L’ossessione dei poveri

poveriItaliani. Rivista che ignora il politicamente corretto

n. 177- del 13 Gennaio 2016

Di Luigi Fressoia

(archifress@tiscali.it)

In questa nostra società in crisi ma ricca non si parla che di poveri. Ad esempio la Chiesa ormai sembra sia stata fatta solo pei poveri, ma se i poveri non fossero esistiti, Cristo non sarebbe venuto? Nell’Italia degli anni ’80 (quinta potenza economica, disoccupazione reale a minimi risibili), Cristo non aveva più senso? C’è un che di paradossale: nei secoli e millenni la popolazione al 95% è stata povera, poverissima o in miseria e la Chiesa non mi pare ne fosse ossessionata, oggi che povera è una esigua minoranza (intorno al 10% in questi tempi di crisi, ma povertà relativa nel senso che i disoccupati di oggi mangiano tutti i giorni, hanno una casa, un’utilitaria, il computer, il cellulare e l’armadio pieno di abiti), pare che il restante 90% non esista. Non esista e sia pure colpevole.

Cerchiamo di essere comprensivi: anche se solo il 10% è povero, rimane che la povertà fa brutto e fa male, quindi è più che giusto concentrarci su di essa. Ma qui torna l’inghippo più volte denunciato (e mai onorato da un chiarimento): chi non parla d’altro che di poveri sembra non notare che per eliminare del tutto la povertà non c’è altro che sviluppo economico (prodotti validi desiderati dagli altri, ordini, impresa, lavoro, profitto, stipendi per tutti), cioè la più alta facilità di arricchire e – giocoforza – il più alto numero di ricchi. Invece ne parlano come se la povertà fosse colpa dei ricchi ovvero che eliminando questi quella sparirebbe.

Anche un bambino capisce che accadrebbe esattamente il contrario, se impedisci a tutti di diventare ricchi poi saremo per forza tutti poveri. Qui c’è poi l’altro inghippo di sempre, se si amano i poveri perché si vorrebbe che non lo fossero più, oppure perché si ritiene che solo in povertà l’umanità sia migliore… Sono nato in una frazione di campagna di un capoluogo del centro Italia, poco più di 1.500 anime. I miei compagni di prima elementare nel 1961 vivevano quasi tutti in case che oggi chiamiamo tuguri e infatti le madri non ci facevano passare, anche per questo si giocava sempre fuori.

Ma come per miracolo nel giro di pochissimi anni già a metà del decennio il paesello era diventato una trapunta di villette aggraziate, qua e là giganteggiavano alcuni capannoni, la fabbrica di infissi con 90 operai, quella delle conserve, quella del parquet, due mobilifici con altre decine di operai e molte officine e laboratori ai piani terra, molti raggiungevano fabbriche dei paesi vicini e altri la grande industria del capoluogo, che mandava pei paesi un pullman a raccogliere gli operai alle cinque di mattina.

A metà degli anni ’80 ci dissero che eravamo la quinta potenza industriale del mondo, ma anche se fossimo stati la ventesima o cinquantesima, rimane il fatto che così e solo così si esce dalla povertà. Dalla periferia del mondo al centro o giù di lì (se sono i soldi il metro che conta), centinaia di contadini erano diventati benestanti e più, operai, artigiani, piccola impresa. Se volgiamo lo sguardo al vasto mondo, al terzo mondo e i paesi poveri ed ex poveri, notiamo lo stesso meccanismo: quei cinesi, indiani, brasiliani, coreani, ex sovietici, africani e molti altri che recentemente sono usciti dalla miseria del sottosviluppo non hanno fatto altro che sviluppo, lo dice la parola stessa.

Viviamo un’epoca terribilmente confusa, avvelenata da radicatissime superstizioni subculturali e perciò infelice; pensare che mai nei millenni siamo stati ricchi come in quest’epoca! Potenza di immagini e parole! Infelici noi che vediamo bene la realtà, perché lo sconcerto della irrazionalità ci annichilisce; infelici quelli che parlano sempre di poveri perché non potranno che moltiplicarli, ma daranno la colpa al capitalismo cinico e baro, alla finanza, ai tedeschi, all’America, all’egoismo, alla durezza del cuore, agli evasori, ai ricchi…

L’ossessione dei poveri svela un vuoto – accennato all’inizio: Dio forse non ha senso nei paesi benestanti, con (quasi) piena occupazione? La religione non ha nulla da dire a quel 90% che ha un ruolo attivo nella società e ne vede la naturalità delle differenze, la assoluta non importanza dell’uguaglianza economica? Non ci sarebbe piuttosto da ben individuare come si sta al mondo dentro la naturalità delle differenze? Dentro un mondo evoluto ricco e benestante che, prima o poi, raggiungerà quasi tutti? Può esistere un messaggio che non sia la sola colpa della evitata povertà?

Cosa diceva la Chiesa alle genti nei millenni della naturale povertà? Saranno stati davvero così sciocchi da accontentarsi di sermoncini imbonitori o furbastri? Le infinite sopravvivenze del passato (i monumenti grandi e piccoli) ci dicono che i nostri antenati furono infinitamente più stupidi di noi oppure il contrario? La chiesa dei millenni non valse e non vale? Tutto eluso dietro l’ossessione dei poveri!! La fissa dei poveri compone falsi che poi tutti assieme costruiscono cattedrali di falsi, parallele alle vere cattedrali del pensiero e della fede; riporto due righe dall’editoriale di Natale di un’importante rivista missionaria: “La storia di cui facciamo memoria è, di per sé, un’anti-storia: quella del figlio povero senza terra che, appena nato, viene rifiutato dai potenti ed esaltato dagli umili”.

Come si vede due falsi in due righe: Giuseppe non era povero ma aveva soldi per l’albergo, solo che non c’era posto e dovette accontentarsi di una stalla (Giuseppe titolare di una bottega da falegname molto probabilmente ebbe aiutanti o operai); il Bambino fu subito onorato da ben tre re oltre che dai pastori. Forse perché si rivolgeva a tutti, ricchi e poveri, potenti e umili, bianchi e neri, uomini e donne… Eccole le due cattedrali: o c’è un modo cristiano di vivere la propria condizione sociale qualunque essa sia, oppure il cristiano è tale solo se si batte per abolire le diversità di condizione inseguendo il mito pagano dell’eguaglianza economica…

Parlano della povertà come fosse un’eccezione intervenuta per colpa di malvagi che per egoismo hanno rotto un eden meraviglioso, quando la verità storica attesta esattamente il contrario: la povertà è la condizione naturale dell’umanità, da cui solo da cent’anni e solo in alcune aree del pianeta si è riusciti a venirne fuori. La radice è la tipica confusione marxista tra uguaglianza giuridica e uguaglianza economica: sacrosanta la prima, sciocchezza la seconda.

La prima è motore di tutte le rivoluzioni di progresso, la seconda anima l’unica rivoluzione che ha impoverito il popolo che l’ha fatta. Siccome scrutando severi non ritrovano nella società ciò che non esiste e non può esistere (l’uguaglianza economica), non riescono a vedere quanto la libertà di intrapresa, ingenerosamente chiamata capitalismo, porti bene ai popoli. E’ come non vedere un palazzo davanti al naso, ma strillano come ossessi che il palazzo non c’è, vedono l’intonaco scrostato ma non il palazzo.

Nella confusione si accostano sotto lo stesso cono di luce cose molto diverse, per esempio è buona cosa prendere due “preti di strada” e farne vescovi e cardinali (servirebbe la stessa cosa in Regione e ai Ministeri, mettere un passante al posto del direttore generale); buona cosa è stigmatizzare il lusso di alti prelati di cu in effetti non c’è alcun bisogno. Ma nel discorso sulla povertà, sui ricchi, sull’economia, sul lavoro nero, sullo stipendio uguale per tutti, sull’esclusione, sulle periferie, sugli inquinamenti, sul mito pagano dell’uguaglianza, si fanno danni incalcolabili perché contro-natura. Invece il buon riformismo e il buon sentimento umanitario non possono che pettinare la bestia pel verso del pelo, così come in un fiume in piena possiamo guidare il barcone verso una sponda, non certo portarlo indietro. La famosa crisi è solo questa confusione e inversione della realtà.