La secolarizzazione della Dottrina sociale della Chiesa e il personalismo di Maritain

Maritain

Jaques Maritain

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

Newsletter n.662 del 10 febbraio 2015

 di Stefano Fontana

Il nostro Osservatorio ha già trattato più volte il tema della secolarizzazione da cui anche la Dottrina sociale della Chiesa è investita [1]. Una pista interessante di approfondimento è chiedersi se il personalismo cattolico [2] abbia rappresentato una tappa in questo processo.

Alla secolarizzazione deve essere applicato il criterio suggerito da Benedetto XVI nei confronti del Vaticano II, momento di confronto della Chiesa con la secolarizzazione moderna. Nella secolarizzazione bisogna distinguere i principi dalle applicazioni storiche. Il principio secondo cui esiste una sovranità di Dio anche nella costruzione della realtà sociale – quanto viene solitamente detto “regalità sociale di Cristo” – rimane indiscutibilmente valido.

Se la secolarizzazione vuol significare il venir meno di questo principio essa va rifiutata e combattuta. Se per secolarizzazione si intende, invece, la fine del regime dello Stato confessionale, pur nel riconoscimento storico non solo delle sue ragioni ma anche dei suoi meriti, allora è lecito ritenere che la provvidenza divina e l’impegno dei credenti possa fornire in futuro altre modalità di garantire la centralità di Dio nella costruzione della società politica, tenuto saldo il principio detto sopra del primato del Legislatore divino al quale devono attenersi i legislatori umani.

Un corollario di non poca importanza di questi principi è che la secolarizzazione come contrapposizione alla centralità di Dio nella costruzione della casa politica, ossia nel primo significato espresso sopra, è un processo che non conosce sosta, con una tendenza assolutamente radicale [3]. Esso non si fermerà mai, se lasciato a se stesso, perché consiste nella corrosione del senso e una volta corroso il senso di Dio inesorabilmente corroderà tutti gli altri sensi surrogati o residui.

Se ci si attiene alla seconda lettera di San Paolo ai Tessalonicesi (2, 7-8) si può avere l’impressione che “trattenere” la secolarizzazione sia controproducente [4]. Secondo quei versetti, eliminare ciò-che-trattiene (Kathecon) l’Iniquo ritarderebbe la Parusia, perché, dice San Paolo, Cristo verrà quando l’apostasia sarà completa e con un soffio del suo alito distruggerà il Mentitore. Ma nella storia il cristiano non può non fare il bene. E’ vero, come ricordava Karl Löwith [5], che il Regno di Dio non avverrà per evoluzione di questa storia, ma irromperà. Ma questo non esonera il cristiano dall’agire secondo giustizia e, così facendo, trattenere l’Iniquo.

Ciò vale anche per la secolarizzazione, quando essa venga intesa non solo come superamento storico della fase dello Stato confessionale, ma come espulsione sempre più radicale di Dio dalla storia politica, come mistero di iniquità. Non si può non lavorare per trattenerla, ribadendo, con le possibilità che nelle varie epoche storiche la Provvidenza ci mette a disposizione, il primato di Dio nella costruzione della vita pubblica.

Il quadro qui presentato ha bisogno di molti approfondimenti. Un aspetto interessante da chiarire è se il personalismo cattolico abbia trattenuto la secolarizzazione o l’abbia favorita. Anche questa è una ricerca che qui si può solo abbozzare.

Jacques Maritain, nel suo “Per una filosofia della storia”, sostiene che il passaggio dalle società “sacrali” alle società “profane” o “laiche” è una legge della storia [6]. Egli è dell’idea che questo passaggio sia dovuto allo stesso cristianesimo, come fermento della civiltà. Ne consegue che il nuovo punto di incontro tra Chiesa e Stato è “l’unità stessa della persona umana, membro ad un tempo del corpo politico e della Chiesa” [7]. In questo caso, quindi, secolarizzazione e personalismo sono la stessa cosa: la secolarizzazione ha prodotto la centralità della persona. Ma la centralità della persona – questo è il punto – si è sostituita alla centralità di Dio? Impossibile dare qui una risposta in poche righe, semmai qualche breve spunto.

Il primo riguarda il rapporto tra la persona e il bene comune. Molte critiche a Maritain fanno notare che egli attua un rovesciamento: fino ad allora il pensiero cattolico riteneva che la persona fosse in funzione del bene comune [8], mentre egli pensa il bene comune in funzione della persona. Tutto dipende da cosa si intende per bene comune (ed anche per persona, come diremo tra poco).

Se del bene comune fa parte anche la religione cristiana e Dio stesso, allora è scorretto finalizzarlo alla persona, mentre sarebbe più consono pensare che esso sia il criterio per la persona e non viceversa. Se invece per bene comune intendiamo l’organizzazione profana della vita pubblica, allora è bene pensarlo come finalizzato alla persona. Però, in questo caso, bisogna pensarlo come finalizzato alla persona “nella pienezza della sua vocazione”, la qualche implica la religione cristiana e Dio, e quindi ritorna il concetto di bene comune nel primo significato.

Una riduzione o una eliminazione della presenza di Dio nel concetto di bene comune produce una secolarizzazione dello stesso concetto. Sembra che il pensiero di Maritain abbia favorito questa secolarizzazione. E siccome questa è un processo inarrestabile si è poi assistito ad una progressiva corrosione dello spessore del bene comune fino ai nostri giorni quando, anche in ambito ecclesiale e teologico, si sostiene che una relazione omosessuale possa contribuire al bene comune.

Il secondo riguarda la concezione stessa della persona. Secondo qualche osservatore, Maritain avrebbe erroneamente distinto tra individuo e persona. Già nel suo libro Tre riformatori [9], pur considerato appartenente ad una fase premoderna del suo pensiero, egli separava quanto non può essere separato, pensando l’individuo come il polo materiale dell’uomo e la persona come il polo spirituale.

Secondo Miguel Ayuso [10] questo è dovuto alla confusione tra principio di individuazione e principio di identità [11]. Il principio di individuazione è la materia, il principio di individualità è la forma sostanziale ossia l’anima. Per l’individuazione l’uomo è soggetto ai determinismi naturali, per l’individualità egli è superiore a tutto l’universo. La persona, quindi, deve sottrarsi completamente al potere politico, mentre per San Tommaso essa era in condizione di parte rispetto ad esso. Qui ci si ricollega al tema del bene comune, dato che, con questa concezione della persona, essa non può venire giudicata dal bene comune ma è essa che se ne appropria.

Ma cosa giustifica la sottomissione della persona al potere politico se non la sicurezza che questo realizzi il bene comune? Questa sicurezza può essere data solo dal riconoscimento da parte del potere politico del “riconoscimento esplicito e pubblico della sovranità divina” [12], con il che, però, si torna alla formula dello Stato confessionale, che è una applicazione (superata) e non il principio. Il tentativo di Maritain è stato quello di dare vita ad una “nuova cristianità”, cercando di mantenere vivo il principio della sovranità di Dio nell’ambito secolare, superando l’applicazione dello Stato confessionale. Il tentativo è fallito, ma le critiche al tentativo fallito tendono a ricadere nella identificazione del principio con l’applicazione, del primato di Dio con lo Stato confessionale.

Note

[1] CREPALDI, Giampaolo, Sulla presunta irreversibilità della secolarizzazione; FONTANA, Stefano, Il destino dell’Occidente e la secolarizzazione.

[2] FONTANA, Stefano, La critica di Marcel De Corte alla Pacem in terris e i pericoli del personalismo.

[3] CREPALDI, Giampaolo, Il nodo non sciolto della Dottrina sociale della Chiesa, “Studi Cattolici”, n. 655, Settembre 2015, pp. 604-609.

[4] CACCIARI, Massimo, Il potere che frena. Saggio di teologia politica, Adelphi, Milano 2015.

[5] LÖWITH, Karl, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Il Saggiatore, Milano 2010.

[6] MARITAIN, Jacques, Per una filosofia della storia, Morcelliana, Brescia 19722, pp. 88-90.

[7] Ivi, p. 89.

[8] Non è il bene che si adatta alla misura della persona umana, ma è la persona umana che si adatta alla misura smisurata di questo bene incommensurabile. E’ per questo che si chiama bene comune (MEINVIELLE, Julio, Critica de la concepción de Maritain sobre la persona humana, Nuestro Tiempo, Buenos Aires 1948, p. 89, riferito in AYUSO, Miguel, Los antimaritainianos de la Rive Droite “Verbo”, LII (2014), nn. 520-530, p. 857. Vedi anche DE CORTE, Marcel, Sulla giustizia, Cantagalli, Siena 2012; AYUSO, Miguel, Los antimaritainianos de la Rive Droite “Verbo”, LII (2014), nn. 520-530, pp. 839-874).

[9] MARITAIN, Jacques, Tre riformatori. Lutero, Cartesio, Rousseau, Morcelliana, traduzione e prefazione di Giovanni Battista Montini, Introduzione di Antonio Pavan, Morcelliana, Brescia 20018, pp. 53-67.

[10] AYUSO, Miguel, Los antimaritainianos de la Rive Droite cit., pp. 856-857.

[11] Per una sua esposzione nella filosofia di san Tommaso vedi: GILSON Étienne, Lo spirito della filosofia medioevale, Morcelliana, Brescia 1988, prima edizione Parigi 1932, pp. 243-259: Il Personalismo cristiano.

[12] AYUSO, Miguel, Los antimaritainianos de la Rive Droite cit., p. 854.