e il peccato.

Possiamo dire che la società attuale, privando gli uomini di questo invito alla virilità non solo gli toglie la possibilità di realizzarsi, come uomini e come cristiani, ma la cosa secondo me più atroce e dolorosa è che la nostra società toglie agli uomini un compito. Il risultato qual è? Ci hanno dato un altro compito da realizzare, un altro senso alla nostra vita? No. La nostra è una vita senza senso e infatti se vi guardate intorno vedete quanta disperazione c’è.

Una volta ho partecipato ad una trasmissione a Radio Maria e un ascoltatore ha telefonato dicendo che la nostra era la società della perversione, una Sodoma e Gomorra. Invece no. La nostra è la società della disperazione, perché noi utilizziamo il sesso per strapparci l’angoscia della sofferenza; è un modo per non riflettere sul fatto che viviamo una vita senza senso.

Potremmo fare un grafico della nevrosi degli uomini milanesi contando le ragazze che ci sono sui marciapiedi. E’ questo che fa anche l’ideologia di genere. E’ vero che confonde le idee a tanta gente, è vero che fa male ai bambini ma il danno più grave lo fa a tutta la società, perché dice che l’uomo non ha una natura, un progetto, un fine, non ha un orizzonte e un perché. Chi potrebbe sostenere il peso di una vita senza senso?

Quali sono le origini della ideologia di genere che nega il nesso tra sesso e genere e che l’uomo abbia una natura? Tutti dicono che il percorso è: anni Cinquanta negli Stati Uniti, femminismo radicale, Onu e agenzie internazionali e a cascata gli stati nazionali per arrivare alla fine alle scuole. Io non dubito che il processo pratico sia stato questo ma l’ideologia di genere è il frutto di un pensiero. I pensieri però non nascono da un giorno all’altro come i funghi e hanno una storia.

Le origini del pensiero dell’ideologie di genere risalgono al 1.500 in Toscana, dove ha inizio un fenomeno culturale, politico e di costume importantissimo che è la signoria dei Medici. Come sapete i Medici erano mercanti con agenzie un po’ in tutta Europa e soprattutto a Londra; ad un certo punto si dissero: perché inviare navi piene di soldi per pagare le merci e rischiare che naufraghino con tutto l’oro? Inventarono così le lettere di cambio, che più o meno è la base del sistema bancario attuale. Ma così facendo reintroducono qualcosa che da secoli era bandita: l’usura.

A Londra non potevano farlo ma in Italia si, perché la Chiesa aveva perso gran parte del proprio potere. Perciò i Medici in Italia poterono tornare all’usura dopo secoli che era scomparsa e quando sentite parlare della rivolta dei Ciompi o della congiura dei Pazzi la causa fu l’usura; perché San Bernardino da Siena predica contro l’usura? E perché insisteva per la creazione dei monti di pietà? Perché erano un’alternativa all’usura. Anche Savonarola tuonava contro l’usura.

Non solo, ma alla corte dei Medici si riscopre anche il sapere alchemico, in cerca della pietra filosofale. Se si potevano fare i soldi senza lavorare tanto valeva provare a farli anche con l’alchimia. Questo fu l’Umanesimo.

Come fu possibile che in una società cristiana un sovrano potesse scrivere una poesia in cui è scritto «Chi volesse saper chi io sia vo trovando le certezze», Come possono non esserci certezze? C’è certezza dopo la morte in una società cristiana. Questo nella Firenze dei Medici,

Ma a Londra no. A Londra la Chiesa era forte e non permetteva l’usura, così i corrispondenti dei Medici hanno sfruttato le debolezze di Enrico VIII per liberarsi della Chiesa.

Lo scisma anglicano non comincia con Enrico VIII che è stato soltanto il pretesto – povero vecchio non può sposare la donna che ama, ecc. – e per sostenere le sue ragioni hanno fondato la Royal Society, con lo scopo preciso di sviluppare la filosofia di Francis Bacon secondo il quale noi possiamo sapere solo quello che accade sotto i nostri sensi e tutto il resto è pura invenzione, idola; quindi tutte le leggi morali e religiose sono inventate perché le uniche leggi che esistono sono quelle della materia. Nasce l’empirismo inglese.

Ad un certo punto un certo Keynes ha comprato un baule con gli scritti autografi di Newton scoprendo che la Legge della gravitazione universale non era che l’applicazione delle leggi alchemiche alla materia, tanto che Keynes conclude che Newton non è il primo degli scienziati ma l’ultimo dei maghi.

Arriviamo poi ad un giovanotto francese che deve scappare dalla Francia perché ha litigato con un nobile che non poteva sfidare a duello perché lui era un borghese. Riparato in Inghilterra entra in contatto con gli ambienti della Royal Society e quando può tornare in Francia porta con sé un quadernetto intitolato Lettere inglesi, prende lo pseudonimo di Voltaire e crea l’Illuminismo, che non è altro che l’applicazione dell’empirismo inglese.

Anche gli illuministi dicono che la ragione non può arrivare dappertutto ma solo dove arrivano i nostri sensi e tutto il resto sono credenze e superstizioni. E’ noto l’atteggiamento derisorio degli illuministi contro le leggi morali e religiose.

Scoppia la Rivoluzione francese e Mary Wollstonecraft, cui ho accennato all’inizio, arriva durante il Terrore, vive diverse avventure e riesce a tornare a Londra dove tenta il suicidio; sposa – lei che è la madrina del libero amore – un vecchio rivoluzionario e dà alla luce due bambini, una delle quali è Mary, che frequenterà carnalmente il poeta romantico Schelling. Non ancora sposati fuggono in Svizzera Mary Schelling, la sorella, Byron e il suo segretario e amante, dove passano un mese in una villa con orge e strani riti in cui nasce non solo la letteratura romantica ma anche la letteratura horror. Dunque il terrore è legato alla Rivoluzione e l’orrore è legato a questa prima rivoluzione sessuale.

Cos’è il Romanticismo? Tanti dicono che è una reazione all’Illuminismo. No. La letteratura romantica, ci dice Louis Mann, nato come scrittore romantico, ruota attorno a una domanda: gliela dà o non gliela dà? Perché è sempre la storia di una donna sposata che viene corteggiata da un uomo e alla fine l’amore, cioè la passione carnale, trionfa. L’amore romantico non è quello tra due fidanzati o due sposi ma sempre amore adulterino o incestuoso, che le leggi morali e religiose impediscono.

La faccio breve; l’ideologia di genere dice esattamente la stessa cosa: contano solo le leggi della materia, il sesso, e le leggi morali e religiose sono inventate. Quindi l’esplosione dell’ideologia di genere nella quale siamo immersi parte dal Cinquecento e se ce ne siamo accorti solo quando ha cominciato ad entrare nelle scuole è perché noi ci siamo dentro e la pensiamo esattamente come loro.

Qualche anno fa sono andato a fare una serie di incontri in una residenza universitaria a Milano e gli studenti mi facevano domande sulle cause biologiche di una serie di fenomeni e pensavo: strano, perché quando ero giovane io tutte le cause erano sociali, mentre adesso tutti pensano vi sia una causa materiale per qualsiasi cosa. Il progetto “Genoma umano”, sul quale sono stati stanziati miliardi di dollari, rappresenta proprio questo: tutto ha una causa biologica.

Siamo sempre lì: le uniche leggi che contano sono quelle della materia. Sostanzialmente siamo di fronte ad una rivolta contro la metafisica; una rivolta contro il fatto che noi abbiamo un compito e che c’è qualcosa di più della materia.

La dottrina del compimento di Aristotele non è solo un “prima” e un “dopo” ma è compimento nel senso di sviluppo, fioritura. La nostra società nega vi possa essere uno sviluppo, una fioritura, un perché, un senso.