E la Chiesa del Silenzio parlò

GpII_WalesaL’Osservatore Romano, 2 aprile 2008

Giornalista e scrittore, l’autore del volume Jean-Paul II – edito da Gallimard (Paris, 2003) e tradotto in italiano per Baldini Castoldi Dalai Editore (Milano, 2004) – ha tracciato un profilo del Pontefice soffermandosi in particolar modo sul ruolo da lui esercitato sullo sviluppo della recente storia europea.

di Bernard Lecomte

Se Giovanni Paolo II ha lasciato il ricordo di un pastore eccezionale, di un uomo dalla grande fede, di un intellettuale fuori dal comune, resterà nella storia anche come un Papa molto “politico”, soprattutto per il ruolo esercitato sulla fine del comunismo in Europa. Certo, il Papa polacco non ha mai lanciato “crociate” contro l’uno o l’altro regime:  “Non faccio politica” ha detto un giorno a un giornalista, “io parlo del Vangelo. Ma se parlare della giustizia, della dignità umana, dei diritti dell’uomo, è fare politica, allora siamo d’accordo!”.

Oggi tutti gli storici concordano che se il Papa eletto nell’ottobre del 1978 fosse stato italiano, spagnolo o francese, il corso della storia, sul finire del ventesimo secolo, sarebbe stato diverso. Appena eletto, in effetti, si vede il nuovo Pontefice moltiplicare segni, gesti e iniziative in direzione dell’Est. Durante la messa per l’inizio del ministero petrino, domenica 22 ottobre 1978, dopo aver lanciato il suo famoso “Non abbiate paura!”, il Papa slavo pronuncia saluti particolari in ceco, slovacco, russo, e così via.

Chi nota allora che egli invia la sua berretta di cardinale al santuario della Porta dell’Aurora, a Vilnius, capitale della cattolicissima Lituania? Chi osserva che riceve, in primo luogo, il cardinale Frántisek Tomásek, primate di Boemia e futuro padrino della “rivoluzione di velluto” cecoslovacca? “Santità, non dimentichi la Chiesa del silenzio!” gli dice una donna ad Assisi, il 5 novembre 1978. Giovanni Paolo II le risponde:  “Non c’è più Chiesa del silenzio, perché parla con la mia voce!”.

Il nuovo Papa non ha elaborato alcun progetto, non ha fomentato alcun complotto, per rovesciare il sistema sovietico. È tuttavia portatore di un’esperienza particolare:  quella di un sacerdote, di un vescovo, di un cardinale venuto dall’altra parte della “cortina di ferro”. Il suo discorso è tanto originale quanto sovversivo:  contrariamente alla maggior parte dei responsabili occidentali di allora, egli è convinto che la divisione dell’Europa in due sia un incidente politico e che il marxismo-leninismo non sia altro che una parentesi della storia.

Il cammino spirituale e l’insegnamento morale di Giovanni Paolo II sono stati altrettanti incoraggiamenti per i cristiani dell’Est, come i grandi temi che hanno presto costituito l’armatura del suo discorso politico e sociale:

– innanzitutto il primato della “cultura”, che ha colpito  tanto  le  menti  nel  discorso  all’Unesco  del 2 giugno 1980, e quell’insistere sul risuscitare la storia confiscata, di tutti i popoli sottomessi;

– la permanenza della “nazione”, cellula primaria della comunità internazionale, la cui esistenza e la cui sovranità non devono dipendere dal beneplacito di qualche entità superiore;

– l’opzione per “l’Europa” in quanto associazione di nazioni che custodiscono la loro storia, le loro specificità e anche le loro radici cristiane, ben diversa, quindi, dall’Europa conflittuale di Yalta e di Helsinki;

– infine l’insistenza per i “diritti dell’Uomo”, tema centrale dell’insegnamento di Giovanni Paolo II fin dalla sua prima enciclica, Redemptor hominis, la lotta per le libertà individuali e soprattutto per la più intima:  la libertà religiosa. Il Papa non si è accontentato di tradurre tali temi in omelie a Roma, ma li ha portati, a volte personalmente, nei quattro angoli dell’Europa. Innanzitutto con i suoi viaggi, a cominciare dalla straordinaria visita pastorale in Polonia nel giugno del 1979, che in qualche modo diede il via all’esperienza di Solidarnosc.

Poi, per interposta persona:  basti ricordare la missione del cardinale Agostino Casaroli inviato a rappresentare il Papa nelle cerimonie del millenario della Chiesa russa, nel giugno del 1988. Infine, mediante innumerevoli incontri in Vaticano, dalla prima udienza concessa al ministro Andrei Gromyko (gennaio 1979) al caloroso incontro con il dissidente Andrei Sakharov (febbraio 1989).

Il più sorprendente di questi incontri sarebbe stato, naturalmente, quello con Mikhail Gorbaciov, svoltosi in Vaticano il primo dicembre 1989, alcuni giorni dopo la caduta del Muro di Berlino, come uno straordinario simbolo della fine di un’epoca.

“Varsavia, Mosca, Budapest, Berlino, Praga, Sofia e Bucarest sono divenute le tappe di un lungo pellegrinaggio verso la libertà”, avrebbe detto il Papa dinanzi al corpo diplomatico, un mese dopo, prima che Gorbaciov stesso riconoscesse, in un articolo pubblicato nel febbraio 1992:  “Nulla di quanto è accaduto in Europa sarebbe stato possibile senza questo Papa”.

(A.C. Valdera)