Dottrina sociale della Chiesa: i principi

I.D.I.S. – Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale

Voci per un Dizionario del Pensiero Forte

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di Giovanni Cantoni

La dottrina sociale della Chiesa – il corpo dottrinale in progress, «fabbrica» destinata a chiudersi alla fine dei tempi, di cui sono note le grandi linee e le fondamenta, che si viene costituendo nel corso della storia a opera della Gerarchia e sulla base dell’elaborazione delle scienze umane soprattutto in risposta alle sollecitazioni delle diverse società umane – comporta tre aree: princìpi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione.

Essa ha trovato una ricostruzione e un’esposizione compendiose di particolare rilevanza magisteriale nel Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato da Papa Giovanni Paolo II nel 1992, come strumento valido e legittimo della comunione ecclesiale e come norma sicura per l’insegnamento della fede, per la catechesi, cioè per l’attività attraverso la quale la Chiesa, in tutte le sue articolazioni, fa eco alla Sacra Scrittura, alla Tradizione apostolica, al Magistero ecclesiastico, proclamando i «diritti dell’uomo» senza anteporli ai «diritti di Dio», dei quali si deve riconoscere e rispettare il primato, non solo come fonti di precisi doveri corrispondenti, ma anche come fondamenta e garanzie dei primi.

Princìpi di riflessione

I princìpi di riflessione della dottrina sociale naturale e cristiana sono costituiti dal primato della persona umana, dal principio di sussidiarietà e da quello di solidarietà

Quanto all’uomo, se ne afferma la naturale socialità e si indica il fondamento della sua grandezza nell’esser stato creato a immagine e somiglianza di Dio, sì che la dimensione stessa di tale grandezza è la gloria di Dio: «La gloria di Dio – scrive Sant’Ireneo di Lione, un Padre della Chiesa, di lingua greca, del secolo II – è l’uomo vivente, ma la vita dell’uomo è la contemplazione di Dio» (Adversus haereses 4,20, 7); l’uomo è posto al centro del mondo delle creature visibili e invisibili, tutte ricolme della gloria del Creatore e che ne proclamano la gloria, sì che, attraverso la storia del cosmo visibile e invisibile, s’innalza, come un Tempio immenso, un abbozzo del Regno eterno di Dio.

Nell’esecuzione di quest’opera, in base al principio di sussidiarietà l’uomo deve esser messo in condizioni di realizzare e all’uomo si deve domandare che realizzi tutte le proprie potenzialità prima di auspicare e di richiedere l’intervento di altri uomini a soddisfare le sue esigenze naturali – cioè derivanti dalla sua natura sociale, che lo rende strutturalmente bisognoso dell’aiuto di altri – e a integrare le deficienze dovute alle conseguenze del peccato originale. Questo rapporto fra il singolo e la società come insieme di altri uomini è modello anche per le relazioni fra i diversi corpi sociali intermedi, a partire dalla società matrimoniale, da quella familiare e oltre, fino alla comunità delle nazioni.

Ancora: nell’esecuzione di quest’opera, il vantaggio spirituale e materiale del singolo uomo dev’essere perseguito in armonia con il vantaggio dell’umanità come insieme di tutti gli uomini – è il principio di solidarietà – cioè nella prospettiva del bene comune di ogni società e della società universale inteso come insieme delle condizioni che, ai diversi livelli e nelle diverse situazioni, garantiscono e favoriscono le migliori situazioni di vita di ogni singolo, quindi la realizzazione sociale della gloria di Dio.

I princìpi evocati trovano la loro codificazione nella regolamentazione dei rapporti con Dio dell’uomo e della società che forma e di cui vive, implicito commento alla prima tavola del decalogo, che appunto li prevede nei primi tre comandamenti; quindi nell’implicito commento alla seconda tavola della stessa legge, che riguarda le relazioni fra gli uomini e degli uomini con i beni.

Criteri di giudizio

Quanto ai rapporti con Dio delle società – con particolare riguardo alle società politiche, cioè agli Stati – l’orizzonte costituito dal primo comandamento, «Non avrai altro Dio fuori di me», comporta un’accoglienza della verità della religione cristiana da parte della società in un modo quanto più possibile integrale, per cui anche la confessionalità dello Stato – cioè del profilo organizzativo della società – con il riconoscimento della missione unica della Chiesa cattolica, è obiettivo da perseguire, naturalmente sulla base inamovibile della libertà religiosa, che esclude ogni e qualsiasi coercizione sociale e civile in materia religiosa.

Le esigenze sociali insite nel secondo comandamento, «Non nominare il nome di Dio invano», comportano che i diritti alla libertà di coscienza, d’opinione e d’espressione non esonerino dal dovere di trattare con deferente considerazione l’esperienza spirituale di quanti credono in Dio e che, offendendo pubblicamente Dio, non si commetta soltanto una grave colpa morale, ma si violi pure un preciso diritto della persona al rispetto delle proprie convinzioni religiose. Circa il terzo comandamento, «Ricordati di santificare le feste», l’osservanza di un giorno settimanale di preghiera e di riposo, con effetto rigeneratore e tonificante sull’esistenza umana, dev’essere garantito contro l’asservimento al lavoro e ii culto del denaro.

Il quarto comandamento, «Onora il padre e la madre», espresso nella forma di un dovere da compiere, è uno dei fondamenti della dottrina sociale naturale e cristiana. Infatti riguarda la famiglia, fondata sul matrimonio eterosessuale, monogamico e indissolubile, offeso in radice dalla permissione del divorzio, che – con l’adulterio, l’incesto, l’omosessualità e ogni abuso sessuale – contrasta con il sesto comandamento, «Non commettere atti impuri».

Cellula originaria della vita sociale, la famiglia – alla quale spetta il diritto primario all’educazione dei figli e alla libera scelta della scuola – esercita a tale vita, educando implicitamente all’organicità sociale, quindi sia all’uguaglianza che alla diversità fra gli uomini, sia alla gerarchia che alla fraternità sulla base della comune paternità nonché all’identificazione dei propri diritti e dei corrispondenti doveri. Inoltre, della vita sociale, in ogni suo grado, è nello stesso tempo modello e modulo, sulla cui base realizzare la partecipazione alla vita politica – contrapponendo democrazia a totalitarismo, ma guardandosi dal totalitarismo democratico, cioè da una democrazia che voglia imporre i valori a maggioranza – ed esercitare l’autorità come servizio.

Il quinto comandamento, «Non uccidere», rifiuta l’omicidio diretto e volontario, l’aborto e l’eutanasia, nonché il suicidio e quei generi di suicidi promossi fisicamente dall’assunzione di droghe, con tutta l’attività criminale che la circonda, e moralmente dagli scandali provocati, di volta in volta, da leggi o da istituzioni, dalla moda o dall’opinione pubblica A tali scandali si affiancano la permissività dei costumi e l’intossicazione pornografica, dai quali mette in guardia il nono comandamento, «Non desiderare la donna d’altri».

Sempre al quinto comandamento rimandano il rispetto dell’integrità corporea e psichica e il divieto di ogni sperimentazione scientifica sugli esseri umani che li esponga a rischi sproporzionati o evitabili – neppure con il consenso esplicito del soggetto o dei suoi aventi diritto – nonché la condanna di rapimenti, di presa di ostaggi e di terrorismo. Nel quadro del rispetto della vi­ta si situano lecitamente sia la legittima difesa, la cui versione macroscopica è la guerra, che la pena di morte, pratiche da scongiurare con ogni sforzo ragionevole e possibile – soprattutto a fronte delle moderne tecniche di guerra e del moderno disprezzo per la vita – ricorrendo a modalità quali la trattativa diplomatica, l’arbitrato internazionale e la carcerazione.

Il settimo e il decimo comandamento, «Non rubare» e «Non desiderare la roba d’altri», fondano la liceità del diritto di proprietà privata, acquisita con il lavoro o ricevuta in eredità oppure in dono; non eliminano però l’universale destinazione dei beni, anche se la promozione del bene comune esige il rispetto della proprietà privata, del diritto a essa e del suo esercizio, e condannano ogni forma di esproprio surrettizio, quale quello fiscale.

Al diritto di proprietà s’affianca quello d’iniziativa economica, nonché il rispetto dell’integrità della creazione. Comunque, la vita economica dev’essere garantita dallo Stato, che deve sorvegliare e guidare l’esercizio dell’attività e dei diritti nel settore, quindi dare un solido inquadramento giuridico pure al mondo finanziario.

Infine l’ottavo comandamento, «Non dire falsa testimonianza», non riguarda solo la veridicità nella testimonianza in sede giuridica e contrattuale, ma l’informazione attraverso i mezzi di comunicazione sociale, nel suo contenuto sempre vera e – salve la giustizia e la carità – integra, e nel modo onesta e rispettosa delle leggi morali, dei legittimi diritti e della dignità dell’uomo.

Direttive di azione

I princìpi enunciati e le determinazioni della legge naturale e cristiana costituiscono la premessa di ogni ascesi sociale, cioè di ogni opera sociale e di ogni sforzo politico teso alla realizzazione delle condizioni massimali e ottimali della convivenza a ogni livello, da quello fra famiglie a quello internazionale, a partire dalla messa in atto di ogni gesto utile allo svolgimento di tale attività quindi alla preventiva conquista – ove necessario – e alla conservazione di una condizione di libertà che per il cristiano coincide con la libertas Ecclesiae, ma che si rivela anche libertas hominis, grazie appunto alla relazione fra il decalogo e la «legge naturale», per cui «fin dalle origini – come afferma sempre sant’Ireneo -, Dio aveva radicato nel cuore degli uomini i precetti della legge naturale.

Poi si limitò a richiamarli alla loro mente. Fu il Decalogo» (op. cit 4, 15, 1); quindi – con altra formulazione – grazie all’interdipendenza fra i «diritti di Dio» e i «diritti dell’uomo», che non solo non si escludono, ma vanno di pari passo. Perciò s’impone quella che Papa Giovanni Paolo II chiama – al n. 26 dell’esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et paenitentia, del 1984 – la «quadruplice riconciliazione» dell’uomo «con Dio, con se stesso, con i fratelli, con tutto il creato», nella cui prospettiva di ritorno ai princìpi si situano lo studio, la diffusione e l’applicazione della dottrina sociale della Chiesa, «[…] un ampio e solido corpo di dottrina riguardante le molteplici esigenze inerenti alla vita della comunità umana, ai rapporti tra individui, famiglie, gruppi nei suoi diversi àmbiti, e alla stessa costituzione di una società che voglia esser coerente con la legge morale, che è fondamento della civiltà.

«Alla base di questo insegnamento sociale della Chiesa si trova, ovviamente, la visione che essa trae dalla parola di Dio circa i diritti e i doveri degli individui, della famiglia e della comunità; circa il valore della libertà e le dimensioni della giustizia; circa il primato della carità; circa la dignità della persona umana e le esigenze del bene comune, al quale devono mirare la politica e la stessa economia.

Su questi fondamentali princìpi del magistero sociale, che confermano e ripropongono i dettami universali della ragione e della coscienza dei popoli, poggia in gran parte la speranza di una pacifica soluzione di tanti conflitti sociali e, in definitiva, della riconciliazione universale»; cioè – secondo lo stesso Pontefice nella conclusione dell’esortazione apostolica postsinodale Christifideles laici, del 1988 -«[…] contribuire a stabilire sulla terra la civiltà della verità e dell’amore, secondo il desiderio di Dio e per la sua gloria».

Per approfondire: vedi Congregazione per l’Educazione Cattolica, «Orientamenti per lo studio e l’Insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale», del 30-12-1988; don José Miguel Ibànez Langlois, «La dottrina sociale della Chiesa. Itinerario testuale dalla “Rerum novarum” alla “Sollicìtudo rei socialls”», trad. It., Ares, Milano 1989; e I miei «Dottrina sociale e lavoro umano nel messaggio della “Laborem exercens”», In «Cristianità», anno IX, n. 78-79, ottobre-novembre 1981, pp. 1-20; «La buona battaglia di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, Ibld.,» anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983, pp. 3-5; «Cattolici, politica e dottrina sociale della Chiesa», In «Quaderni di “Cristianità”», anno II, n. 4, primavera 1986, pp. 68-76; «La Contro-Rivoluzione e le libertà» in «Cristianità», anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 6-12; «La democrazia nell’enciclica sociale “Evangellum vitae”» ibid. anno XXIII, n. 241-242, maggio-giugno 1995, pp, 3-8. Vedi pure «I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II», a cura di Raimondo Spiazzi O. P., voi. I. «dal 1864 al 1965», e voi. Il, «dal 1967 al 1987», 2* ed. aggiornata, Massimo, Milano 1988; e «Tutte le encicliche e i principali documenti pontifici emanati dal 1740», a cura di Ugo Bellocchi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, dal 1993, 6 voli., testi dal 1740 al 1903.