Il monopolio statale blocca il necessario pluralismo

scuola unicaAvvenire – Bologna, 9 gennaio 2005.

Parla Charles Glenn, uno dei più autorevoli esperti americani di istruzione

Stefano Andrini

«La difesa della libertà e della democrazia spinge ad un progressivo allargamento del pluralismo dell’offerta educativa “pubblica” per rendere operative scuole che siano espressione della società civile».Questa l’opinione di Charles Glenn, docente alla Boston University e tra i più autorevoli esperti degli Stati Uniti sulle strategie di gestione dei sistemi scolastici, recentemente invitato a Bologna dalla facoltà di Economia. Il professor Glenn è autore del saggio recentemente pubblicato anche in Italia dalla casa editrice Marietti 1820 col titolo «Il mito della scuola unica». Si tratta di uno studio rigoroso e documentato sulla storia della scuola, dall’800 ai giorni nostri.

Che cos’è il «mito della scuola unica»?

Charles GLENN: Elaborato da un’élite internazionale di riformatori laici e progressisti questo complesso di idee è diventato il cuore di un progetto di riforma sociale e politica mediante l’educazione controllata dallo Stato.

Sembra di cogliere l’eco del «Contratto sociale»…

Charles GLENN: Certamente. Il programma enunciato da Rosseau si è riproposto nelle versioni giacobine e radicali, come in quelle liberali e moderate, mirando, in ogni caso, a utilizzare l’educazione e istruzione pubblica come strumento per trasformare i giovani in «cittadini», accomunati dall’adesione ai valori condivisi e «illuminati» della cultura dominante e da un fondamentale senso di appartenenza allo Stato, per lo più in aperto contrasto con la visione e i valori delle tradizionali comunità di appartenenza, soprattutto religiose.

In che cosa consiste, dunque, il mito?

Charles GLENN: Nella identificazione della scuola pubblica con un unico modello educativo, statale, che si pretende neutrale, ma in realtà veicola e legittima una ben definita visione della realtà, dell’uomo e della società, al punto da assumere tutte le connotazioni di una «religione» ufficiale che non ammette visioni alternative e concorrenti.

Lei è dunque un irriducibile avversario della scuola pubblica?

Charles GLENN: Al contrario. Quello che contesto è l’interpretazione univoca e la conseguente «sacralizzazione» della funzione statale. La difesa dei principi fondamentali della libertà e della democrazia spinge invece nella direzione di un progressivo allargamento del diritto di scelta delle famiglie e verso una espansione del pluralismo dell’offerta educativa «pubblica»; perciò, la pur legittima salvaguardia dell’unità culturale e dell’integrazione sociale non può avvenire a spese del contenuto della proposta educativa, della sua identità caratterizzante e coerenza ideale.

In Italia la libertà di educazione è un diritto che si deve pagare…

Charles GLENN: L’Italia è uno dei pochi Paesi sviluppati che chiede ai genitori che vogliono scegliere quale scuola far frequentare ai loro figli di pagare per potere esercitare questa libertà. Si tratta in sostanza, lasciando da parte le questioni religiose, di un problema di giustizia sociale. La prima dimensione della libertà di educazione è quella di costruire e rendere operative scuole che siano espressione della società civile e che ad esse sia riconosciuta una capacità educativa equivalente a quella dello Stato.

C’è un esempio che le sta particolarmente a cuore?

Charles GLENN: Le Charter School, scuole che si costituiscono intorno a genitori e insegnanti e che sono finanziate dallo Stato se dimostrano di raggiungere i livelli di istruzione richiesti dal sistema di valutazione. Con le Charter School, cambia la definizione stessa di scuola statale: una scuola che ha origine dalla società e un’istituzione statale con il compito di sostenerne il funzionamento.

* * *

Charles Glenn è un curioso tipo di pastore protestante. Padre di sette figli, ha mandato l’ultimo a scuola dai gesuiti, e li rimproverava perché non erano “abbastanza cattolici”. Da sempre si occupa di organizzazione scolastica: è la materia che insegna all’università di Boston, ed è responsabile della pianificazione del sistema scolastico del Massachusetts.

Due grandi temi, intrecciati fra loro, hanno sempre attraversato i suoi interessi sia professionali sia accademici: il grado di libertà che un sistema scolastico concede alle scuole, e le pressioni indirette che le regole di un sistema anche formalmente liberale possono esercitare sulle singole scuole, così da condurre di fatto a quell’uniformità che pure, in via di diritto, non sarebbe prescritta (è l’argomento di “The ambiguous embrace”, uno dei suoi testi più noti: vi denuncia appunto l’“ambiguo abbraccio” con cui uno Stato può soffocare le scuole libere anche nel momento stesso in cui ne riconosce la legittimità – problema non certo solo americano, se solo si pensa a come tanta parte delle scuole cattoliche hanno rivendicato come un vanto la somiglianza con quelle statali…).

“Il mito della scuola unica”, da poco tradotto in italiano, è un altro dei suoi testi più diffuzi. Qui Glenn ripercorre i caratteri e la storia di quella che gli americani chiamano “common school” (“The myth of common school” è il titolo originale) e che rivendicano orgogliosamente come fondamento della loro convivenza civile.

Le radici risalgono alla Rivoluzione Francese: «È tempo di ristabilire il grande principio, che ci sembra frainteso oltre misura, per cui i bambini appartengono alla Repubblica più che ai loro genitori. (…) E cosa ci può importare l’interesse di un individuo rispetto agli interessi nazionali? La Repubblica è una e indivisibile; e anche la pubblica istruzione deve riferirsi a questo centro di unità».

Così Georges Danton alla Convenzione Nazionale. Ma a rivoluzione conclusa il principio diventa una cardine dell’azione anche di molti governi liberali. «Nel secolo scorso si è detto frequentemente, e lo si ripete spesso anche ora, che le menti non devono essere imbrigliate, che devono essere lasciate al loro libero agire, e che la società non ha né il diritto né la necessità di interferire.

L’esperienza ha smentito questa soluzione arrogante e precipitosa. (…) Sia per favorire il progresso sia per avere un buon ordine della società è sempre necessario un sicuro governo delle menti». È François Guizot. Italia, Germania, Stati Uniti si accodano.

«Il cuore di questo programma, che chiameremo ‘programma della scuola unica’, è lo sforzo deliberato di creare in un’intera generazione di giovani atteggiamenti, fedi e valori comuni sotto la direzione centrale dello Stato». Ma si tratta, appunto, di un mito. Sia perché mitici, inesistenti sono sedicenti i “valori comuni” e “cultura neutra” che la scuola unica rivendica: sono sempre i valori e la cultura che una certa parte del Paese vuole surrettiziamente imporre a tutti.

Sia perché, nei fatti, anche al fine di integrare genti diverse si è sempre rivelata più efficace la scuola culturalmente orientata: molto più facile ad esempio accogliere e rispettare un islamico in un leale paragone con la proposta di una scuola dichiaratamente cattolica che in una sedicente neutra, che mirando ad azzerare ogni differenza suscita solo reazioni integraliste (come il divieto francese dei simboli religiosi dimostra chiaramente)

* * *

Tracce. Litterae Communionis, anno XXXI, novembre 2004, p. 28-30

Esce finalmente in Italia lo studio di Charles Glenn, uno dei testi più importanti sulla storia della scuola. Con un capitolo conclusivo appositamente scritto per l’edizione italiana. Le critiche allo statalismo e alla sua presunta neutralità

di Elisa Buzzi

«Voi siete i primi dei moderni. Voi siete i primi di fronte ai quali, davanti a cui, sotto i cui occhi si sia fatta […] questa singolare opera, questa instaurazione del mondo moderno e questo stabilirsi del partito intellettuale nel mondo moderno». No so se Charles Glenn, scrivendo «The Myth of the Common School», abbia mai pensato a questo passo di Péguy.

Di certo il genio del poeta coglie con efficacia uno dei nuclei centrali di quest’opera apparsa in America nel 1988, e oggi pubblicata in traduzione italiana dall’editrice Marietti.Perché questo studio rigoroso e estremamente documentato sulla storia della scuola, dall’Ottocento ai nostri giorni, è in effetti, più che la storia di una istituzione, la storia di un’idea, anzi di un complesso di idee dotato di un potere di attrazione e auto-legittimazione così profondo e persistente da meritare senz’altro l’appellativo di mito, e non un mito qualsiasi, ma il mito assolutamente centrale nel definire «l’ideologia che sostiene la democrazia moderna».

Elaborato da un’élite internazionale di riformatori laici e progressisti, un vero e proprio “partito intellettuale”, questo complesso di idee è diventato il cuore di un progetto di riforma sociale e politica mediante l’educazione controllata dallo Stato: “il programma della scuola unica”.

Da “giovani” a “cittadini”

Tale programma educativo, già enunciato in nuce da Rousseau, nell’osservazione del «Contratto sociale» («Chi osa intraprendere la formazione di un popolo deve sentirsi in grado di cambiare la stessa natura umana»), si è riproposto nelle versioni giacobine e radicali, come in quelle liberali e moderate, mirando, in ogni caso, a utilizzare l’educazione e istruzione pubblica come strumento per trasformare i giovani in “cittadini”, accomunati dall’adesione ai valori condivisi e “illuminati” della cultura dominante e da un fondamentale senso di appartenenza allo Stato, per lo più in aperto contrasto con la visione e i valori delle tradizionali comunità di appartenenza, soprattutto religiose.

In che cosa consiste, dunque, il mito di cui i riformatori si sono serviti per legittimare un’idea di educazione che è penetrata così profondamente nella nostra cultura e mentalità da presentarsi ancor oggi come l’unica pensabile? Secondo Glenn, nella identificazione della scuola pubblica con un unico modello educativo, statale, che si pretende neutrale, ma in realtà veicola e legittima una ben definita visione della realtà, dell’uomo e della società, al punto da assumere tutte le connotazioni di una “religione” ufficiale che non ammette visioni alternative e concorrenti. Le obiezioni di Glenn colpiscono i punti nevralgici di questo mito, contestando l’identificazione di “pubblico” con “statale”, di “comune” con “unico”, di “laico” con “neutrale”.

Approccio pragmatico e realistico

Nonostante il carattere profondamente ideologico del fenomeno intellettuale che intende ricostruire e criticare, l’approccio di Glenn è assolutamente pragmatico e realistico, secondo la migliore tradizione americana: il suo studio nasce da un’esperienza di impegno reale con i problemi della scuola e dall’esigenza di trovare per essi risposte adeguate alle sfide e ai compiti dell’educazione nella società contemporanea, complessa e pluralista.

La sua formazione culturale e professionale, e la sua particolare sensibilità sociale e religiosa, lo portano a valorizzare al massimo il carattere “pubblico” della scuola, pur contestando l’interpretazione univoca e la conseguente “sacralizzazione” della funzione statale. Glenn riconosce che le tensioni e i conflitti di una società democratica, che intenda salvaguardare i propri principi fondamentali e allo stesso tempo i diritti di libertà di espressione ed educazione dei propri membri, come singoli e, soprattutto, come comunità, non ammettono soluzioni meccaniche e semplicistiche.

Proprio la difesa dei principi fondamentali della libertà e della democrazia spinge nella direzione di un progressivo allargamento del diritto di scelta delle famiglie e verso una espansione del pluralismo dell’offerta educativa “pubblica”; perciò, la pur legittima salvaguardia dell’unità culturale e dell’integrazione sociale non può avvenire a spese del contenuto della proposta educativa, della sua identità caratterizzante e coerenza ideale.

Uno strumento privilegiato

Uno dei pregi fondamentali dell’analisi di Glenn sta certamente nella precisione e nel rigore con cui individua nella scuola lo strumento privilegiato della formazione e della trasmissione della cultura di un popolo e, quindi, anche, nei suoi aspetti deteriori, lo strumento della possibile imposizione di una ideologia dominante a fini strettamente politici e di controllo sociale. E’ a questo livello che si colloca il dibattito fondamentale sull’educazione e che si sono combattute tutte le “battaglie sulla scuola” degli ultimi due secoli.

Glenn, tuttavia, ha la capacità di sottrarsi alla logica di una contrapposizione tra le alternative dell’uniformità o della frammentazione culturale e sociale. La sua proposta non si limita a estendere l’area semantica del termine “pubblico” al di là dell’identificazione con “gestito dallo Stato”, ma si spinge fino al tentativo di concepire il servizio pubblico in quanto tale all’interno di un sistema d’istruzione diversificato e pluralistico.

Questo, secondo Glenn, è possibile non restando prigionieri della contrapposizione ideologica, ma ricercando pragmaticamente soluzioni che garantiscano la validità e l’efficienza di un servizio pubblico e, insieme, la libertà e l’identità culturale ed educativa dei soggetti in causa – studenti, famiglie, insegnanti. Nell’attuale fase di ripensamento del sistema d’istruzione in Italia e, più in generale, in Europa, le tesi di Glenn e la prospettiva che il suo studio apre possono offrire punti di riferimento significativi per quanti avvertono l’urgenza e la radicale importanza del problema educativo per l’intera società.

______________________

Leggi anche:

Il mito della scuola unica: relazione al convegno “La libertà di educare per crescere tutti”, Università del Sacro Cuore, Milano, 1 Marzo, 2007