La legge naturale superata? No, dà sostanza ai diritti umani

legge_naturalein Avvenire, editoriale del 4 gennaio 2008

 di Giacomo Samek Lodovici

Nel corso di questo 2008 cade il 60o anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Ben prima del 10 dicembre, giorno in cui venne siglata, questa ricorrenza susciterà dibattiti, convegni e rievocazioni. Ora, è l’esistenza di simili diritti che può giustificare processi come quello di Norimberga (a prescindere dai loro, talvolta, discutibili svolgimenti). Ma qual è il fondamento dei diritti umani?

A quale titolo si può processare per crimini contro l’umanità chi (come fecero, per esempio, i nazisti), agisce secondo la legge del suo paese? Chi stabilisce quali sono i crimini contro l’umanità? La maggioranza? No, perché la maggioranza può avere torto: non dimentichiamo che Hitler è stato eletto democraticamente dai suoi connazionali, che conoscevano in gran parte le sue idee criminali.

Benedetto XVI ha insistito molte volte: il fondamento dei diritti umani risiede nella legge naturale, che è l’insieme di quei princîpi morali immutabili (non schiavizzare, non commettere atti pedofili, non assassinare, ecc.) che valgono per tutti gli uomini di tutti tempi. L’uomo è in grado con la sua ragione di apprendere questi princîpi, come testimonia una certa convergenza tra questi princîpi e il Codice babilonese di Hammurabi, o la ricorrenza di molti princîpi morali in culture molto diverse (cinese, indiana, cristiana, greca, sassone, norvegese, ecc.) che, per esempio, C.S. Lewis ha documentato (ne L’abolizione dell’uomo).

Non sempre però l’uomo riesce ad apprenderli: ad esempio, il mondo antico praticava la schiavitù senza remore. Ma anche se la maggioranza o un’intera cultura ritiene giusto, per esempio, sterminare un popolo (quello armeno, quello ebraico, ecc.), questi atti restano malvagi anche se ammessi dalle leggi di uno Stato. Come ha detto il Papa, “ogni ordinamento giuridico […] trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano” (13 febbraio 2007).

Ora, la legge naturale non è un tema dei  cristiani in quanto credenti, come talvolta si dice, tanto è vero che è stata trattata da autori non cristiani, come – per fare solo pochi esempi – Sofocle, Aristotele e Cicerone. La sua trattazione non è neanche solo classico-medievale, perché c’è una sua declinazione moderna, per esempio in Locke e (in un certo senso) in Kant.

Sappiamo bene che la teoria della legge naturale ha ricevuto molte critiche ed è poco condivisa. Di più, per Benedetto XVI, “spesso il dibattito internazionale […] pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale” (1 dicembre). Ma se una tale legge non esiste, come ha detto il Papa, “la norma giuridica […] resta in balia di fragili e provvisori consensi” (messaggio per il 1 gennaio 2008).

Le formulazioni esistenti della legge naturale potranno forse non soddisfarci ed essere magari bisognose di chiarimenti (a partire dalla nozione di “natura umana”, spesso travisata dai critici), ripensamenti o rigorizzazioni. Se le cose stanno così, sia questo il tema dei dibattiti nel corso di questi mesi. L’importante è che si sia consapevoli della necessità di rilanciarla, perché essa è “la vera garanzia offerta ad ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte” (5 ottobre).