Unioni civili, legge ipocrita e illiberale

Gaetano Quagliariello

Il senatore Gaetano Quagliariello

A cura di Rassegna Stampa

10 febbraio 2016

L’intervento al Senato dell’onorevole Gaetano Quagliariello svolto il 9 febbraio 2016 nel corso della discussione in aula sulle unioni civili (il titolo è redazionale)

Signor Presidente, colleghi senatori,

sgomberiamo innanzi tutto il campo da un equivoco: non stiamo discutendo delle unioni civili come vengono intese dal senso comune; non stiamo discutendo del riconoscimento di diritti di mutua assistenza e solidarietà ai conviventi indipendentemente dalla natura sessuale della loro convivenza. Soprattutto non stiamo discutendo di un provvedimento finalizzato a stabilire una condizione di uguaglianza tra i cittadini italiani a prescindere dalle loro scelte sessuali.

Se infatti fosse così, signor Presidente, oltre che con l’uguaglianza questa legge avrebbe a che fare con la libertà. Con la libertà di scegliere senza avere per questo minori diritti personali rispetto a chi ha compiuto scelte differenti dalle mie. Con la libertà di scegliere senza che lo Stato entri nella mia camera da letto per stabilire quali siano i miei diritti e quali non lo siano; se posso contrarre una unione civile o debba limitarmi a stipulare un contratto, o se non abbia accesso a nulla di tutto ciò. Avrebbe a che fare con la laica libertà di scegliere senza pretendere che la mia scelta comporti il diritto di contraddire la natura, comprimere i diritti dei più deboli, mercificare il corpo e la dignità altrui.

Usciamo dall’ipocrisia! Usciamo dall’ipocrisia di una legge che, ipocritamente appunto, introduce un surrogato di matrimonio per le coppie omosessuali dal quale i conviventi eterosessuali vengono esclusi, e attribuisce loro il diritto di diventare genitori che forza e contraddice il dato di natura e, andando oltre ciò che per natura è possibile, incoraggia nei fatti la gestazione surrogata.

E’ la modernità, bellezza!, ci è stato detto. E chi si oppone a questa legge – lo ha ribadito in quest’Aula la senatrice Cirinnà – è retrogrado e oscurantista. Un po’ come quando – cito Pierpaolo Pasolini – “l’essere incondizionatamente abortisti garantiva a chi lo era una patente di razionalità, illuminismo, modernità”.

Io credo che le cose siano meno semplici di come la collega Cirinnà vorrebbe far intendere. Non solo perché non sempre la storia si evolve in linea retta. Ancor più perché la sfida che questa contesa parlamentare in qualche modo incarna, rappresenta in realtà il cuore stesso della grande dicotomia del ventunesimo secolo, tra la laicità più autentica incarnata dal sentimento popolare e il falso laicismo delle élite illuminate. Si inscrive in uno spazio pubblico nel quale il vuoto lasciato dalle ideologie tradizionali rischia di essere occupato da un pensiero unico conformistico e dominante che intellettuali anticonformisti dei quali sentiamo oggi una grande nostalgia, come Pierpaolo Pasolini e Augusto Del Noce, descrissero come radicalismo di massa.

Questa evoluzione – ammesso che di evoluzione si possa parlare, cosa che personalmente non credo – ci fa comprendere anche il ruolo nuovo assunto dalla religione in un Paese tradizionalmente cattolico come il nostro. E ci aiuta a capire meglio cosa ci sia al fondo di quella piazza chiamata “Family Day”, fatta di persone tutte diverse, ma tutte irregolari, che si sono ritrovate nello stesso giorno e nello stesso posto per lo più senza la guida di strutture organizzate né il richiamo di parole d’ordine precostituite, e che hanno così dato vita a una delle più imponenti manifestazioni che la storia d’Italia ricordi.

La dinamica che quella piazza oggi ci propone Pasolini l’aveva compresa già quasi mezzo secolo fa, come dimostra una sua riflessione del 1973: “L’antecedente ideologia voluta e imposta dal potere era, come si sa, la religione: e il cattolicesimo, infatti, era formalmente l’unico fenomeno culturale che omologava gli italiani. Ora esso è diventato concorrente di quel nuovo fenomeno culturale omologatore che è l’edonismo di massa: e, come concorrente, il nuovo potere già da qualche anno ha cominciato a liquidarlo”.

Sono trascorsi cinquant’anni e la liquidazione ha avuto il tempo e il modo di compiersi. Quel che allora era egemone oggi è minoritario, e si trova paradossalmente a interpretare una opposizione al pensiero egemone, come tale politicamente scorretta e dunque in grado di incarnare una passione irregolare per la libertà.

Quella piazza ha tuttavia ribaltato il paradigma. E, proprio come avvenne in occasione della legge sul divorzio, ancorché a parti invertite, potrebbe ritrovarsi a incarnare l’onda maggioritaria del senso comune.

A questa deriva omologante, per la quale a ogni desiderio deve corrispondere un diritto – Pasolini lo avrebbe chiamato “un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili”-, è possibile limitarsi a contrapporre la forza di una tradizione? Ci si può limitare a dire che il diverso ruolo del padre e della madre, o l’obbligo di non correre neppure il rischio che la donna possa degradarsi a mero strumento di riproduzione, siano capisaldi imprescindibili per il solo fatto che si sono sedimentati e tramandati negli anni, nei secoli e talvolta nei millenni?

Io ho molto rispetto per ciò che resiste al trascorrere del tempo, ma non credo che la sola tradizione basti a legittimare un valore. Nel tempo si sono tramandate anche cose infami che non meritano di essere conservate.

E’ il valore che fonda una tradizione, e non viceversa. E oggi in quest’aula stiamo parlando evidentemente non del progresso contro la conservazione, ma di valori contrapposti. Perché per noi difendere il diritto di un bambino ad avere genitori di sesso differente è un valore. Perché per noi opporsi all’utero in affitto, sia che a servirsene siano gli omosessuali sia che siano gli eterosessuali, è un valore. Perché per noi insistere sulla responsabilità personale in luogo della codificazione di diritti positivi è un valore.

Alcuni di questi valori, peraltro, sono stati recepiti e scolpiti nella nostra Costituzione, ed è questa la ragione per la quale, da qualsiasi visuale lo si guardi – come abbiamo dimostrato in sede di illustrazione delle pregiudiziali – il ddl Cirinnà in insanabile contrasto con la nostra Carta fondamentale.

E’ dunque sul terreno dei valori che si fonda l’opposizione a questa legge.

A dispetto di ciò che si vorrebbe far credere, il fatto che una persona debba essere libera e resa libera nelle proprie scelte sessuali, il fatto che da un’affettività che produca una convivenza prolungata debbano derivare dei diritti, è un dato indiscutibile e che nessuno ha mai messo in discussione.

Il dissenso nasce quando da questo terreno si passa alla forzatura dell’elemento naturale tesa alla creazione dell'”uomo nuovo”, fine ultimo di ogni perfezionismo, radice di ogni totalitarismo, conseguenza della presunzione fatale di dover realizzare un ordine supremamente razionale. Se nel ventesimo secolo questa presunzione si esprimeva essenzialmente in campo economico, oggi il suo terreno di applicazione è soprattutto quello antropologico. Ed è lì che la dimensione della modernità e quella dell’arretratezza vengono impropriamente contrapposte. Sarebbe “arretrato” tutto ciò che si oppone alla predeterminazione forzata della vita e della sua imprevedibilità. E sarebbe “moderno” ciò che invece conduce a pianificare la propria esistenza pretendendo che nel suo corso ogni desiderio possa realizzarsi.

Tradotto nei termini della questione di cui discutiamo, non vi è alcuna libertà e non vi è alcuna laicità nella pretesa di forzare ciò che è dato dalla natura. Sgomberiamo il campo dalla pretesa di una genitorialità che non può esistere e che tantomeno può essere oggetto di diritto, sgomberiamo il campo da un falso e illiberale laicismo che impone i desideri degli uni sui diritti di altri più deboli, e potremmo discutere laicamente di come assicurare con pienezza a ogni uomo l’esercizio della propria libertà.

Presidente, colleghi, questa falsa contrapposizione tra arretratezza e modernità riflette in realtà due visioni differenti dell’uomo, della sua essenza e della sua libertà. Ed è una sfida che va raccolta perché incarna drammaticamente il conflitto di questo nuovo secolo.

Scriveva sempre Pasolini che nell’Italia repubblicana in realtà una grande destra non è mai esistita. Perché essa nasca, non ci si può esimere dal proporre una visione antropologica alternativa a quella dominante, e farlo senza titubanze e senza complessi di inferiorità.

E’ questo il terreno sul quale si giocherà il nuovo conflitto politico e culturale. Ed è su questo terreno che può nascere un’alternativa al radicalismo di massa, in grado di rispettare le opinioni dei propri avversari ma anche di contrapporre ad esse una diversa visione del mondo.

Era la grande scommessa di questa legislatura: ritrovarsi su regole comuni per poter poi contrapporre valori forti e fortemente alternativi. Ben altro rispetto alla melassa intrisa di piccole furbizie con la quale un accordo di governo che avrebbe dovuto essere emergenziale e circoscritto viene trascinato oltre il suo perimetro e oltre il suo tempo fisiologico.

Colleghi dell’Ncd, lo dico senza recriminazioni e senza astio: è possibile stringere un accordo tra pensieri diversi ma ugualmente forti e consapevoli della propria reciproca differenza. Ma quando si ha a che fare con un pensiero debole, e prepotente perché consapevole della propria debolezza, da alleati si diventa succubi.

Il nostro “no” a questa legge, dunque, è un “no” senza compromessi non per radicalismo e tantomeno per fanatismo, ma perché nel nostro Paese c’è un disperato bisogno di chi dia corpo e sostanza a una visione più liberale, più cristiana e perciò più scandalosamente sovversiva rispetto al pensiero unico dominante che questa legge incarna alla “perfezione”.

Grazie.