Il fascista anti-casta

Enrico Endrich

Enrico Endrich

Il Borghese anno XVI – n. 1, febbraio 2016

Enrico Endrich (1899-1985)

di Giuseppe Brienza

Eletto nel 1953 nella Camera dei deputati per il Movimento sociale italiano, non appena l’aula di Montecitorio decise di approvare l’introduzione dell’assegno vitalizio per gli ex parlamentari, prese carta e penna e scrisse all’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi: «Onorevole presidente, il concedere la pensione a senatori e deputati equivale ad affermare il principio della professionalità della funzione parlamentare. Poiché non mi sento di accettare tale principio, rassegno le dimissioni».

Stiamo parlando di Enrico Endrich (1899-1985), avvocato penalista sardo, podestà di Cagliari dal 1928 al 1934 e apprezzato critico d’arte. Il suo nome sta riemergendo di questi tempi sull’onda del battage anti-casta promosso dal M5S. Ma il vero pioniere della lotta al privilegio politico-parlamentare, con buona pace di grillini & co. che non lo ammetterebbero mai, è proprio lui, il fascista non pentito.

La Camera nel 1953 respinse la sua richiesta di esonero, confidando nelle classiche «dimissioni con l’elastico». «Alcuni parlamentari», ha raccontato la nipote Enrica al quotidiano Il Giornale, «se le presero a male e lo rimproverarono perché con quel gesto avrebbe messo gli altri in cattiva luce. Ma lui era persona di principi e decise di mantenere fede a quell’impegno». Così, appreso del voto contrario, Endrich scrisse di nuovo a Gronchi: «Apprendo dai giornali che la Camera ha respinto le mie dimissioni. Ringrazio ma devo insistere perché vengano accettate. Ossequi» (cit. in Fabrizio De Feo, Il protogrillino che si dimise contro i vitalizi, in Il Giornale, 13/03/2013). Alla fine, nel 1955, l’aula di Montecitorio fu costretta a cedere ed accettare le dimissioni del deputato missino.

Nato a Meana Sardo (Nuoro) il 17 ottobre 1899, Endrich si è laureato in giurisprudenza all’Università di Cagliari e, per tutta la sua vita, si è sempre guadagnato da vivere con l’attività di avvocato penalista. Dopo iniziali simpatie per il movimento indipendentista sardo, aderì fra i primi al Fascismo, come una buona parte del resto dei “sardisti” dell’epoca.

Nel 1928 diventò podestà di Cagliari e, durante il suo mandato, promosse l’opera dell’architetto razionalista Ubaldo Badas, commissionandogli le sue prime opere. Restò alla guida del comune fino al 1934, dimostrando autonomia di giudizio anche nei confronti del governo nazionale. Per suo merito Cagliari fu tra le città che non videro snaturato il proprio centro storico in nome del razionalismo urbanistico perseguito da una parte del Regime.

Alla fine degli anni venti, con l’annessione dei comuni di Pirri, Selargius, Quartucciu, Monserrato e, successivamente, di Elmas (1937), Cagliari raggiunse la dimensione di una grande città, superando i 100.000 abitanti. È in questi anni che vennero costruite importanti opere pubbliche sotto l’attenta amministrazione di Endrich, molte delle quali realizzate dal giovane progettista comunale Badas, le cui originali architetture contribuirono ad abbellire la città sia negli anni trenta sia nel dopoguerra (si veda ad es. il Parco delle Rimembranze, il Terrapieno e parte dei Giardini Pubblici comunali).

Dal 1934 al 1940 Endrich fu segretario federale del Partito Nazionale Fascista di Cagliari e, in questo periodo, approfondì molto i suoi studi corporativi e giuslavoristici, pubblicando importanti saggi come Diritto del lavoro nella Russia socialista e nell’Italia fascista (1935) e Partito, Sindacati e Corporazioni (1936). Per questo fu nominato nel 1939 Consigliere della neo-istituita Camera dei Fasci e delle Corporazioni.

Dal 15 giugno 1943 fu prefetto di Cosenza, incarico che il governo Badoglio gli consentì di svolgere anche dopo la caduta del Regime. Dopo l’ingresso in città degli angloamericani fu riconfermato dal Governo militare alleato alla guida della prefettura, fino al 4 novembre 1943, quando una rivolta popolare indusse l’AMG a rimuoverlo. Collocato a riposo sia dal governo Badoglio sia dalla Repubblica Sociale Italiana, fu da quest’ultima richiamato in servizio per interessamento personale del Sottosegretario Francesco Maria Barracu.

Nel dopoguerra Endrich aderì al Msi, per il quale nel 1951 fu consigliere provinciale di Cagliari. Nel 1953 fu eletto deputato alla Camera nel collegio unico nazionale. Durante la II Legislatura della Repubblica italiana è stato relatore, fra le altre, di proposte di legge coraggiose come quella sul «Trattamento di quiescenza degli appartenenti alla disciolta Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e sue specialità» (n. 142) e sulla «Liberazione condizionale dei condannati per reati commessi per fine politico e non menzione nei certificati penali di condanne dei tribunali militari alleati» (n. 152).

Fu inoltre co-firmatario di numerosi progetti di legge che ebbero Giorgio Almirante come relatore, dalle «Norme per la estinzione e l’annullamento di provvedimenti di epurazione» (n. C.292, del 22 ottobre 1953) alle «Modifiche al testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato con decreto presidenziale 5 aprile 1951, n. 203» (iniziativa Parlamentare n. C.1214, del 30 ottobre 1954). Infine Endrich promosse iniziative d’ispirazione corporativista come l’iniziativa parlamentare sulla «Efficacia giuridica del contratto collettivo di lavoro in attuazione dell’articolo 39 della Costituzione» (n. C.144, del 22 settembre 1953) e si occupò d’intervenire sull’atavica problematica che da sempre affligge la sua amata isola, come ad esempio l’interrogazione al governo «Sulla repressione del banditismo nella Sardegna» (n. 619).

Alle elezioni politiche del 1972 Endrich fu eletto senatore per il Msi-Dn nel “collegio Sardegna”, fino al 1976. Coerentemente con le posizioni espresse vent’anni prima, a fine mandato rifiutò il vitalizio e dopo la sua morte analogo atteggiamento mantenne la moglie con la reversibilità.

Il quotidiano Italia Oggi, diversi anni fa, ha pubblicato una lettera della figlia che ne racconta di prima mano il “secondo tempo” della sua vita politica. Dopo una “astensione” quasi ventennale di presenza politica diretta, infatti, «nel ’72 in Sardegna l’Msi aveva la possibilità di far eleggere qualcuno solo candidando mio padre – ha spiegato Anna Endrich -. Quindi io e i miei familiari insistemmo nell’interesse del partito». Il padre accettò e venne eletto, spendendo mensilmente di tasca sua il doppio di quello che guadagnava per finanziare le sedi del partito in Sicilia.

La “linea” di Endrich sul vitalizio, come accennato, non cambiò neppure dopo la sua morte. «Ricordo – aggiunge infatti la figlia nella lettera sopra citata – che dopo il suo decesso ricevetti una telefonata di una funzionaria del Senato che mi chiedeva dove inviare gli arretrati della pensione di reversibilità per mia madre, da sempre giacenti». I familiari, allora, inviarono una raccomandata all’Amministrazione per comunicare che non li avrebbero riscossi in ossequio alla volontà del padre. Questa intransigenza, peraltro, Endrich non la mise in campo soltanto contro i privilegi della politica ma anche nella sua professione forense. «Aveva un concetto forte della rinuncia per l’affermazione di un ideale – ha raccontato la nipote Enrica – così, quando venne nominato un presidente di Corte d’Assise che a suo dire non rispettava i diritti della difesa, decise di mollare la toga e non accettare processi in quella sede. Tornò soltanto quando quel presidente fu sostituito».

Esperto d’arte e pittura, oltre che collezionista, la figura di Endrich rileva anche come critico (quanto diversa la sua statura rispetto a tanti avvocaticchi di oggi!). Nel 2008 l’editore Janus di Elmas (Cagliari) ha ripubblicato una sua vecchia raccolta di articoli sull´arte e sugli artisti sardi, Profili d’artisti (1984), nella cui Prefazione Anna Endrich ne ha ricordato «l’eloquenza non solo nella parola ma anche nello scritto», a dimostrazione di «quanto ardenti, vive e costanti furono le sue passioni e per cogliere l´omaggio agli artisti sardi».

Enrico Endrich, un nome che, «nella quotidiana querelle sui costi della politica, sulle pensioni più o meno d’oro e sui vitalizi più o meno dovuti, è non uno dei pochi, è addirittura l’unico che meriterebbe continue e quotidiane citazioni» (Mario Aldo Stilton, Un parlamentare si dimise e non volle il vitalizio: fu il missino Enrico Endrich, in Il Secolo d’Italia, 27 maggio 2015).

Altro che grillini, altro che Rizzo & Stella, il primo paladino anti-casta è stato un “interno”, cioè un deputato. Si chiama Enrico Endrich, fu avvocato ed ebbe due grandi passioni: l’arte e l’Italia.