Intervista a Rodney Stark: “Ma quale secolarizzazione! La religione conta di più”

Rodney Starkil Giornale della Libertà, 11 gennaio 2008

di Massimo Introvigne

Se si esclude Benedetto XVI, l’autore di saggi di materia religiosa più letto e recensito dai cattolici negli Stati Uniti – e non solo – è un non cattolico: Rodney Stark, forse il più illustre sociologo delle religioni vivente.

Professore di sociologia prima all’Università della California a Berkeley, poi all’Università di Washington e ora alla Baylor University, Stark è l’autore di quello che per decine di migliaia di studenti nel mondo è semplicemente “il libro”: una bibbia di settecento pagine chiamata Sociology, giunta alla decima edizione.

Al grande pubblico Stark è noto per i suoi saggi sulle religioni, da un sofisticato studio dei primi secoli cristiani – Ascesa e affermazione del cristianesimo, appena tradotto in Italia da Lindau – a una trilogia sul monoteismo, conclusa con La vittoria della ragione (che Lindau ha pubblicato in italiano nel 2006) e ora coronata da La scoperta di Dio.

Leggendo quest’ultima opera, si intuisce che ormai Stark (educato nella fede luterana, abbandonata però da anni) è qualcosa di più di un laico rispettoso della Chiesa. “Fino ad Ascesa e affermazione del cristianesimo – confida  – , dal momento che sono a favore della civiltà occidentale (il che non è ovvio oggi per un accademico), ero un ammiratore del cristianesimo, che di quella civiltà è l’anima, ma non un credente.

Neppure un ateo, ma un agnostico. Continuando a studiare la sociologia e la storia delle religioni mi sono convinto che anche nella storia c’è un ‘disegno intelligente’: e una mattina mi sono svegliato rendendomi conto di essere diventato un cristiano. Ho un grande rispetto per la Chiesa cattolica, ma al momento non ho aderito ad alcuna Chiesa”.

Un passo in più, insomma, rispetto ai nostri benemeriti “atei devoti” italiani: abbastanza, insieme al grande interesse che Stark ha per l’Europa e per l’Italia, per includerlo in questa indagine.

A proposito dell’Italia Stark sostiene da anni che non c’è nessuna secolarizzazione e che la religione, data per morta, è invece ben viva e presente. Una posizione controcorrente?

“Niente affatto. Negli Stati Uniti la maggioranza dei sociologi, come emergerà in un convegno che stiamo organizzando per il 2009, nota segni di un risveglio religioso in Europa e in particolare in Italia. Chi lo nega in Europa spesso lo fa in nome di un’agenda politica o anti-religiosa. Anche se ci fosse un declino della pratica religiosa (io non ne sono convinto, ma la questione ci porterebbe in un dibattito molto tecnico sulle statistiche) questo deriverebbe dal fatto – per usare la mia terminologia preferita, che s’ispira alla teoria economica – che i potenziali fedeli non sono soddisfatti dell’offerta che trovano nelle chiese alla domenica, non dalla mancanza di domanda. Altri indicatori mostrano che la maggioranza degli italiani si dichiara credente e che la religione ha un’influenza crescente nelle vicende italiane”.

Ma non cresce anche l’anti-cattolicesimo laicista? “Ce ne sono tre ondate, risponde Stark. La prima, protestante, è poco presente in Italia ma fornisce molti argomenti alla seconda, illuminista, e alla terza, secondo me la più pericolosa, costituita da quei cattolici liberal, progressisti, ‘adulti’ che diffondono tesi ostili al Papa e alla dottrina cattolica tradizionale sperando di costringere la gerarchia a cambiarla. Senza esito, per fortuna. Se si eccettuano i problemi legati alle accuse a sacerdoti di abusi sessuali – che, quando sono vere, sono il frutto avvelenato di una teologia morale lassista in materia di sperimentazione sessuale – la Chiesa gode di buona salute in Italia come negli Stati Uniti, e la sua influenza culturale non diminuisce ma cresce”.

L’epoca delle origini cristiane in Europa – in cui la Chiesa cattolica non era ancora religione di Stato – si può paragonare a quella odierna, in cui non lo è più? “Una delle mie tesi fondamentali, spiega Stark, è che essere religione di Stato non conviene. Sentendosi garantito dallo Stato il clero s’impigrisce, e lo slancio missionario viene meno. È successo a una parte del clero nell’Europa cristiana (non a tutto, e quasi mai agli ordini religiosi), e anche ai pastori protestanti di Stato dopo la Riforma. La perdita di posizioni di semi-monopolio garantite dallo Stato non solo non danneggia le Chiese cristiane, ma è un’occasione per rilanciarle”.

E la politica? Sembra che per tutti i candidati alla presidenza degli Stati Uniti la religione sia una questione più importante che per la maggioranza dei politici europei.

“Ma questo – secondo Stark – non avviene perché in America c’è poco pluralismo religioso ma perché ce n’è molto. In Italia, con poche eccezioni, un politico o è un non credente o è un cattolico. Da noi può essere cattolico o ateo, ma anche battista, metodista, mormone, ebreo e molte altre cose ancora. Con il crescere del pluralismo la vostra situazione si avvicinerà alla nostra. I politici dovranno abituarsi a intrusioni nella loro privacy e al fatto che gli elettori vorranno conoscere, come negli Stati Uniti, la loro posizione personale sulla religione. E ne terranno conto”.

La domanda può essere rovesciata: dobbiamo aspettarci anche politici che tengano a loro volta più conto della religione? “Dovrebbero farlo, e penso che lo faranno. Più si renderanno conto del peso maggiore rispetto a qualche anno fa che ha la religione, più i politici avveduti cercheranno di entrare in sintonia con gli elettori religiosi. È una possibilità per quelli che in America chiamiamo conservatori e da voi centrodestra, ma non c’è nulla di scontato e chi intende cogliere questa opportunità dovrà attrezzarsi per farlo. La Democrazia Cristiana funzionava per i politici un po’ come la religione di Stato per i preti: impigriva molti che consideravano il voto cattolico garantito e non si davano troppo da fare per capire quali questioni stavano davvero a cuore ai cattolici. Oggi chi vuole conquistare questi voti deve andarseli a cercare sui singoli problemi”.

(A.C. Valdera)