Il Mare blu di Alessia Barbitta

Barbitta_coverFormiche 30 dicembre 2015

 Giuseppe Brienza

La parola in versi, anche oggi nell’era dei social network, rimane uno strumento unico per esprimere le esperienze e gli stati di coscienza “esistenziali”. È quanto troviamo nell’opera prima della giovane Alessia Barbitta, “Mare blu 9” (Aletti Editore, Roma 2014, pp.64, € 12).

VIAGGIO INTIMISTICO

36 anni, romana, in questa sua prima silloge poetica l’Autrice ci offre un viaggio intimistico alla ricerca di senso e interiorità. Dopo il diploma in Tecnico di Laboratorio Chimico Biologico, la Barbitta cambia completamente strada e si occupa di assistenza ai disabili. Contemporaneamente organizza e dirige laboratori artistici e creativi a Roma, dove vive. Esordisce in campo editoriale con “Mare blu 9”, opera uscita nella collana “Gli Emersi-Poesia” di Aletti, una casa editrice nota in Italia per aver pubblicato l’ultima opera di Lawrence Ferlinghetti, universalmente conosciuto come padre della “Beat Generation” ed autore di numerosi successi mondiali.

La luminosità dei versi, il senso di appartenenza delle parole che Alessia utilizza in “Mare blu 9”, unitamente allo specchio dell’anima che risalta in tutte le 37 poesie contenute in questa prima raccolta, ne rendono intenta e profonda la lettura. Componimenti come “Papà” (p. 22), “Paese” (pp. 23-24) ed “A mia figlia” (p. 61) conducono, in particolare, nel mondo familiare della poetessa romana, e spingono a ritrovarsi in una dimensione di sentimenti, talvolta sofferti, ma dove è necessario tornare a spingere lo sguardo, concentrare amore, rivolgere attenzione. Il titolo dell’opera “Mare blu 9”, esprime del resto questo significato riprendendo l’idea di una vita interiore di per sé sempre in movimento, come il mare, che anche quando è calmo si muove sempre. La vita dell’anima lo stesso e, come il mare, se avesse colore anch’essa sarebbe di un azzurro intenso e profondo, com’è l’abisso, com’è il cuore dell’uomo.

IL “PAESE” È COMUNITÀ

In “Paese” Alessia richiama gli echi, ancora possibili, di una dimensione comunitaria e naturale. «Si rassegna la nebbia. Ad un timido sole. Tremante la penetra. Per ricominciare. Si dilegua la notte. Stracolma di sogni Nuovo giorno! Nuovi giorni! Si colora di rosa. La pelle profumata di un bambino. Nell’aia mamma chioccia riscalda il suo pulcino. Svegliatevi creature è mattino! In punta di piedi. Il cielo schiarisce. Andate via sogni cattivi. Un dolore guarisce. Profumo di case, di dolci sfornati. Di bambini ancora assonnati. È mattino! Forza mastro gallo. Riempi i tuoi polmoni. Spalanca le tue ali e fai rumore. Sveglia i dormiglioni. Forza gente! Il mondo si riveste. Sbadigliano i fiori del piccolo prato. S’asciuga la brina. Con un soffio di fiato. La tavola è pronta. Il latte è già caldo. Fa rumore la ruota del carro su un sassolino. Sveglia tutti… È già mattino!» (pp. 23-24).

Nella poesia dedicata alla figlia Elena, l’Autrice dipinge il suo mondo di mamma, il suo cammino di crescita, di sentimenti avversi e di comunicazione vitale con la piccola. «Ti parlerò – inizia così la poesia “A mia figlia” –. Di curve del tempo. Di un raro tormento. Che colorerà l’anima. Ti parlerò. Di battiti del cuore muti. Che sentirai solo Tu. Ti parlerò. Di un mondo indeciso. Dove inverno e primavera Autunno ed estate convivono e coesistono. Ti parlerò. E cercherò invano. Di proteggerti da quel dolore. Ma Amore, figlia mia, quando lo conoscerai farà piangere. Ti darò i miei occhi. Per guardare più lontano. E lascerò che mi si strappino le ali. Cercherò di guidarti dove non sarai in grado di vedere. Anche quando non me lo permetterai. Sarò l’isola che raggiungerai Se vorrai… Sbaglierò a volte. E… Non sarà tardi… Mai» (p. 61).

IL PADRE, QUEL RICHIAMO ETERNO

Scriveva Teresa d’Avila (1515-1582), la grande santa spagnola della quale quest’anno ricorre il quinto centenario: «Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo. Voler fare gli angeli, stando sulla terra, è una pazzia; ordinariamente, invece, il pensiero ha bisogno d’appoggio».

Nella poesia “Papà”, Alessia descrive questo “punto di appoggio”, che viene purtroppo a mancare, per vari motivi, in molti ragazzi della sua generazione. Nel dramma del padre assente che anche lei vive sprizzano nella sua vita, come onde di un mare mosso e impetuoso, gorghi di sofferenza ma, contemporaneamente, anche di speranza. Durante la sua vita, pure felice di madre e moglie, la relazione difficile con il padre resta infatti in un angolo dell’anima, fronte di lotta per mantenere la serenità propria e della sua famiglia. Quindi scrive: «Si stringe le mani. Si guarda allo specchio… C’è qualcosa che non gli ho detto. Ti voglio bene. Lui m’appartiene. Io sono sangue del suo. E nel mio specchio. Nel mio riflesso. A volte lo riconosco. Nascosto tra le montagne insormontabili. Dei miei occhi scuri. Nella mia vita. Non è mai stato uomo presente. Adesso io sono assente dalla sua. Non è questo. Quel che avrei voluto vivere… Ha una mia foto sul comodino. A volte è ancora un bambino Che ha bisogno d’affetto… Come me» (p. 22).

Alessia come molti di noi nati negli anni Settanta è portata, molto più spesso che per quanto accadeva negli uomini e nelle donne delle generazioni passate, a guardare dentro sé stessa e, forse per questo, ha iniziato a scrivere poesie fin da quando era bambina. La sua esperienza personale e familiare, apprendiamo dai suoi versi, è un momento ritornante di intima relazione con sé stessa e con la propria anima. Un cammino che non può essere tradotto in concetti logici e che, per quanto possibile, questo libro cerca di comunicare agli altri. Spesso i testi non possono avvalersi del linguaggio corrente, inadeguato ad esprimere l’inesprimibile, ma deve necessariamente ricorrere al linguaggio evocativo e simbolico della poesia. Gli riesce bene.