Femminicidio? I dati sulle violenze dicono il contrario

femminicidioLa Nuova Bussola quotidiana

11 marzo 2016

di Tommaso Scandroglio

Mimose sporche di sangue. Questa potrebbe essere l’immagine dipinta da molti media che, commentando la festa della donna appena conclusa, hanno messo l’accento ancora una volta sul cosiddetto fenomeno del femminicidio. Parimenti hanno fatto i rappresentanti delle istituzioni, in testa la presidente della Camera Laura Boldrini la quale ha deciso di abbassare a mezz’asta le bandiere che sventolano a Montecitorio in segno di lutto per tutte le vittime del femminicidio. La strage delle donne, a dar retta ai giornali, pare che aumenti di anno in anno e il maschio – marito, fidanzato, convivente o amante che sia – è diventato il nemico pubblico numero uno.

Ma se andiamo a leggere la “Relazione al Parlamento del Ministero dell’Interno sulle attività delle forze di Polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla criminalità organizzata” scopriamo che le cose non stanno esattamente così. Gli ultimi dati disponibili sono quelli che si riferiscono all’anno 2014. In questa relazione viene dedicato un intero capitolo alla questione del femminicidio, espressione che, tra l’altro, provoca non poco imbarazzo negli stessi estensori del documento perché giuridicamente inesistente.

Passiamo ai dati. Questi innanzitutto ci dicono che la maggior parte delle vittime- per qualsiasi genere di reato – è di sesso maschile: 58,42% contro 41,58%. Ma la relazione poi indica anche la percentuale delle vittime per “reati di genere”, reati che vanno dall’omicidio alle lesioni, passando per varie forme di vessazioni fisiche e psicologiche. Dato che l’espressione “reati di genere” come femmincidio è anch’essa un neologismo giuridico non positivizzato in norme, per comprendere il significato di questa espressione non possiamo che rifarci all’interpretazione che ne dà lo stesso ministero in questo documento. Tale interpretazione riguarda unicamente le donne e fa riferimento a quei reati commessi per motivazioni legate ad «una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».

I reati di genere quindi sono connotati, per usare parole della stessa relazione, da atteggiamenti discriminatori e di dominio basati su rapporti di ineguaglianza. Abbiamo voluto soffermarci sull’espressione “reati di genere” perché non solo le donne, ma anche gli uomini sono vittime dei reati di genere, cioè di crimini e delitti compiuti sostanzialmente per motivazioni legate al sesso di appartenenza. Mogli che uccidono i mariti, figlie che si scagliano contro i padri perché ad esempio non ne riconoscono il ruolo o l’autorità. E l’aspetto curioso e sorprendente sta nel fatto che anche nei reati di genere il numero di vittime maschili è maggiore del numero di vittime femminili: 51,11% contro 48,89%. Affermarlo sarà politicamente scorretto, ma la vera emergenza è il maschicidio e non il femminicidio.

Altra menzogna. Le vittime di femminicidio sono sempre di più. Ma il trend, almeno nel periodo 2013-2014, è invece in decrescita: dal 49,33% al 48,89%. In particolare l’omicidio è sceso dal 36% al 31% e quello perpetrato in ambito familiare – tipico topos giornalistico – sebbene abbia il primato (d’altronde la violenza di genere avviene soprattutto tra congiunti: 69% dei casi, di cui nel 46% dei casi l’autore è il partner) è sceso dal 70% al 62%. Nella maggioranza dei casi (29%) l’omicidio nasce da una lite. I motivi della violenza sulle donne? Il report non li dice, ma i giornali sì. Nella maggior parte dei casi la violenza viene innescata dalla fine di un rapporto: divorzio, separazione, fine del fidanzamento o della convivenza. Nessuno però oserebbe dire che separazione e divorzio fomentano i femminicidi, invece si continua a ripetere che è la famiglia il luogo della violenza. Come a dire che se due amici litigano la colpa è dell’amicizia.

Dunque abbiamo visto che la violenza sulle donne e i femminicidi sono in diminuzione. Per paradosso invece è in crescita la violenza di genere sugli uomini: dal 50,67% del 2013 al 51,11% del 2014. Altra riflessione. I dati del ministero fanno emerge che per i reati di genere nel 56,64% dei casi le vittime sono straniere e nel 64% dei casi circa l’autore del reato è anch’esso straniero. Quindi c’entra poco lo schemino di origine ottocentesca-occidentale che vede il maschio padre-padrone, figura archetipa che sopravvivrebbe ancor oggi, bensì la radice della violenza è insita in quelle culture non cristiane o scristianizzate che considerano la donna come persona di serie B e di proprietà del maschio. Di converso quando la vittima è italiana solo nel 12% dei casi l’autore è uno straniero.

Il report però non distingue nel computo delle vittime di sesso femminile quali sono state uccise, aggredite, etc. da uomini e quali da altre donne. Sicuramente queste ultime sono una percentuale ridotta (però non si sa quanto ridotta), ma perché omettere questo dato? Non si può escludere che le donne autrici dei reati abbiano un peso percentuale rilevante. Infatti gli autori dei reati nel 46% dei casi sono: genitori, figli, altri parenti, soggetti legate alla vittima da altre relazioni non affettive (lavoro, sport, amicizia), o da nessuna relazione (incontro occasionale, casuale) e quindi non si può escludere a priori che in queste categorie di soggetti ci siano anche delle donne. Si badi bene: anche una sola donna uccisa all’anno grida vendetta al Cielo. Ma la verità non ha bisogno di aiutini dalla menzogna per brillare più intensamente, perché quest’ultima può solo offuscare la prima.

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