La pedagogia e la rivoluzione

pedagogia_rivoluzBologna, 13 ottobre 1982, S. Edoardo ReTraduzione pro manuscripto dell’articolo “La educaciòn revolucionaria”, in Verbo, n. 119-120, novembre-dicembre 1973, Speiro, Madrid

di Jacques Trémolet de Villers  

Nella Università di Parigi VII, università di avanguardia in Francia, ai cui destini presiede, nell’antico istituto di direttore della segreteria, il presidente Edgar Faure, gli studenti pubblicano un periodico.Questo periodico l’hanno chiamato SAPROPHYTE.

Non si tratta di uno scherzo sul profitto scolastico. Saprophyte si scrive in una sola parola, con una S, un PH e una Y. E’ una parola tecnica che serve a designare i vegetali che crescono su materie organiche in decomposizione, una specie di sub-champignon; per parlare più chiaramente, un bel fiore di sterco.

Questo è l’ultimo grido dell’ultima educazione nella città che fu la capitale delle lettere e delle arti. In essa (Parigi), i bambini sono spesso invitati a dissertare sull’incesto attraverso i tempi e le letterature; alla televisione un rettore è arrivato a esclamare “Siamo stanchi di forme anatomiche asessuali nei nostri istituti”, mentre la preside de l’Ecole des parents, Madame de Boissieu, gli contesta: “Ai giovani non interessano le incisioni anatomiche. Ciò che interessa loro è: come fare l’amore piacevolmente? Come evitare le malattie veneree? Che cosa è la masturbazione o l’omosessualità?”. (1)

Evidentemente, Fedro é molto lontano, Chimene, tuttavia, é più lontano… Ma é inutile gridare che tutto ciò è orribile. Ci sono anche cose peggiori e ce ne saranno di ancora peggiori. La decadenza degli spiriti è più carica di conseguenze nel tempo che quella dei costumi. Ma, al di là delle vane considerazioni sui nostri tempi disgraziati, o sui giovani cambiati o sulla necessità di imparare fino al nostro ultimo giorno, bisogna evidenziare il vero problema: nell’ambito della pedagogia esiste un progetto rivoluzionario? E, se la risposta è affermativa, come si organizza?

Il portavoce della Commissione incaricata della Riforma dell’insegnamento in Francia, ha ragione quando afferma che il suo progetto “è una rivoluzione di largo respiro che presuppone l’inversione esatta della relazioni della nostra società”? (2). È vero che le maggiori università americane, a causa dei nuovi metodi educativi, subiscono un vero sovvertimento, e che il popolo americano paga di tasca sua un’azione che, secondo un libro celebre, “nessuno osa chiamare tradimento”?

L’affinità delle riforme pedagogiche nazionali in Belgio, Svezia, Irlanda e Spagna, in Francia o nel Cantone Vaud; la loro conformità al piano dell’UNESCO; il condizionamento dovuto alla concessione di crediti per la realizzazione ai tali progetti: tutto ciò, non dimostra per caso l’estensione internazionale di questa operazione politica e finanziaria? E cosa intendono i promotori delle riforme quando le qualificano precisamente come una rivoluzione?

Infine; è forse possibile distruggere, trasformare completamente una società mediante una concezione pedagogica e far con essa la rivoluzione nel senso stretto del termine, cioè “mettere sotto quel che è sopra”? In altre parole: esiste un’educazione rivoluzionaria? Da dove ha origine? Quali conseguenze politiche e sociali derivano dalla sua realizzazione?.

I. COS’È l’EDUCAZIONE RIVOLUZIONARIA?

A priori le due parole – educazione e rivoluzione – sono inconciliabili; ripugna metterle sullo stesso piano. Effettivamente, se per educazione si intende l’elevare l’uomo dall’inferiore al superiore, e se è vero che Rivoluzione è ogni movimento che tende a ridurre tutto al livello più basso, facendo sì che l’inferiore predomini sul superiore, è chiaro che l’educazione rivoluzionaria è di fatto un’assurdità, il puro niente.

Ma, senza dubbio, è un niente che prolifera.

Dobbiamo spiegare questo paradosso. ma potremo farlo solo alla luce di alcune nozioni generali sui rapporti fra uomo, educazione e società. In ogni società è necessaria l’educazione ed ogni breccia nell’educazione è una breccia nella società. Due frasi Frederic le Play ci danno spiegazione di ciò: “Le società perfette sono continuamente sottoposte a una invasione di piccoli barbari che portano in esse senza sosta tutti i cattivi istinti della natura umana… Dal momento In cui le società si dimenticano per un solo istante di opporre la disciplina educative è questa marea naturale, la decadenza diventa imminente” (3).

Schopenauer diceva più brutalmente: “l’uomo deve all’educazione il non essere una belva feroce”(4). Ma che cosa presuppone l’educazione di questi piccoli barbari? Quali sentimenti devono essere sviluppati in loro? Su quale modello stabilire la loro disciplina? Dove il fondamento dell’autorità della medesima?

La migliore descrizione di tutto ciò è stata data da un incredulo d’inizio secolo: “Educare – scriveva il giovane Maurras – è formare il costume dei buoni sentimenti, o, se si preferisce, dei sentimenti sociali. Questi sentimenti presuppongono, sottintendono, una segreta concezione dalla natura e del mondo, una metafisica, una religione” (5).

E proprio lui, che aveva poca considerazione delle radici metafisiche e di tutte le spiritualità, aggiungeva: “Non c’è educazione senza una visione globale del mondo poiché la piega presa dai nostri sentimenti dipende dalle idee portanti di questa”. Per questo gli sembrava che l’insolubile problema dell’educazione moderna si potesse cosi formulare: “Cos’è questo mondo e che cosa veniamo a fare in esso? Un uomo, un cittadino abbisogna della prospettiva teorica della genesi e dei fini dell’universo. Questo gli viene dato col catechismo. Ma da un lato non si vuole più il catechismo e dall’altro non ci si è ancora messi d’accordo su nessun punto del simbolo del nuovo catechismo”.

Chi ha potuto, dunque, concepire questa educazione separata da una visione generale del mondo e come essa ha potuto svilupparsi?

La risposta a queste due domande si trova in tutta la storia della moderna pedagogia, alla cui origine si incontra puntualmente il profeta del mondo moderno: Jean Jacques Rousseau. “Èmile, ou de l’education”, è l’opera, meditata senza sosta e copiata indefinitamente, da Rogers e Makarenko e da Lapassade e Dewey. Nulla di totalmente nuovo in quelle grida di rivolta, nulla di totalmente nuovo nei piani di riforma e nemmeno nelle scritte sui muri della Sorbona, che lo riproducevano servilmente. Tutto, o quasi tutto, era già stato detto nel 1762. Ma quanto era stato detto era esplosivo e continua ad esserlo. Pertanto ci pare simbolico che sia l’uomo Jean Jacques il padre di questa educazione separata dai fini dell’universo.

Guardate, al contrario, il riformatore dell’educazione cristiana, l’uomo autorevole che raddrizzò l’insegnamento nei seminari e da lì in tutta la società, san Vincenzo de’ Paoli. La sua figura, eternamente popolare, non è quella di un ideologo. La sua immagine é quella di uomo che cammina in una notte gelata di Parigi. Ripiega i bordi del suo cappello fino a toccare quelli del suo mantello in cui dorme un piccolo bambino.

Questo quadro è veritiero, perché il primo gesto di tutta l’educazione è un gesto di amore e di protezione, un gesto di calore e di donazione, e non vi è miglior immagine dell’educazione che quella delle braccia di un uomo che coprono un bimbo.

Contemplate quel quadro e poi ascoltate la recita delle virtù paterne del più gran piagnone della nostra letteratura: “Passammo l’autunno al castello di Chenonceaux… mentre io ingrassavo a Chenonceaux, la mia povera Teresa ingrassava a Parigi in un’altra maniera… il bambino fu depositato dalla levatrice nell’ufficio dei bimbi trovatelli…”,”l’anno successivo stesso inconveniente e stesso espediente…” (6).

E prosegue: “Teresa rimase gravida per la terza volta…il mio terzo figlio fu allora depositato al brefotrofio come i primi, e lo stesso successe con i due successivi” . Questa è l’immagine più significativa. Essa dice tutto poichè il soggetto educazione per Rousseau e i suoi discepoli non è precisamente un bambino reale, quel bambino, il bambino che è nato, il bimbo della natura e della Grazia.

All’inizio dell’ “Èmile”, dice: “Ho preso perciò la decisione di prendere in esame un alunno immaginario” (7). Qualche riga più sopra aveva detto: “Bisogna considerare nell’alunno l’uomo astratto…” (8). Ma, come educare l’uomo astratto, l’alunno immaginario? Tutti i sistemi educativi, da Platone a Seneca, a san Giovanni Battista de la Salle, a Pio XI, rispondono alla domanda dell’inquietudine umana: “Cosa è questo mondo e cosa veniamo a fare in esso?”.

Parzialmente sbagliati, o totalmente certi, vogliono essere una guida per il bambino, l’adolescente e l’adulto; una guida verso la perfezione. E, per l’uomo, questa perfezione ha origine precisamente nel trovare il proprio esatto ruolo nella città, nell’ordine creato, nel conoscere la propria vocazione, il proprio lavoro, il ruolo che deve occupare in conformità con l’ordine del mondo e del suo creatore. È l’iniziazione ai doveri ai stato. I diversi nomi di educazione familiare, scolastica, professionale altro non sono che il susseguirsi, nel tempo, di questa iniziazione ai propri doveri di stato.

Ma questa risposta, questa educazione, possiede una concretezza per il bambino reale, per il figlio della tale famiglia, destinato ad abbracciare quello stato definito, chiamato a una vocazione specifica; non per il bambino in generale, per il bambino astratto. Il bambino astratto non sarà operaio, né magistrato, né sacerdote o soldato. “Vivere – dice J. J. Rousseau – è il mestiere che gli voglio insegnare”(9).

E in cosa consiste vivere? “Vivere – risponde – non è respirare, è agire; è fare uso dei nostri organi, dei nostri sensi, delle nostre facoltà, di tutte le parti di noi stessi che ci danno il senso del nostro esistere; l’uomo che più ha vissuto non è quello che ha contato più anni, ma quello che più ha sentito la vita” (10).

Ecco il punto, Non si propone ai insegnargli a occupare il proprio ruolo nella società, ma a vivere, e vivere è sentire. Non si dedica alla ricerca di un ordine, e del suo posto in quell’ordine, ma alla ricerca di sé stesso e di ciò che in sé ha di più incomunicabile: le proprie sensazioni. Sentire la vita è cosa essenzialmente individuale. Le mie sensazioni non sono le vostre, il mio io non è il vostro, perciò non c’è più alcuna trasmissione possibile; i rapporti dell’educatore con l’educando altro non possono essere che rapporti di forza, in cui uno impone le proprie fantasie all’altro.

È certamente questa le, concezione di Rousseau quando afferma: “La prima educazione deve essere puramente negativa. Se poteste condurre il vostro alunno sano e robusto fino all’età di dodici anni senza che sappia distinguere la mano destra dalla sinistra…”(11). E soggiunge: “Cominciando col fare niente, avrete fatto un prodigio di educazione”.

Questa “educazione negativa” è il metodo intorno al quale tanto Dewey come Lapassade hanno incentrato i loro lavori (12), sperimentato in Amburgo nel 1920, è ancora oggi di moda nelle classi in cui chi è chiamato “l’animatore”; costui si siede senza dir nulla, e guarda, tutto il tempo della lezione, i bambini che lo guardano. E se fosse il bambino colui che sa capire il meglio della vita?

Necessariamente la scuola di Amburgo, sempre di moda, ha tratto le conseguenze da questa teoria: “chi ci impedisce di ammettere oggi che il bambino è il culmine dell’esistenza e di considerare l’età matura come una discesa, un decrescendo della vita? Forse andiamo verso una epoca, che vedrà l’inversione dell’apprezzamento delle età della vita; mentre, fino ad ora il nostro modo di essere la nostra vita pubblica sono state sotto l’influenza del l’età matura saranno nel futuro influenzati dallo spirito della giovinezza” (13).

In base a questo il bambino educa colui da cui deve ricevere l’educazione. Non si insegna più niente, e non si educa nessuno. Questo rientra nella logica del metodo di Rousseau: bisogna scegliere fra l’uomo astratto e l’uomo reale, il bambino della famiglia e della società e l’alunno immaginario. “Obbligato a scegliere -scrive Rousseau – fra la natura e le istituzioni sociali, bisogna optare tra il fare un uomo o un cittadino: non si possono fare entrambi in una sola volta” (14).

E continua: “l’uomo civile nasce, vive, muore nella schiavitù; quando nasce lo si cuce in un pannolino, quando muore lo si inchioda in una cassa; finché conserva la figura umana è incatenato dalle nostre istituzioni”. (15) Già si conosce la moderna traduzione grafica di questo gran modo di pensare arriva sui nostri muri: “metrò, lavoro e a dormire”, buona prova che la concisione di pensiero è dovuta alla profondità (sic!) delle argomentazioni. In base a queste si dovrà cambiare vita, liberare l’uomo da tutte le catene sociali, da ogni educazione, e la liberazione dovrà avvenire quanto prima: “l’unica abitudine che si deve lasciar prendere bambino è quella di non averne alcuna; non portarlo più su di un braccio che sull’altro, per non abituarlo a offrire una mano più dell’altra o a servirsi di una più spesso, o, a voler mangiare, dormire o agire alla stessa ora…” (16).

Si può immaginare quale grazioso ambientino sarà questo asilo nido selvaggio dato che è necessario, come dice il “profeta”, “preparare in anticipo il regno della libertà…” (16). Ma di che libertà si parla? Essendo questa l’esito di tale metodo educativo, sarà utile riprenderne ancora una volta la descrizione da Rousseau: “Non esser vincolato a nessun luogo, non aver compiti fissi, non ubbidire a nessuno, non aver altra legge che la propria volontà” (17).

Libertà negativa come fine di una educazione ugualmente negativa. È certamente l’ideale dell’indifferenza (o sradicamento) integrale. Ma per sradicare occorre prima trovare radici da estirpare; e per negare è necessario aver qualcosa da negare. Perciò questa forma di educazione può attuarsi solo nelle società che non abbiano distrutto tutti i princìpi; in società che, almeno sotto qualche aspetto, siano ancora naturali.

L’educazione negativa prolifera in queste società grazie ad esse e contro di esse. D’altra parte lo stesso Rousseau ne è il migliore esempio. È famoso il suo odio per la Francia e soprattutto per Parigi; ma senza la Francia e le società letterarie di Parigi, che ne sarebbe de “L’èmile” e del “Contratto sociale”?.

Di più: Emilio non avrà nessun libro prima dei 12 anni, e a questa età avrà diritto solo a una versione purgata del Robinson Crusoe. Ma di sé Rousseau confessa che si era stancato di racconti a 7 anni e che a quell’età si interessò di Plutarco. Senza il suo passato, senza la società sulla quale sputava, Rousseau non avrebbe nemmeno potuto immaginare che il suo “metodo” sarebbe stato apprezzato.

E da allora ai nostri giorni cos’è il laicismo nella scuola se non la negazione, in una società cristiana, di quell’insegnamento vincolato alla più generale nozione dell’ordine, che è l’insegnamento della Chiesa Cattolica? Che cosa è la sessualità nella scuola di una società con strutture ancora familiari, se non la negazione dei fondamenti del matrimonio? Cos’è l’organizzazione autoritaria delle scuole marxiste se non la negazione anticipata delle possibilità di rinascita dei legami sociali naturali?

E i teorici attuali (Lapassade in Francia, Rogers negli USA), con una crescente attenzione all’efficacia, hanno ancor più sistematizzato queste negazioni. Si domandano come si può conciliare la rinuncia a qualunque direzione con la necessità di trasmettere al bambino conoscenze di base (scrittura, aritmetica), insomma, “come conciliare il non dirigismo e la scolarizzazione?”

Ecco come: “La scolarizzazione – scrive Lapassade – è trasmissione: parte dall’ignoranza del bambino per trasmettergli basi culturali. Ma questa è istruzione, che si deve distinguere dall’educazione, il cui problema resta in tutta la sua grandezza. Il ruolo del pedagogo è doppio: istruire ed educare. l’istruzione sembra che debba necessariamente essere diretta, ma ciò non vuol dire che l’educazione sia trasmissibile” (18). Ed ecco il concetto chiave che risolve il problema: “si può tentare di trasmettere le tecniche dell’adulto senza sentirsi obbligati a trasmettere una saggezza” (19).

Questa è esattamente l’inversione, la sovversione radicale di ogni educazione. Trasmettere la tecnica, ma non lo spirito. Dare le cose ma non l’ordine delle cose. E’ la “scienza senza coscienza”, come diceva Rabelais, il male di cui muore questa società dei consumi nella quale il bambino dispone di tutto, ma senza conoscere la ragione finale di ciò di cui dispone. In tal modo si realizza la distruzione di tutta la società, ancor più radicalmente di quanto prevedesse Le Play, perché non solo non si insegna ai piccoli barbari, ma, in più si danno loro le armi della tecnica per installare più stabilmente la barbarie. L’immagine del Saprophyte è, dunque, esattissima.

Questa educazione mostruosa si sviluppa sui resti di una società in decomposizione e cresce con il progressivo decomporsi di questi resti. Nel tagliare i suoi legami con la realtà, nel rinunciare a quella visione generale dell’ordine del mondo che solo può dare la religione, l’educazione giunge a negare se stessa, in quanto educazione. E’ l’essere che marcia verso il suo annientamento. Lenin sosteneva che la contraddizione è l’essenza stessa delle cose: di sicuro è la Rivoluzione.

II. SUE CONSEGUENZE

Ma la Rivoluzione non pretende solo di distruggere, vorrebbe sostituire. Niente è più tirannico negli effetti, di questa educazione negativa. Lo sarà tanto più, quanto più pretenderà di non essere direttiva. Non risiedendo in un messaggio di verità estrinseco e superiore ad essa (dato che respinge questo fondamento), la sua autorità non potrà giustificarsi se non in base alla propria forza.L’autorità del maestro sull’alunno, per Rousseau, non è il diritto di colui che sa insegnare a quegli che non sa, ma la forza dominatrice del potente sul debole.

“Che creda – scrive – che il bambino creda sempre di essere il maestro, ma che lo siate sempre voi. Non c’è sottomissione più perfetta di quella che conserva le apparenze di libertà. Così si imprigiona persino la volontà. Il povero bambino che non sa nulla, che non può nulla, che non conosce nulla, non è egli in vostra mercé? di fronte a lui non disponete di tutto quello che lo circonda? Non siete padroni di influire su di lui come vi piace? Non sono nelle vostre mani i suoi lavori, i suoi ozi, i suoi giochi, le sue pene, tutto, senza che egli lo sappia? Non c’è dubbio che egli deve solo fare quello che vuole, ma non deve volere più di quel che voi volete che faccia”(20).

E’ certamente questa la peggiore forma di tirannia. L’ultima frase: “non deve volere più di quel che voi volete che faccia”, è la definizione di tutta l’educazione non direttiva e delle sue applicazioni, la dinamica del “lavoro di gruppo”, l’autodisciplina, ecc. “Non c’è sottomissione più perfetta di quella che conserva le apparenze di libertà. Così si imprigiona persino la volontà.”

A che scopo imprigionare la volontà individuale? Semplicemente perché Emilio non vivrà da solo. Separato dalla sua famiglia, da ogni studio, dal suo paese, entra nella società degli uomini liberi, non fondata sulla natura o sulla storia, ma per accordo delle volontà. La legge di queste volontà è la “volontà generale”.

“Ma – scrive Muchielli – essendo la volontà generale (il cui unico segno certo dovrebbe essere l’unanimità) abbastanza rara, diviene necessario adeguarsi alla maggioranza, ma con la tacita condizione che ciascuno si impegni in una autentica ricerca della volontà generale. Se tutti facessimo questo sforzo, e se si delineasse una maggioranza, alla minoranza non resterebbe che piegarsi facendo autocritica: abbiamo sbagliato in buona fede rispetto alla volontà generale; noi la desideriamo e, siccome si è rivelata, stiamo con essa” (21).

Bisognerà, quindi, formare le volontà particolari affinché si sforzino di preferire non il Bello, il Buono o il Vero, ma, sempre, la volontà generale.

Ma chi è il depositario della volontà generale? chi se non lo Stato? Lo Stato nuovo, lo Stato moderno, espressione della volontà generale, dovrà per sua necessità di conservazione controllare incessantemente la volontà particolare. Liberata dalle limitazioni sociali della famiglia e dei corpi intermedi, dalla verità della Religione, l’educazione degli uomini finisce col diventare una questione di Stato. D’altra parte la storia dello Stato moderno si confonde con quella dell’educazione moderna. Entrambi partecipano dei caratteri del Saprophyte perché non prosperano su altro che su rifiuti.

Ascoltate l’atto di nascita simultanea dello Stato moderno e dell’educazione rivoluzionaria. Costituzione del 3 settembre 1791: “Non vi è più né nobiltà, né signoria né distinzione ereditaria, né distinzione di ordini, né regime feudale, né giustizia patrimoniale, né nessuno dei titoli, denominazioni e prerogative che derivano da quelli, né ordine di cavalleria, né nessuna delle corporazioni né ordini per le quali si esigevano credenziali di nobiltà (…). Non c’è in nessuna parte della nazione, e per nessun individuo nessun privilegio (…). Non ci sono né rappresentanti dei Collegi Professionali, né corporazioni di professioni, arti e mestieri.

La legge non riconosce né voti religiosi, né nessun’altra relazione che sia contraria alla Costituzione..” Il mostro del futuro si eleva sulla tabula rasa del deterioramento, dello sradicamento delle istituzioni più naturali. “Si creerà una Istruzione Pubblica comune a tutti i cittadini, gratuita nelle parti dell’insegnamento indispensabile a tutti gli uomini, e le sue sedi saranno distribuite gradualmente in consonanza con la divisione del Regno”.

La relazione di cui sopra fu quella di Condorcet, presentata l’anno seguente alla Convenzione. La Costituzione del 1791 non sopravvisse all’assemblea Legislativa, e Condorcet non sopravvisse alla Convenzione; ma la sua relazione continua ad essere il riferimento basilare tanto per l’educazione degli adulti come per quella dei bambini, e l’opera iniziata da lui non si è mai interrotta, infatti “la politica scolastica è l’unico punto sul quale la Repubblica ha dato prove di continuità, stabilità e perseveranza”.

“La legge ha fatto in modo che la scuola sia adatta a fare, a sua volta, la legge”, diceva Maurras; lo Stato moderno non può mantenersi in altro modo che con il costante controllo delle volontà particolari. Per questo l’istruzione pubblica è diventata obbligatoria e la storia del suo sviluppo si confonde con quella del soffocamento delle libertà scolastiche. Così si comprende il grido profetico del grande scrittore ebreo Bernard Lazare: “Verrà un giorno in cui una guardia cercherà i nostri figli per portarli ad una scuola pubblica”. (22) La coercizione non si limiterà ai bambini: “Ogni domenica – scriveva Condorcet nella sua relazione – il professore aprirà una assemblea pubblica alla quale assisteranno i cittadini di ogni età.

Abbiamo visto in questa istituzione un modo di dare ai giovani quelle cognizioni che, nonostante siano necessarie, non si poterono includere nel loro primo insegnamento. Si svilupperanno in essi i principi e le regole della morale con maggior approfondimento, così come quella parte delle leggi nazionali la cui ignoranza impedirebbe a un cittadino di conoscere i suoi diritti e di esercitarli.” (23)

Vale la pena meditare questa citazione di Andrè Malraux: “La Rivoluzione svolge oggi il ruolo che anticamente svolse la Vita Eterna”. La gente si riunisce la domenica per studiare i suoi dogmi, nello stesso modo in cui il fedele assiste lo stesso giorno al Santo Sacrificio della Messa. Ma non si tratta di una diversità, come potrebbe essere quella di due attività semplicemente culturali.

Il castigo per la violazione dell’obbligo della Messa domenicale è una pena spirituale e la sua riparazione è spirituale. La sanzione dell’obbligo alla conferenza del professore non sarà spirituale. Sarà imposta dalla legge dello Stato e quest’ultimo dispone della spada e di tutti i mezzi di coercizione. Sarà una sanzione temporale. Lo sbocco di questo processo si incontra con sufficiente evidenza nelle disposizioni contenute negli articoli della Istruzione del Ministero dell’Educazione Nazionale Cecoslovacco.

“Istruzione secondaria: articolo 3 – Il criterio determinante per decidere l’ammissione dell’alunno sarà l’apprezzamento dell’origine di classe, della filiazione politica e sociale dei genitori e la sua partecipazione nella costruzione della società socialista…” “Istruzione superiore: Articolo 5 – I criteri politici e di classe devono essere rispettati per la selezione e ammissione negli istituti di Insegnamento superiore, perché così conviene alla auspicabile evoluzione futura.” “Preparazione per la carriera scientifica: Articolo 5 – Nel corso della valutazione complessiva del candidato, bisogna valutare la forza politica della sua personalità dal punto di vista del suo comportamento nei confronti dell’evoluzione del gennaio 1969, la sua posizione a riguardo dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti…” (24).

Interamente politicizzata e statalizzata in questo modo, l’educazione, che è qualcosa di spirituale, si trasforma in strumento del potere temporale che cosi supererà tutti gli altri poteri per annientarli. In questo campo, ancora una volta, solleciteremo l’incredulo Maurras affinché ci analizzi il fenomeno: “Violentare le famiglie, devastare il pensiero e il cuore dei loro figli, è, senza dubbio cosa intrinsecamente abominevole. Ma in fondo non è maggiormente abominevole che ammettere l’idea generale da cui, con la più grande logica del mondo, si deduce questa stessa abominazione particolare (…) Si può capire il perché le famiglie mettano l’insegnamento sotto il controllo della religione: in questo modo lo spirito è controllato dallo spirito (…) Ma qual’é la competenza dello Stato, vale a dire del potere temporale? Con quale diritto esso, il cui pensiero è intrecciato con le preoccupazioni di utilità generali, può controllare ciò che riguarda il pensiero libero, ciò che tende allo spirito indipendente e puro?” (25).

Lo Stato, essendo potere temporale, se si immischia nello spirituale, non può fare altro che distruggerlo e sottometterlo. Ma da questo stesso fatto deriverà poi la decomposizione dello Stato, a sua volta da tiranno a schiavo. Si può infatti capovolgere la frase di Maurras: se lo Stato disfa la scuola, la scuola, a sua volta, disfa lo Stato; il criterio di unità di quello Stato e la sua linea di condotta saranno puramente ideologici. L’essere vincolato alla ideologia e l’essere sottomesso alle direttive degli ideologi, rimpiazzeranno le condizioni del bene comune.

Questo sistema era stato abbastanza ben descritto da Condorcet nella sua relazione: “Dato che la prima condizione di ogni insegnamento è di non insegnare altro che verità, le istituzioni che il potere pubblico dedicherà a questo scopo dovranno essere il più indipendenti possibile da ogni tipo di autorità pubblica”. Era il 1792 e in questo modo si rifiutava l’autorità dello Stato tradizionale, dello Stato incaricato del comune bene temporale, del re.

Ma Condorcet continuava: “poiché, senza dubbio, questa indipendenza non può essere assoluta, risulta dallo stesso principio che dovrà essere resa dipendente da nient’altro che non sia l’assemblea dei rappresentanti del popolo, – ed ecco lo Stato nuovo – perché fra tutti i poteri è quello che più subisce l’influenza degli uomini illuminati – ed ecco lo Stato ideologo – e, soprattutto, perché essendo quello da cui partono essenzialmente tutti i cambiamenti, è per ciò stesso il meno nemico del progresso dei lumi, il meno contrario ai miglioramenti che quel progresso dovrà portare…” – ed ecco lo Stato rivoluzionario, il quale conosce come si deve cambiare la vita -. Uno Stato simile, incapace di assicurare la quiete pubblica, di evitare stragi e genocidi, di ridurre sia la violenza interna, che quella fra le nazioni, lo abbiamo visto nella storia d’Europa già da due secoli.

E quegli errori che non trovano spiegazione nella coscienza nazionale di un governo temporale, si capiscono invece molto bene quanto si intuisce che lo Stato moderno è un autentico governatore spirituale, anche se ciò non è professato fortemente o è addirittura negato: il potere sullo spirito e sulle coscienze, è il suo vero fine. E’ un potere temporale all’interno dell’ordine spirituale che si comporta come un’autorità spirituale nell’ordine temporale; è l’esatta inversione delle relazioni sociali di cui parlava uno dei promotori della nuova pedagogia.

Torna in mente la frese di Andrè Malraux ne “Les Voix du silence”: “Gli Stati moderni sono nati dalla volontà di costituire un tutto senza religione”. Nello staccarsi dalla visione generale dell’ordine e del mondo che solo la religione può dare, l’educazione ha perso sé stessa: dopo esser stata sottomessa allo Stato, lo ha fatto scivolare verso la sua stessa decomposizione.

Oggi, in Francia, viviamo la tappa quasi finale di un processo nel quale l’Università affonda nella sua totalità e minaccia di trascinare con sé lo Stato (e con esso quel che rimane di ordine e tranquillità pubblica). Non è più solo l’intelligenza in pericolo di morte, ma alla fine dell’itinerario, l’uomo nella sua interezza, tanto fisica che spirituale.

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È giunto dunque il momento di contarsi e di riunire le nostre forze. Cosa resta di fronte a questa organizzazione militare del Nulla vittorioso? Nel 1909, nella prefazione de “l’Avenir de l’intelligence”, prevedendo “l’età del ferro” che si annunciava, Maurras scriveva: “Il cattolicesimo resiste, e solo esso; per questo La Chiesa è attaccata in ogni dove, perseguita, duramente accerchiata… e i nostri liberi pensatori non hanno ancora compreso che l’ultimo ostacolo all’imperialismo dell’oro, l’ultima cittadella delle menti libere è giustamente rappresentata dalla Chiesa che essi tartassano e vessano! Essa è certo l’ultimo organo autonomo della spirito puro. Una sincera intelligenza non può vedere indebolire il cattolicesimo senza comprendere d’indebolirsi con essa: è lo spirito che decade nel mondo, lui che regnò sui finanzieri e sui re; è la forza bruta che riparte alla conquista dell’universo”.

Erano queste le parole di un incredulo all’inizio secolo. Meno di sessanta anni più tardi, nel 1968, uno scrittore cattolico ha potuto scrivere: “Si insegue il mondo. E nel mondo ci si fa istruire dai giovani. Si insegnano ai giovani le esigenze e le realtà di un mondo di cui già sono guide. Non si insegna più nulla né si educa più nessuno (…) Gli educatori, che educatori! sono vescovi che si arrendono e tradiscono. Ed è precisamente così che oggi, come già in passato successe nella storia, che l’universo si copre di tenebre, anche nel temporale (…) Lo zoppicamento sistematicamente organizzato nella Chiesa, che rovina persino la possibilità di apprendere ed educare, è il maggior responsabile nell’attuale crollo dell’universo nella barbarie (…) Sul piano della civiltà temporale – che è il piano in cui si collocava Maurras poche linee piu sopra -, saccheggiata da questa evanescenza anarchica, possiamo e dobbiamo dire senza vergogna le parole di Giovanna d’Arco: ‘Vescovo, muoio per colpa tua’ !”

Questa pagina di Jean Madiran (26) diventa l’eco esplicativa delle idee del Santo Padre sull’autodistruzione della Chiesa. E allora? Allora, siamo soli. Ed è notte. Hora est potestas tenebrarum. Ma questa notte è per noi la notte della fede; nonostante essa, nelle tenebre, e in un certo senso grazie ad essa, tutti coloro che camminano verso la luce si accorgono che sono più vicini gli uni agli altri. Sono coloro che camminano verso la luce eterna di Dio, e sono coloro che, guidati dall’oscura sete della luce del giorno, cercano la bellezza, la ragione, la virtù e tutti gli onori dell’uomo che sono nel contempo volti di Dio che brillano nella notte.

Da Maurras a Pèguy, non risulta che Dio abbia negato a questi pellegrini umili ma ostinati, la risposta d’Amore che la loro indomabile speranza chiedeva. Se è vero che la salvezza e la vera fede sono il segno infallibile della vittoria, allora essi avranno raccolto la palma, ma dopo aver combattuto a lungo. Il loro combattimento, che è lo stesso di Giovanna d’Arco, ne è un esempio. È l’esempio della fedeltà. ai doveri temporali in mezzo al disordine del mondo spirituale e del tradimento di così tanti chierici.

L’educazione, e con essa la civiltà, non si salveranno con pie intenzioni e buoni pensieri. Le preghiere, neppure le più sante, saranno sufficienti a salvarle. E’ necessario che i capi temporali delle famiglie e dei mestieri nei popoli e nelle nazioni, tornino a prendere i poteri rubati loro dai ladri dello spirito; l’avvertenza finale de “l’Avenir de l’Intelligence” pare più vera che mai: “Nel nome della ragione e della natura, – noi dobbiamo dire: in nome della ragione e della fede – in accordo con le antiche leggi dell’universo tutte le speranze per la salvezza dell’Ordine, per la restaurazione e la salvezza di una civiltà minacciata – oggi dobbiamo aggiungere anche per la difesa della Chiesa – tutte le speranze sono a bordo della nave della CONTRO-RIVOLUZIONE”.

Note

(1) “L’educazione sessuale a scuola: e il piacere?”, Le Monde, 10.1.73
(2) Cfr. anche “Nuova pedagogia e pedagogia della Chiesa”, L’action scolaire, gennaio 1973, pag. 134, boulevard Brune, 75014 Parigi
(3) cit. da Charles Maurras in “Dictionnaire politique et critique”, alla voce ‘education’, p 401
(4) ibidem, p. 402
(5) ibidem, p 401
(6) “Confessioni” nella prefazione di “Èmile ou de l’education” curata da Michel Launay, ed. Garnier Flammarion, pp. 6 e 7.
(7) Rousseau, “Emil ou de l’education”, op. cit. pp. 6 e 7
(8) ibidem p. 42
(9) ibidem p. 42
(10) ibidem p. 43
(11) ibidem p. 112
(12) Ogni generazione di educatori scopre in questo con sorpresa quel che cerca confusamente: dopo la Scuola Emancipata e i metodi di Educazione attiva, dopo Makarenko e il suo ammirevole poema pedagogico, ecco i pionieri del “non-direttivisrno”, Rogers negli USA, Lapassade in Francia, si dicono seguaci dell’educazione negativa di Rousseau. La tesi di G. Lapassade, ancora inedita, è incentrata sull’Èmile, e si intitola “l’educazione negativa. Saggio sulle origini e i fondamenti del non direttivismo”, M. Launey, op. cit., p. 25
(13) Lapassade “l’entrata nella vita, saggio sull’inizio dell’uomo” ed, 10/18 p. 263
(14) Rousseau op. cit. p. 38
(15) ibidem p 43
(16) ibidem p. 71
(17) ibidem p. 148 (ideale del buon selvaggio)
(18) Lapassade, op. cit. p. 267
(19) ibidem p. 268
(20) Rousseau, op. cit., p. 150
(21) cfr. Louis Daujarques “Les itineraires culturels de la Revolution”, in “Culture et Revolution”, Atti del Convegno di Losanna del 1969, p 49, rue des Renaudes, 75017, Parigi. Si veda in spagnolo, “Verbo”, n 81-82, p. 19, e segg. e in “Cultura y Revoluciòn”, Madrid, Speiro 1970
(22) Bernard Lazare, prefazione de “l’ Antisemitisme”, Librarie francaise, reed. 1969
(23) si può consultare la relazione Condorcet nell’opera di Benigno Càceres “Histoire de l’Education populaire”, capitolo “I grandi antenati” ed. Peuple et Culture
(24) i testi completi di tutti gli articoli, si trovano nel periodico Poitiers-Universitè, gennaio 1973, p 5; e in Est-Ouest, 86, boulevard Haussmann, 75008 Parigi
(25) “Dictionnaire Politique et Uritique”, art. “Ensignement”, p 436 (26) Jean Madiran, “l’eresia del XX secolo” Volpe ed., 1972