L’inverno dell’Europa

Europa_demografiaAspenia n.44-2009

Dai dati demografici degli anni 2000 in Europa risulta che è ormai generale il calo della fecondità al di sotto della soglia di rimpiazzo delle generazioni. Di conseguenza, l’invecchiamento della popolazione aumenta. In alcuni paesi e in molte regioni si può già constatare un effetto di “depopolazione”, nonostante gli apporti migratori. Tali evoluzioni avranno ripercussioni geopolitiche in termini di influenza del vecchio continente.

Gerard-Francois Dumont

insegna demografia politica alla Sorbona e dirige il semina rio di geopolitica al College interarmée de défense e la rivista Population et avenir.

A partire dagli anni Sessanta, il progressivo calo della fecondità ha portato la popolazione europea al di sotto della soglia di sostituzione delle generazioni — vale a dire del livello di fecondità pari a 2,1 figli per donna nei paesi ad allo livello sanitario, che permette a cento donne di essere sostituite, trent’anni dopo, dalla generazione seguente.

‘E così iniziato un trend che nel decennio successivo si è mantenuto stabilmente e durevolmente al di sotto della soglia di sostituzione delle generazioni, con una diminuzione sia in valore assoluto sia in valore relativo degli effettivi di giovani generazioni. Per definire tale situazione, alla fine degli anni Settanta ho proposto l’espressione “inverno demografico”(1).

Trent’anni dopo, nel Duemila, l’Europa risulta essere l’unico continente del mondo a registrare un tasso di crescita naturale negativo (vale a dire un tasso annuale di -0,1%). La “vecchia Europa” sta diventando un continente popolato di anziani, dove la possibile soluzione offerta da un rinnovamento demografico si trova a essere generalmente compromessa (2).

Il divario demografico tra Europa e Stati Uniti.

A distinguere fortemente l’Unione Europea dagli Stati Uniti, dove invece la fecondità è in ripresa (3), è quindi una situazione di fecondità indebolita. Nel continente europeo, tuttavia, emergono anche alcune divergenze; è come se la cortina di ferro, crollata nel 1989, continuasse ancora a produrre conseguenze demografiche. In realtà, i paesi appartenenti all’ex impero sovietico accumulano oggi i più bassi tassi di fecondità, dopo aver raggiunto quelli che erano i fanalini di coda mondiali, vale a dire l’Italia e la Spagna. Inoltre, patiscono condizioni di mortalità più sfavorevoli.

Il basso livello di fecondità raggiunto all’inizio del XXI secolo, e l’invecchiamento della popolazione, variano da paese a paese. Nel 1986, per esempio, l’Italia aveva sostituito la Germania all’ultimo posto per tasso di fecondità nel mondo, con 1,32 figli per donna. Nel 2007, l’Italia, con 1,34 figli per donna (4), risulta essere al ventunesimo posto in Europa, con sei paesi (in maggioranza dell’ex Europa dell’Est) a livelli ancora inferiori.

Poiché le logiche demografiche provocano effetti di lunga durata, l’evoluzione dell’Europa avrà inevitabilmente delle ripercussioni geopolitiche: quelle esterne, che riguardano l’insieme di condizioni che influenzeranno i rapporti dell’Europa col resto del mondo, e quelle interne, relative cioè ai rapporti fra i vari Stati membri.

La perdita di influenza dell’Europa.

Guardiamo anzitutto agli effetti della diminuzione relativa della popolazione dell’Europa rispetto alla popolazione globale. All’esterno, tale diminuzione riduce la capacità di influenza dell’Europa. Nella definizione da me proposta, la “legge del numero” significa che “le evoluzioni geopolitiche sono dipendenti dal numero di persone”. E’ una legge che va necessariamente applicata.

L’Europa del XXI secolo, infatti, non può rivendicare la stessa importanza nelle istanze internazionali che aveva nel XX secolo. Prendiamo il caso del G8, creato su iniziativa del presidente Valéry Giscard d’Estaing; nel 1975, come foro dei paesi economicamente più potenti del mondo. All’inizia è un G6, formato da Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia.

Nel 1976. diventa G7, con l’integrazione del Canada. Dodici anni dopo, nel 1998, il gruppo si estende alla Russia per diventare il G8. La sola Europa, dunque, ria quattro rappresentanti: Germania. Regno Unito, Francia e Italia. Si tratta di paesi che contano meno — nettamente meno — di 100 milioni di abitanti ciascuno. Il più popoloso dei quattro, la Germania, e comunque al quattordicesimo posto nel mondo per numero di abitanti, mentre gli altri tre sono oltre il venissimo posto.

Inoltre, il peso demografico di questi paesi continua a diminuire: malgrado un saldo migratorio positivo, la popolazione della Germania è in diminuzione (5). Le popolazioni del Regno Unito e della Francia invece aumentano, ma la loro evoluzione rispecchia l’importanza del saldo migratorio, con i suoi effetti sul saldo naturale, L’Italia, infine, presenta un saldo naturale negativo; nel 2007, la crescita della popolazione italiana è dovuta solo a una foltissima immigrazione, con un saldo migratorio stimato in 454.000 unità (6).

Nello stesso periodo, in compenso, la crescita demografica dei primi tredici paesi del mondo quanto a popolazione è stata nettamente positiva – a eccezione del Giappone – e molto più elevata.

E’ per questa ragione che il G8 ha cessato di essere rappresentativo: raccoglie infatti solo il 13,1% della popolazione mondiale. Anche per questa ragione, è stato proposto di allargarlo a cinque paesi emergenti: Cina. India, Brasile, Messico e Sud Africa. I primi due sono i paesi più popolosi del mondo, con quasi un quinto della popolazione mondiale ciascuno.

Il Brasile sta al quinto posto della classifica mondiale per numero di abitanti; il Messico all’undicesimo. Infine, il Sud Africa è certamente. poco popoloso (48 milioni di abitanti), ma il suo Pil per abitante è cinque volte più alto della media dei paesi africani. Tenuto conto della sua storia, è poi difficile contestare che, anche simbolicamente, esso possa rappresentare l’Africa subsahariana, visto che la geopolitica interna della Nigeria, tre volte più popolosa, non è stabilizzata.

La somma della popolazione di questi cinque paesi emergenti è di 2.792 milioni di abitanti, il 42,2% della popolazione mondiale. Ne consegue che il gruppo dei G8+5 diventa effettivamente rappresentativo del mondo, dato che la somma dei paesi che lo compongono ammonta a un totale di 3.663 milioni di abitanti, pari alla metà della popolazione mondiale (esattamente il 55,3%). Con la sua economia sviluppata, l’Europa, anche in seno al gruppo dei G8+5, può contare su una forte presenza, con ben quattro paesi dell’area occidentale.

Ma chiedere l’allargamento del G8 significa riconoscere ipso facto il calo relativo d’influenza dell’Europa riflesso nell’evoluzione demografica. La questione si pone in termini simili per quanto riguarda la composizione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Francia e Regno Unito, i due paesi europei con diritto di veto, godono ancora di una prerogativa riconosciuta loro nel momento in cui, vincitori della seconda guerra mondiale, rappresentavano grandi masse umane in ragione del loro impero coloniale.

Tuttavia, oggi è diventato difficile giustificare il loro diritto di veto, quando paesi come l’India e il Brasile chiedono di esercitare un peso analogo in seno alla stessa istanza. Insomma, è inevitabile che nelle organizzazioni internazionali la voce di un paese a debole natalità relativa finisca per diminuire (7), come già negli anni Venti aveva annunciato Aristide Briand in un famoso discorso alla Camera dei deputati: “Io faccio la politica estera della nostra natalità”.

Divario demografico e rischio di tensioni sulla politica dell’immigrazione. il caso spagnolo.

Poiché l’intensità dell’inverno demografico europeo varia a seconda dei singoli paesi, ciò può costituire una fonte di tensione in seno all’Unione Europea. Sono ciò che ho definito le conseguenze geopolitiche interne. Il 2005 ne ha già fornito un esempio con la regolarizzazione di massa degli immigrati in situazioni non conformi con la legge in Spagna (8)

Negli anni precedenti, la Spagna ha lasciato affluire senza alcun controllo centinaia di migliaia di immigrati, in gran parte dell’America andina, per sopperire ai bisogni dell’economia, tenuto conto in particolare dell’importante calo della popolazione attiva, per effetto di una fecondità nettamente più debole rispetto alla media europea.

Nel 2005. il governo socialista ha quindi deciso un’ampia regolarizzazione: una scelta che aveva fra l’altro notevoli vantaggi per le finanze pubbliche, trasformando centinaia di migliaia di lavoratori in nero in lavoratori regolari, ormai soggetti come i loro datori di lavoro al regime di imposizione fiscale diretta e indiretta.

Organizzata nel corso di tre mesi, dal 1 febbraio al 7 maggio, la regolarizzazione de! 2005 ha avuto quindi risvolti economici più che umanitari. Tanto più che il governo di Luis Zapatero, con una decisione senza precedenti, ne affidò la gestione agli stessi datori di lavoro. La massiccia regolarizzazione spagnola ha interessato circa 700.000 “clandestini” (ecuadoriani, romeni, marocchini, colombiani)”. Si è trattato di un’operazione molto vantaggiosa per le casse dello Stato, tanto che il segretario spagnolo dell’Immigrazione, Consuelo Rumi, ha riconosciuto i suoi effetti positivi sul sistema previdenziale spagnolo e sull’aumento del gettito fiscale.

I timori nell’area di Schengen.

II punto, tuttavia, è che questa misura di regolarizzazione “unilaterale” non è stata apprezzata né in Germania né in Francia. In Germania, a causa del rischio di vedere aumentare la pressione per una richiesta analoga, creando così una situazione incandescente nello spazio Schengen. In Francia, per queste stesse ragioni ma anche per un altro motivo: tenuto conto dei debolissimi tassi di occupazione, la Francia non ha alcun bisogno — su un piano puramente quantitativo — di una immigrazione da lavoro massiccia.

Esiste insomma una specie di eccezione francese. Se la Francia avesse lo stesso tasso di disoccupazione e di occupazione del Regno Unito, avrebbe circa 1,5 milioni di disoccupati in meno e 3.5 milioni di posti di lavoro in più. Sicché, salvo nel caso in cui venga promossa una politica migratoria che privilegi l’arrivo di lavoratori molto qualificati, la Francia non sembra aver alcun interesse, a priori, verso un’apertura a maglie larghe nei confronti dell’immigrazione – fino a quando non avrà riassorbito la sua stessa disoccupazione e migliorato il tasso di occupazione nazionale.

Certo, le tensioni nate da politiche migratorie divergenti potrebbero essere risolte grazie al patto europeo sull’immigrazione, sottoscritto nell’ottobre 2008 dai 27 Stati membri dell’UE. Resta il fatto, però, che le future politiche migratorie dei paesi UE (10) finiranno necessariamente per divergere a causa di trend demografici differenti. Sono le evoluzioni di fatto della popolazione attiva dei paesi dell’Unione a divergere, registrando nei vari casi un aumento, una stagnazione, una diminuzione.

Nonostante gli sforzi compiuti a favore di una politica comune, la questione migratoria resterà insomma una fonte potenziale di tensioni geopolitiche in seno all’Unione Europea: tra paesi molto aperti all’immigrazione, per i gap che esistono nel mercato del lavoro, e paesi assai meno aperti, dato il minore bisogno di manodopera non qualificata.

Divario demografico e rappresentanza politica.

Un altro rischio di tensione interno alla comunità europea è connesso al rapporto fra criterio demografico e rappresentanza dei singoli paesi in seno agli organismi dell’Unione, in particolare nel Consiglio europeo e nel parlamento di Strasburgo. In effetti, i trattati non prevedono clausole evolutive legate agli andamenti demografici, come accade per esempio negli Stati Uniti per la Camera dei Rappresentanti, dove il numero dei rappresentanti per Stati è rivisto, secondo il dettato della Costituzione, ogni dieci anni, dopo regolare censimento.

Ora, è certo che nell’Unione Europea il peso demografico relativo dei singoli paesi andrà modificandosi col passare del tempo. Secondo le proiezioni medie attuali, il peso demografico della Germania, dell’Italia o della Polonia potrebbe diminuire; mentre quello del Regno Unito e della Francia potrebbe aumentare. Alcuni paesi, quindi, potrebbero essere spinti a rivendicare più voti al Consiglio europeo e nel numero dei loro rappresentanti al Parlamento europeo.

Questa fonte di tensione si acuirebbe se aumentassero ulteriormente le possibilità di voto a maggioranza qualificata o le procedure di decisione comune tra Consiglio e Parlamento. E si aggiungerebbe un ulteriore problema, connesso ai diversi metodi di calcolo della popolazione in ciascun paese: è evidente, infatti, che gli stessi risultati finirebbero per avere qualità diversa.

Se questi esempi mostrano quanto poco neutre siano le evoluzioni demografiche dal punto dì vista geopolitico, vanno aggiunti altri elementi, come per esempio l’evoluzione della composizione per sesso e per età del corpo elettorale, la concorrenza nei bisogni di risorse umane, in particolare per la sicurezza e la difesa, o il problema della pace sociale legato alle immigrazioni di sostituzione (11).

In conclusione, l’inverno demografico europeo deve essere analizzato, quanto al sua impatto geopolitico, su almeno tre scale. Anzitutto, l’Europa nel suo insieme vede e vedrà diminuire la sua influenza nel mondo. Al tempo stesso, poiché l’intensità dell’inverno demografico varia a seconda dei singoli paesi, si verranno a creare varie fonti di tensione in seno all’Unione stessa. E tutto ciò, infine, non mancherà di avere ripercussioni specifiche sulla situazione politica interna di ogni singolo paese,

Note:

1) La formula è stata utilizzata anche in seguito, ad esempio in Gerard-Francois Dumont et al. La Frana ridée, Hachette 1986.
2) Si è dovuto aspettare il 2005 perché l’Unione Europea pubblicasse un Libro Verde sui cambiamenti demografici. Si veda Gérard-Francois Dumont “Révolution a Bruxelles”, Population & Avenìr, n. 674, settembre-ottobre 2005 Fra le prese di coscienza della realtà e delle necessità per l’ avvenire, è bene citare l’eccellente parere del Comitato economico e sociale europeo .su “La famille et l’evolution demographique” del 14 marzo 2007. relatore Stéphane Buffetaut.
3) Gérard-Francois Dumont, Les populatìon  du monde, Éditions Armand Colin 2004.
4) Per l’ Italia., come per la Spagna, la fecondità ha registrato una lieve crescita negli anni 2000 per effetto degli apporti migratori.
5) Si veda Josef Schmid, “L’Allemagne encore divisèe… démographiquement”, Population & Avenir n. 678, maggio-giugno 2006
6) Eurostat. prime stime demografìche per il 2007, marzo 2008.
7) Secondo la stessa logica, sì è pure detto che Dominique Slrauss-Kahan sarebbe stato l’ultimo europeo a dirigere il Fondo monetario internazionale.
8) In effetti una delle particolarità della Spagna è che lì non esistono veri clandestini: il termine regolarizzazione” non ha lo stesso significato. Siccome gli immigrati non hanno permesso di soggiorno i “clandestini” secondo le norme nazionali vengono iscritti di fatto a grande maggioranza sulle liste comunali. Questa iscrizione comunale, definita enpadronamiento per ottenere l’assistenza sanitaria di base e il diritto alla scolarizzazione per i loro figli. I comuni, del resto. hanno interesse a incoraggiarli a iscriversi sulle liste ufficiali per aumentare le cifre della rispettiva popolazione e ricevere di conseguenza un maggior numero di sovvenzioni regionali o nazionali.
9) Secondo le cifre ufficiali trasmesse il 9 maggio 2005, sulle 690.679 domande di regolarizzazione, ne sono state respinte -solo il 3,15%.
10) Come la direttiva così detta “Ritorno”, votata dal Parlamento europeo il 18 giugno 2008.
11) Gérard-Francois Dumont, “L’immigration et l’Europe'”, Revue politique et parlementaire, n. 1046, gennaio-marzo 2008

________________________

Leggi anche:

Il suicidio demografico

Suicidio Europa