Perché lo Stato riconosca il principio di sussidiarietà e abbandoni lo statalismo

famigliaAvvenire 29 febbraio 2008

La sussidiarietà ci rende protagonisti

di Giacomo Samek Lodovici

«Deduzioni ex ante o politiche di assistenza familiare ex post: nessuna differenza se il risultato è lo stesso»: falso! C’è chi muove quest’obiezione all’importante iniziativa del Forum delle famiglie, che ha organizzato per domenica 2 marzo una raccolta di firme in tutta Italia per promuovere un fisco equo, che riconosca il contributo (che è fornito anzitutto dai figli) della famiglia al bene comune, per esempio mediante delle deduzioni (dal reddito imponibile) proporzionate alla spesa sostenuta per il mantenimento dei figli.

Ora, ammettiamo pure, cosa che non succede quasi mai, che una famiglia che non ha potuto risparmiare ex ante (nel momento del pagamento delle imposte) la cifra X, grazie a delle deduzioni dal reddito imponibile, riceva dallo Stato ex post la stessa cifra. Il risultato sarebbe lo stesso dal punto di vista economico; ma dal punto di vista dell’antropologia e della filosofia politica soggiacenti resterebbe profondamente diverso.

Con le deduzioni, infatti, lo Stato riconosce alla famiglia un ruolo di protagonista della vita sociale e attua il principio di sussidiarietà. Quest’ultimo dice che lo Stato deve lasciare al singolo e alle comunità intermedie il maggior livello possibile di libertà di iniziativa (purché questa non leda gli altri); deve intervenire in loro aiuto quando essi non sono in grado, o sono in grado solo in parte, di svolgere alcuni compiti (per esempio, poiché le persone non possono difendersi da sole, lo Stato gestisce l’ordine pubblico).

Questo principio, in primo luogo, valorizza la libertà delle singole persone e dei corpi sociali, aiutandoli ad essere protagonisti. Le deduzioni, così, danno subito ai genitori le risorse corrispondenti a ciò che hanno speso per il mantenimento dei figli, e riconoscono loro un significativo grado di sovranità. Lo Stato, infatti, deve porsi al servizio delle persone e predisporre per loro le condizioni per crescere nella responsabilità e nella creatività. Un buon padre insegna al figlio a diventare gradualmente autonomo, a gestire la sua vita, ad attivare e ad affinare le sue capacità.

La negazione del principio di sussidiarietà è lo statalismo, l’invadenza dello Stato che avoca a sé quasi tutti i compiti, riscuote delle tasse molto alte e, poi, dispensa delle provvidenze. Un po’ come un padre che fa tutto al posto del figlio e/o lo tiene continuamente sotto tutela, non lo incoraggia ad esprimere le sue capacità, prende il suo stipendio e poi glielo restituisce a sua discrezione.

In secondo luogo, l’applicazione del principio di sussidiarietà (da coniugare con quello di solidarietà) va a beneficio dello Stato stesso, perché una società è tanto meglio organizzata quanto più le attività sono svolte dai corpi intermedi, giacché – come dice I. Simon – «c’è più perfezione in un insieme le cui parti tutte quante sono piene di vita e di iniziativa, che in un insieme le cui parti tutte non sono che strumenti attraversati dall’iniziativa degli organi superiori della comunità».