Te la do’ io la partecipazione

partecipareItaliani. Rivista che ignora il politicamente corretto n. 175- del 10 dicembre 2015

 di Luigi Fressoia

(archifress@tiscali.it)

Non ho incontrato parola più violenta di questa, Partecipazione, trappola morale e scrigno di infinite nequizie. Si spaccia per virtù volendo sottintendere l’obbligo a praticarla, ma siccome è praticamente impossibile poiché contro natura, ne nasce un senso di colpa che è la più grande ricchezza regalata ai violentatori e profittatori della società. I quali per intima gioia a questo punto ti perdonano con un buffetto la mancata Partecipazione.

“…Pazienza…” sembrano dire, “…saremo costretti a fare in pochi….”, come se la soluzione fosse essere in molti. E’ ovvio invece che felice è quella società che non ha bisogno di soverchie regole e dispute per scriverle e riscriverle, bensì vive bene del senso comune che la pervade o common sense, tanto che gli amici inglesi non hanno neanche bisogno di una Costituzione.

Ovvio che ogni tempo versato a discutere regole è tempo sottratto ad attività ben più gratificanti e produttive, quelle che ognuno di noi sceglie per hobby, per lavoro, per cultura, per svago. Ovvio che quando i barbari premono alle porte bisogna agire e organizzarsi a dovere per partecipare alle difese, ma questo è l’inevitabile tempo d’eccezione nella vita di una persona o di un popolo, e certo non può diventare tempo ordinario. Dover tramutare in ordinario ciò che di natura vuole essere eccezione, è la consumazione del delitto.

La violenza sopraffina e nascosta della Partecipazione, vera chicca che ne fa un principio del Male, è quel suo dovere implicato, che regala immediatamente ai nemici un vantaggio subito incolmabile poiché di natura morale. Chi lavora del suo o pure pratica uno sport o un hobby, chi osserva bene il crescere della propria famiglia, sa quanta dedizione e attenzione e tempo richiedono, a fronte di che il tempo versato in Partecipazione diventa subito una mancanza, una sofferenza, una privazione.

E’ un dissidio naturale che una buona politica lenirebbe tendendo verso poche regole universali, qui invece si va in direzione opposta, un mare di parole e regole, un moto legislativo perenne che nella incomprimibile complessità del mondo cerca la propria subdola legittimazione. Sicché a fronte del dissidio naturale e artatamente gonfiato, il buon cittadino tace e subisce, subisce soprusi infiniti tacendo.

V’è riprova della truffa appena il malcapitato si provasse davvero ad ubbidire e Partecipare. Si accorge subito che la complessità è tale che non basta una riunione o un dopocena, bensì servirebbe molto di più, a ben vedere non basterebbe una vita. Si accorge che la complessità, nel mentre lo risucchia, rende la sua Partecipazione un alibi a scelte che ben altri fanno. Come ogni cosa mefistofelica anche questa è biforcuta e all’uomo avveduto pone subito l’evidenza di un bivio: o torno a casa oppure entro così bene dentro la Partecipazione da farne parte o tutto del mio mestiere.

Ma questa seconda ipotesi non disturba i padroni che sanno bene quanto di risorse a disposizione ce n’è in abbondanza, anzi, crescono in ragione della sofisticatezza degli universi della Partecipazione, poiché ogni persona che si rende preparata alla Partecipazione è un mattone in più all’edificio degli oppressori contro il popolo bue che lavora e paga, paga e lavora necessariamente lontano dalla Partecipazione perché se partecipasse non avrebbe tempo di lavorare.

I padrini della Politica cioè i padroni della società benedicono e invitano sempre alla Partecipazione tanto sanno che è impossibile. Perché, che lo sappiamo o no, la stragrande parte degli umani ama la libertà cioè curare i propri personali interessi, mentre Partecipare toglie la libertà dentro anche qualora consenta arricchimenti. Il popolo ha un istinto di vita, non di morte, ma questo istinto di libertà lo paga caro: è la colpa della mancata Partecipazione il pretesto per istituzioni, regole e apparati sempre crescenti e opprimenti, fagocitanti.

Il mito della Partecipazione chiude l’uomo libero in trappola, se non si associa alle cosche di potere -molto Partecipative- finisce schiavo. Così e non diversamente sono riusciti a far sparire il famoso ceto medio, quello che Don Sturzo chiamava il libero cittadino. Addirittura il mito della Partecipazione non ha vergogna ad appalesarsi in contraddizioni così sfacciate che il cittadino medio nella sua innocenza non può spiegarsi e le risolve con lo stesso atteggiamento che a scuola aveva verso la matematica o le materie difficili: non fanno per me, è colpa mia, mi occuperò di qualcos’altro e me la caverò lo stesso.

E’ successo a chi per esempio nel 1994 e seguenti provò a Partecipare ma dal lato sbagliato, per esempio aderendo a un Club o a un Circolo della Libertà, insomma commettendo l’errore madornale di non andare alla sola parte ben abilitata bensì di andare dove lo portava il cuore o la ragione o l’istinto o l’interesse. Mal gliene incolse, si ritrovò coperto d’improperi, servo, feccia, plagiato, insensibile, egoista, mafioso, fascista, ottuso. Ingenuo nel migliore dei casi.

Si nascosero tutti, quella parte sbagliata vinceva le elezioni ma a parole nessuno l’aveva votata. Violenza ad uno stato più puro non è possibile immaginare. In Europa e nord America non esiste nulla di simile. Il cittadino avveduto scopre pian piano che la Partecipazione aumenta a dismisura la gente che vive di lavoro altrui, ormai al 50%, che invece cent’anni fa non superava il 5%. Scopre che per mantenere i meccanismi vitali dei Partiti, la cosiddetta Partecipazione moltiplica le persone privilegiate da una assunzione non necessaria, da pensioni non maturate, da incarichi non indispensabili, da appalti gonfiati, riuniti tutti nella infinita e ormai invincibile classe sociale dei Parassiti.

Capisce che codesti meccanismi politici hanno piegato l’alta produttività contemporanea pur con tutte le sue corrazzate di scienza e tecnica, in una incredibile e mai vista prima Economia all’Incontrario, intere filiere e regioni che vivono di spreco, di distruzione di risorse, di finto lavoro, di inevitabile e conseguente disagio interiore. Aventi origine nel miraggio/dogma/colpa della Partecipazione o Democrazia Partecipativa come dicono quelli bravi assai.

Costa troppo e non porta a nulla di migliore: invero anche se addirittura non si votasse, scienza e tecnica andrebbero avanti come fecero nel medioevo nel rinascimento e in tutte le epoche, ora qui ora là. Il distinguo essenziale non è Partecipare o no, votare non votare (può succedere benissimo di ridursi a scegliere col voto solamente da quale cosca farsi spennare), bensì potersi sempre chiedere chi mantiene chi, chi mette denaro nello Stato e chi ne consuma.

Questa è la chiave santa che può semplificare tutte le complessità. Dobbiamo demolire pezzo a pezzo la Partecipazione denunciandone il mito, l’impostura, la 3 violenza e tornando a corpus giuridici e amministrativi basati sulla consuetudine, il buon senso, il diritto naturale; ridotti all’osso, asciutti, chiari, comprensibili a tutti e in ciò rispettabili e rispettati. L’uomo e la donna liberi non devono più sospettare che per vivere bene bisogna appoggiarsi tramite Partecipazione ai picciotti e alle galline della politica.

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