Somalia connection / Dc, pci, psi: 30 anni d’affari

Siad_Barre

Siad Barre (a destra) con Bettino Craxi

La Stampa 4 gennaio 1991

Barre junior cerca i vecchi amici a Roma

Filippo Ceccarelli

E così, mentre a Mogadiscio infuria la battaglia, il generale Mashla, figlio prediletto di Siad e di Khadigia, l’ex infermiera responsabile della gestione dei servizi segreti, viene in Italia e presenta il conto. Rinchiuso in un misterioso «albergo romano», questo 41 enne che ha fatto fortuna alla guida dell’azienda di costruzioni delle forze armate somale chiede aiuto agli amici italiani, fino a ieri numerosissimi. Industriali, uomini politici. Ma, dato che non è uno sprovveduto, non dice quali.

Mashla si rende conto perfettamente di essere diventato, nel giro di qualche giorno, il figlio di un tiranno sanguinario sull’orlo del baratro. E avrà qualche problema in più, oggi, a contattare i potenti amici di un tempo, ricordare i giorni felici, le dichiarazioni impegnative, l’ospitalità, le spiagge dorate, gli affari.

E’ diventato ingombrante per molti lo storico sodalizio italo-somalo. Tutta sbagliata, con il senno di poi, la politica del governo nei confronti di Mogadiscio. Troppo generosa, a essere buoni, e senza risultati. Furbizia diplomatica e business spregiudicato, senza nessuna preoccupazione per i massacri che Siad organizzava a casa sua. E già fioccano le interrogazioni e le interpellanze: il senatore comunista Giuseppe Boffa, il dc di sinistra Domenico Rosati, i verdi, i missini, che vogliono sapere di quell’ultima regalia (10 miliardi) concessa a Siad Barre appena due mesi fa attraverso la legge speciale sul Golfo. Dibattito parlamentare al più presto, promettono i presidenti delle commissioni Esteri di Camera e Senato.

Sdegno, preoccupazioni. Eppure, anche se oggi sarebbe comodo, dimenticare tutto, negli ultimi 30 anni una buona fetta del mondo politico italiano ha sostenuto, e spesso coccolato i leader somali e soprattutto questo dittatore in bilico. Dalla dc al pci al psi, fino all’ex deputato missino Stefano Menicacci, che organizzava liste di pensionati e cacciatori e prometteva interviste a Siad Barre. Terra di conquista e di lusinghe (ora un po’ compromettenti), la Somalia, per i maggiori partiti italiani. E non sempre per nobili ragioni umanitarie o di politica estera. Come spiegare altrimenti i telegrammi di felicitazioni delle massime autorità (democristiane) dello Stato dopo l’elezione plebiscitaria di Siad, trascurando il piccolo particolare che il candidato non aveva concorrenti?

«Il messaggio inviato da Berlinguer per il VI anniversario della rivoluzione – diceva quello – mi ha commosso». E qualche anno dopo era Craxi a lodare la «saggezza» di Siad nella prefazione di un libro, «Somalia 81», che è un’agiografia in forma d’intervista firmata per Sugarco dall’attuale sindaco socialista di Milano Paolo Pillitteri, già presidente della camera del commercio italo-somalo. Prezioso docu­mento in cui il boss di Mogadiscio è indicato come «coraggioso punto di riferimento per l’Europa».

Innamoramenti, auguri, complimenti, carri armati e villaggi turistici oltre a migliaia di miliardi gettati al vento caldo del Corno d’Africa con la scusa degli aiuti per la cooperazione. Tra i partiti italiani, sia pure in momenti diversi, sono in pochi quelli che hanno la coscienza a posto. Non ce l’hanno i ministri e i presidenti democristiani che guidarono il processo d’indipendenza ed ebbero il monopolio dei rapporti con la Somalia in una prima fase, quella che precede la rivoluzione (1969) di Siad Barre. Relazioni improntate secondo schemi paternalistici, nessun piano economico, in­differenza alla questione dei confini con l’Etiopia.

Ogni tanto parte un sottosegretario che visita i centri più importanti, s’intrattiene con i notabili, distribuisce ai più fedeli corani e medaglie, promette e non mantiene. Nel 1963 gli italiani si ricordano di questa lontana «ex colonia» grazie allo scandalo, tutto dc, delle banane. Lo denuncia Ernesto Rossi ed è una storia intricata di concessioni e aumenti delle quote di esportazione da parte dell’azienda che ha il monopolio. Morale, le banane che arrivano in Italia costano troppo e sono cattive: i politici dc ci fanno la cresta e si pagano le campagne elettorali.

Quando Siad prende il potere, la dc, con Moro ministro degli Esteri, riconosce subito il nuovo governo rivoluzionario e spera di sostituire gli interlocutori. Ma non accade. La seconda fase, che va dai primissimi anni Settanta al 1978, segnala l’infatuazione, quasi una sbornia ideologica, del pci per il nuovo regime che statalizza le scuole e nazionalizza alcune aziende italiane.

Il pioniere della scoperta comunista della Somalia è il musicologo (oggi vicino ad Armando Cossutta) Luigi Pestalozza, che viaggia in largo e in lungo, entra in relazione con i nuovi dirigenti e scrive un libro, «Somalia, cronaca di una rivoluzione», definito dallo storico Angelo Del Boca nel suo «Gli italiani in Africa orientale» «una miniera di informazioni e un atto di fede» nei confronti di Siad. Sono anni di «straordinario, irresistibile sviluppo di rapporti» tra Mogadiscio e le Botteghe Oscure, sempre più interessate al socialismo arabo.

Da Roma partono dirigenti a getto continuo: Giancarlo Pajetta, Pietro Secchia, Giuseppe D’Alema, Gianni Giadresco. I messaggi di Berlinguer sono a dir poco calorosi e – come si è visto – commuovono addirittura il dittatore: «Vi auguriamo nuovi successi in questa elevata opera di progresso e di giustizia…». Naturalmente, dopo i politici, partono anche dirigenti delle cooperative, della Cmc di Ravenna mentre l’Italturist si aggiudica per cinque anni l’esclusiva della Somalia.

I socialisti, allora, sono scettici, se non diffidenti. Non gli piace la spregiudicatezza con cui Barre si sbarazza – già in quei primi anni – dei propri oppositori. La dc, invece, non ha di questi problemi. Intravede pericoli di concorrenza e tenta un recupero potenziando l’università di Mogadiscio. Se ne occupa il sottosegretario bresciano Mario Pedini, convinto terzomondista, detto «Buana Mario» per l’abilità con cui tratta con i dirigenti africani.

Il semi-monopolio comunista termina con il conflitto (1977) tra Somalia ed Etiopia, altro stato «socialista», altrettanto amico del pci. Con chi stare? Imbarazzo alle Botteghe Oscure, documentati da un viaggio e da un articolo di Occhetto, che fra l’altro era sposato con una somala, sulla «lotta fratricida». Poi, sia pure con prudenza e rituali dichiarazioni a favore di soluzioni pacifiche, il pci si schiera con Menghistu.

Siad Barre si sente scaricato, anche dall’Urss. Cambia politica, si sposta nel campo occidentale: all’inizio degli anni Ottanta nei rapporti tra la politica italiana e la Somalia sta per aprirsi la terza e ultima fase. Che si connota secondo un’impostazione quasi spartitoria: alla dc tocca Addis Abeba, al psi craxiano Mogadiscio, annessi e connessi.

Così, nel 1980, Claudio Martelli è sulle spiagge somale, ospite dell’ideologo della rivoluzione Mahamed Aden Seek. Sono svanite le antiche riserve del psi sulle violazioni delle libertà del regime. C’è, piuttosto, una legge italiana che assegna alla cooperazione fondi consistenti. Dopo i democristiani e i comunisti è l’ora dei commessi viaggiatori del psi: Margherita Boniver, Roberto Palleschi, Lelio Lagorio, in crociera promozionale come ministro della Difesa, Francesco Forte, responsabile del Fai, nominato cittadino onorario. Il presidente del Consiglio Bettino Craxi parte nel 1985 ed è salutato trionfalmente da 19 salve di cannone.

Siad Barre si affida ai socialisti per la selezione degli affari e degli investimenti. Questi ricambiano canalizzando verso la Somalia un fiume di miliardi. Non è esattamente una storia edificante. Alla resa dei conti gli aiuti italiani non servono ad alleviare la disastrosa situazione economica di una nazione tra le più povere del mondo. Strade inutili, impianti industriali che non decollano, bonifiche irrealizzate, pescherecci che non vengono usati. Oppure mezzi di trasporto che Siad Barre ricicla come strumenti di guerra (anche civile). C’è un forte odore di garofani negli ultimi rapporti politici e commerciali tra Italia e Somalia.

Lo stilista Trussardi pare interessato a una conceria vicino a Mogadiscio, l’architetto Paolo Portoghesi è lì lì per curare il piano regolatore della capitale (ma all’ultimo momento la spunta un architetto di area dc). E l’imprenditore turistico Franco Rosso confessa candidamente di aver puntato su quel paese su invito di Craxi che gli ha detto: «Bisogna incominciare a pensare un po’ alla Somalia…».

Trent’anni di relazioni. Il paternalismo de, la cotta ideologica comunista, l’attivismo economico del psi. Oggi la guerriglia che infuria a Mogadiscio. Tutto inutile, o peggio.

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