Ma la crescita demografica stimola lo sviluppo

IndiaAvvenire giovedì 30 aprile 1992

 di Maurizio Blondet

Gli inglesi governarono l’India in modo perfettamente malthusiano. Tra il 1891 e il 1947, anno in cui diventò indipendente, l’India fu in stato di “crescita zero” demografica, o quasi: causa l’alta mortalità, la popolazione aumentò meno dell’1 % annuo (lo 0,67%, ad essere precisi). La produzione dei cereali crebbe anche meno: un microscopico 0,1% l’anno. Sicché nel ’47, l’indiano medio aveva a disposizione il 26% di cibo in meno rispetto all’indiano del 1890.

Poi gli inglesi partirono. E l’India cominciò a crescere impetuosamente: in popolazione, passata da 347 milioni di abitanti agli 850 attuali, ma ancor più in produttività. L’ultimo anno di dominio britannico, l’India produceva 45 milioni di tonnellate di granaglie; nel ’49-50 ne produsse già 54,9 milioni. Nel 1985 superò i 150 milioni di tonnellate, e smise di importare cibo dall’estero: l’immenso territorio, che non bastava a nutrire 347 milioni di uomini nel ’47 (sotto i britannici ci furono 22 carestie), era in grado di nutrirne oltre il doppio appena 40 anni dopo.

Il motivo del successo sta nel progresso tecnologico che sfrutta la prima (e inesauribile) “risorsa” economica: l’intelligenza creativa dell’uomo. Moderni sistemi d’irrigazione, di trasporto, di magazzinaggio, e nuove sementi (la “rivoluzione verde”) han consentito a una popolazione raddoppiata di vivere, e meglio, sullo stesso territorio. È un miracolo che si è ripetuto più volte nella storia: sotto la pressione demografica, l’uomo scopre nuove tecnologie, e utilizza nuove risorse, che consentono di mantenere la popolazione cresciuta a livelli di benessere più alto di prima. Nell’età della Pietra, l’Europa non poteva mantenere più di 20-30 milioni di uomini. Il limite non era nella “natura”, ma nelle tecnologie di allora: le sole risorse energetiche erano la legna e il lavoro animale. L’Europa stagnò così per tutta l’antichità.

Nel Medio Evo, abolita dal cristianesimo la schiavitù, cresciuta enormemente la popolazione, ci fu anche il primo balzo in avanti tecnologico: utilizzo di forme più efficienti di energia (mulini ad acqua e a vento, scoperta del basto per buoi), sistemazione scientifica del suolo (le “marcite” dei Certosini), un tipo più avanzato di aratro, produssero il primo miracolo economico.

La crescita demografica non è mai stata ostacolo allo sviluppo; al contrario, è stata di stimolo. Dall’800 al 1914, la popolazione d’Europa passò di colpo da 180 a 460 milioni, mentre prestava altri 100 milioni di europei agli Stati Uniti. Eppure il benessere crebbe per tutti. Perché? Perché quella è stata l’epoca di maggior sviluppo tecnologico (la radio, l’aereo, il telefono, il piroscafo, la chimica industriale nacquero allora), quella in cui furono fatti i più grandi investimenti infrastrutturali (Canale di Suez e linea ferroviaria New York-San Francisco, 1869; Transiberiana, 1891; e ancora i trafori ferroviari, il Canale di Panama e così via).

Nel secolo scorso, l’uomo ha imparato ad utilizzare due “risorse energetiche” più potenti ed efficienti di quelle note nell’antichità: prima il carbone, e dal 1900 il petrolio. Si noti: carbone e petrolio erano esistiti da sempre sulla Terra. Ma non erano “risorse”. Lo sono diventati solo quando l’uomo ha imparato (perché ne aveva bisogno) a utilizzarli. Perciò è stupido temere l’esaurimento delle risorse: esse non sono un dato fisso, ma una continua invenzione umana.

L’ultima scoperta energetica, la fissione atomica, ci ha aperto una nuova “risorsa” di cui non si può prevedere l’esaurimento. Malthus, che invocava la riduzione della natalità per conservare i livelli di benessere, aveva torto. Nella storia, il benessere s’è conservato (anzi, è cresciuto) con lo sviluppo tecnologico. E questo è stato innescato proprio dalla crescita demografica.