Il nazi contagio

Rudolf HessIl Sabato 26 settembre – 2 ottobre 1987

Con la scomparsa di Rudolf Hess finisce il nazismo nel modo più nazista possibile. Perché il delfino di Hitler fu condannato al duro carcere di Spandau? Lo zampino della Russia

di Augusto Del Noce

«É scomparsa con Rudolf Hess l’ultima eco del Terzo Reich». Con questo titolo il più delle volte si diede notizia del suo suicidio, il 18 agosto. È vero, qualcuno parlò «della vergogna che resta» nei riguardi della sua prigionia e della mancata grazia (cosi Montanelli) o «dell’ignominia di una morte somministrata giorno dopo giorno per quarantacinque anni» (così Silvio Bertoldi sul Corriere della sera di quel giorno); e certamente altre frasi egualmente improntate a giustizia furono usate e mi sono sfuggite. Ma il senso generale fu questo: si è trattato di una brutta pagina che si deve dimenticare. E qui non concordo; il caso Hess non può e non deve venire tanto rapidamente archiviato come si sta facendo oggi. Perché con la sua morte finisce sì il nazismo con l’ultimo suo capo di rilievo, ma finisce in una maniera che più nazista non poteva essere; il periodo che aveva avuto inizio col processo di Norimberga termina nel peggiore dei modi.

Qualcuno ha scritto che se si considera il progressivo svanire della coscienza morale, quale si è verificato nei decenni dal ’45 a oggi, si deve dire che Hitler ha vinto la guerra. Non è un paradosso: non si tratta di riabilitare il nazismo, ma di difendersi dal contagio che la sua barbarie ha esercitato sui suoi più implacabili o implacati avversari.

La prigionia di Hess, assolto a Norimberga dalle accuse di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità, e condannato all’ergastolo per una colpa non contemplata da nessun codice, quella di aver contribuito a preparare una guerra aggressiva, internato nel ’47 nel carcere di Spandau, dove ha vissuto per quarant’anni in una cella di sei metri quadrati, col consenso di vedere una sola persona al mese dietro una grata — la moglie o il figlio, ma mai insieme — e il diritto di scrivere un diario le cui pagine però venivano bruciate ogni sera dalle guardie carcerarie, e quello di leggere quattro giornali da cui venivano censurate le notizie politiche, è stata espressione non già di una giustizia, per dura e intransigente che possa essere, ma di odio; ancorché rovesciata, di quello stesso odio di cui i lager nazisti sono il simbolo. Oggi ha corso la distinzione tra violenza rivoluzionaria, giustificata e violenza reazionaria i cui responsabili sono giudicati degni di sterminio.

Quando lessi del suicidio di Hess, mi vennero subito in mente frasi di una lettera che Dino Grandi, allora ministro della Giustizia, aveva inviato a Mussolini il 21 aprile 1940 per consigliarlo a non entrare in guerra, o almeno attendere a farlo. Vi scriveva: «Questa guerra ha tre grandi protagonisti: la Germania, l’Inghilterra, la Russia (…) Chi sarà l’arbitro che deciderà dell’esito del mortale duello? La Russia (…) Gli slavi riprendono la marcia verso l’Occidente. Il testamento di Pietro il Grande che indicava l’Occidente ed i caldi mari del Sud come direttrice alla futura espansione delle razze slave, è stato raccolto da Stalin, il nuovo «Piccolo Padre» di tutte le Russie (…). La Russia deve ancora dirci la sua parola definitiva. Quale sarà? È impossibile dirlo oggi, ma la Russia interverrà» (Il mio Paese, Ricordi autobiografici pp. 571-572).

Non ci voleva un genio per avvertire questo: e mi meraviglia che non sia stata ancora curata un’antologia delle più importanti pagine in cui tanti autori dell’Ottocento, delle più diverse correnti ideali, avevano concordato il pericolo mortale che l’espansionismo russo costituiva per l’Europa, e cercato di definirne i caratteri.

Resta che stranamente il pensiero dell’espansionismo russo appariva come rimosso dalle menti dei politici degli anni che precedono la Seconda guerra mondiale; così da quelli dell’Asse come dei loro avversari. Si giudicava: la Russia è un Paese più asiatico che europeo, e l’ha dimostrato la vittoria del comunismo sul socialdemocratico occidentalista Kerenski; e l’artefice maggiore di questo rove­sciamento nel senso orientalistico è proprio Stalin con l’idea del socialismo in un solo Paese e coi suoi metodi di governo. Si dimenticava che per la stessa dottrina del comunismo staliniano era inevitabile la guerra tra i Paesi capitalisti, e che questa guerra avrebbe rappresentato le condizioni per la nuova avanzata, insieme comunista e russa.

Hess vide dunque per la Germania quel che Grandi aveva visto per l’Italia. Il suo volo fu un’iniziativa personale, all’insaputa o contro il parere di Hitler, o invece concordata con lui, alla vigilia dell’attacco contro la Russia?

Nel libro di memorie di Albert Speer c’è un elemento che fa protendere per la prima ipotesi. Hess gli aveva raccontato, a Spandau, che l’idea del volo in Scozia gli sarebbe «venuta in sogno, ispirata da forze sovrannaturali». Hess, insomma, avrebbe avuto un’illuminazione in cui avrebbe visto il risultato della guerra: fine dell’Impero inglese e, per la Germania, distruzione e successiva perdita di ogni speranza di una posizione egemonica. Avanzata della Russia sulle rovine delle due maggiori potenze europee. È un fatto che le proposte di pace che fece ai rappresentanti inglesi corrispondevano a queste premesse: libertà all’Inghilterra di esercitare il dominio sul suo impero, libertà alla Germania di realizzare il suo primato in Europa.

Parlare di «illuminazione in sogno» rientra nella sua originaria formazione culturale. Veniva infatti dalla Thulegesellschaft, associazione culturale che si era formata a Monaco, e in cui coesistevano confusamente superomismo nietzscheano, e motivi iniziatici occultistici ed esoterici, con accentuazioni per la mistica tibetana; uno dei tanti prodotti inferiori della «rivoluzione conservatrice» tedesca degli anni Venti. Tale formazione giovanile poteva ben portarlo a ritenersi investito dal destino ad assolvere una missione che gli uomini ordinari non potevano riuscire. Se davvero avesse concordato il piano con Hitler perché avrebbe dovuto tacerlo a un suo compagno di prigione, dopo che la tragedia era finita, e perché avrebbe dovuto inventare le forze sovrannaturali che l’avrebbero ispirato in sogno?

La durezza particolare che fu usata con lui mentre gli ultimi condannati di Norimberga avevano lasciato Spandau già nel 1966 non si comprende.

Certo ci fu un’intransigenza russa nella decisione che egli dovesse morire in carcere. Basta a spiegarla la persuasione, non giustificata da nulla, che si fosse recato in Inghilterra per proporre un’alleanza nella guerra contro la Russia? Ho letto che, secondo un autorevole storico del Terzo Reich, il Maser, nel 1952 Stalin aveva pensato di estendere quel suo impero fatto di «sovranità limitate» alla Germania riunificata sotto Hess. Indubbiamente la manovra era nel suo stile. Nazionalsocialismo voleva dire sintesi di nazionalismo e di socialismo, che nella forma hitleriana si era dissolta, ma che poteva ricostituirsi in altra forma: il nazionalista Hess, senza convertirsi al comunismo, avrebbe potuto dire, come socialista, che il socialismo si stava realizzando nella Germania dell’Est. Sarebbe stato il capo di quel partito nazionaldemocratico che effettivamente raggruppava gli ex nazisti nella Germania dell’Est.

Ciò rientrava in uno scopo più generale, quello di una Germania riunificata, formalmente come stato neutrale, di fatto sotto l’egemonia russa. Un partito analogo a quello degli ex nazisti avrebbe potuto formarsi all’insegna del nazionalismo e del socialismo nella Germania occidentale, e vincere in libere elezioni. Soltanto Hess poteva esserne la guida. La leggenda del suo pacifismo, della sua rottura con Hitler, che, se avesse potuto, l’avrebbe fatto impiccare, non era certo difficile da costruire. E nel ’52 i nazisti erano ancora molti in Germania, mentre oggi praticamente non esistono.

Ogni partito si spegne quando viene a mancare ogni possibilità di successo: i vecchi fedeli muoiono, gli uomini di mezza età cercano di rifarsi una vita dopo la sconfitta, nuove leve non affluiscono. Stupisce la meraviglia con cui certi nostri giornali hanno dovuto registrare l’assenza di consistenti manifestazioni neonaziste nella recente occasione. Ma, fedele alla memoria di Hitler, Hess avrebbe rifiutato, e pagato col carcere perpetuo.

Tuttavia la fonte è strana: come mai il primo ministro della Germania orientale di tanti anni fa, Grotewohl, avrebbe comunicato, sia pure sotto il vincolo del silenzio per un periodo di vent’anni successivo alla sua morte, una notizia così riservata a uno studente dell’Università Humboldt (Germania Est) che l’aveva consultato per una tesi che stava redigendo sull’ascesa del nazionalsocialismo?