Perché il gender uccide il corpo e annienta la realtà

genderLa Nuova bussola quotidiana

10 novembre 2015

 di Chiara Atzori

Passato il momentaccio, la Chiesa forse dovrà ringraziare Krzysztof Charamsa, il sacerdote che con un atto plateale ha dichiarato la sua omosessualità. A prescindere dal ben calcolato esito di clamore mediatico sul Sinodo, forse grazie al “monsignore gay” si potrà ricominciare a parlare di omosessualità, che nella sua versione di deriva ideologica e politica (omosessualismo) è uno dei pilastri della visione gender. Perché il tema della inclinazione omosessuale è il “non detto” che aleggia in tante sessioni, incontri e dibattiti sulla famiglia e sulla “teoria gender” in cui si affrontano le tematiche della relazione uomo donna, senza avere più chiari fondamenti antropologici di base. La persona umana non è un’astrazione teorica né un contenitore neutro di “preferenze” affettive o erotiche.

Love is love (l’amore è amore) è uno slogan mediaticamente vincente perché facile da ripetere e affettivamente rassicurante ma anche pericolosamente ambivalente per la sua capacità di incerottare e mummificare la riflessione vera sulle “buone” ed affettivamente “amabili” modalità di relazione tra gli esseri umani. Perché quello slogan semplicemente non tiene conto o meglio volutamente oscura le tante declinazioni non equivalenti che la parola amore può assumere: affetto, amicizia, eros e agape. Tutte espressioni dell’amore collegate all’umano, ma, appunto, non equivalenti né autorizzabili in tal senso come “amabili” in ogni tipo di relazione: banalmente l’espressione “love is amore”, ad esempio, può valere per normalizzare e rendere accettabili le relazioni erotiche tra adulti e bambini? Di quale amore stiamo parlando?

Tra lo slogan di parola e l’agire reale esiste un ponte che non è semplicemente un mezzo, ma siamo proprio noi, la nostra corporeità. Il corpo è una realtà che per la cultura neognostica odierna (talvolta anche intraecclesiale) rappresenta un “fastidioso mediatore sessuato” del quale si vorrebbe fare a meno. Ma l’amore per la verità e per il principio di realtà ci deve sostenere e dobbiamo continuare a percorrere il drammatico crinale che collega le pretese intellettuali di certa filosofia astratta e la deriva materialista e biologista di stampo gender che riduce il corpo a materiale disponibile e modificabile secondo le proprie preferenze, o lo subordina a presunta supremazia della “relazione” a prescindere dalla corporeità della persona stessa, come fa certa teologia.

Ogni essere umano è unitarietà bio-psicoculturale, sostanza individuale sessuata di natura razionale e relazionale, cioè creatura in grado di collegare cervello-cuore e area genitale sotto-ombelicale in una armonica comprensione di chi è. Una creatura, maschio o femmina che per sua natura non è obbligata, ma dotata della possibilità di collaborare a questa sintesi, nella libertà. Le preferenze (orientamenti) affettivi ed erotici, invece, non sono ontologici, sono situazioni, esiti, stati adattativi, cioè rappresentano per ciascuno l’inedito risultato di complesse interazioni tra la parte biologica (genetica, epigenetica, forma del corpo, interazione del corpo con l’ambiente), psicologica (internalizzazione e integrazione di esperienze sensoriali connotate da piacere o dolore, che necessariamente mediano ogni esperienza sensoriale e con quella coloritura “affettiva” vengono archiviate e ripescate dalla memoria), e culturale (effetti educativi, etnico-linguistici, simbolici, storicamente contrassegnati dai codici geografici e temporali in cui ciascuno vive).

Gli orientamenti (inclinazioni) non esauriscono la totalità della persona, che è e rimaneontologicamente differenziata solo in quanto uomo e donna. La sessualità inscritta nel corpo manifesta la traccia visibile del mistero della alterità nel modo più radicale, e nel contempo anche la vocazione alla generatività. Gesù in persona ci ha indicato la amabile “canalizzazione” (non la castrazione) della potenza inscritta nella differenza sessuale sia attraverso possibilità della verginità consacrata (maschile che femminile) sia attraverso il matrimonio, alleanza sponsale e luogo sacro e inviolabile per la trasmissione della vita. Gesù ci ha indicato il progetto di Dio sulla sessualità, «per questo l’uomo la donna lasceranno il padre e la madre e i due saranno una sola carne», non ci ha parlato di omosessualità. Gli eunuchi che nascono così (gli stati intersessuali?) o che tali diventano non hanno nulla a che fare con gli «eunuchi per il regno», e certamente nulla hanno da spartire con la richiesta di una normalizzazione dell’esercizio di una sessualità omoerotica, con buona pace dei gruppi che pretendono una benedizione sulle loro unioni tra persone dello stesso sesso.

Il buon senso oggi sembra smarrito anche laddove avrebbe dovuto crescere ìgrazie alle opportunità di approfonditi studi filosofici e teologici. O forse proprio a causa di “troppo” studio si è persa l’esperienza del reale e ci si è smarriti nei labirinti di un’emotività infantile ipertrofica, probabile argine riparativo per il permanere prolungato in una astrattezza troppo a lungo alienata da una sana relazione con il proprio e l’altrui corpo. Nessuno nasce gay, come purtroppo ancora anche qualche eminenza sembra credere e incautamente dichiara in pubblico. Gli esseri umani esistono come creature sessuate, cioè dotate di una differenza sostanziale, ontologica, che li vede maschi e femmine. Il corpo è il primo “segno” di questa unidualità misteriosa, un richiamo alla dimensione relazionale, necessità dell’altro per esistere, che rimanda al Mistero dell’Alterità radicale, della dipendenza da chi ci dona l’essere.

Ma senza filosofare troppo, vi è un “appoggio” necessario della parte psichica di cui si diventa gradualmente consapevoli, lo stesso pensiero è reso possibile solo e grazie ad un soma (corpo) che lo precede e lo struttura. E il soma (corpo) non è androgino, ma sessuato e strutturato differentemente come confini corporei (forma) e come cervello nel maschio e nella femmina. É impregnato differentemente in senso ormonale nei due sessi, è soggetto a una modulazione chimica differenziata su ogni cellula sia essa della periferia corporea piuttosto che costitutiva dell’organo più caratterizzante il profilo umano per eccellenza, il suo cervello. Un uomo, fosse pure monsignore o cardinale o re, che non ha integrato e armonizzato la differenza sessuale (inscritta nel corpo ed esemplificata nella differenza genitale) nella sua identità , non diventa per tale motivo “omosessuale” o “gay” ma semplicemente rimane un essere umano con una identità ferita dalla tendenza omosessuale.

Una persona che sta codificando il suo e l’altrui “corpo erotico” prescindendo (si sperainconsapevolmente) dalla realtà naturale oggettiva perché buchi e sporgenze del corpo hanno certamente un significato anche simbolico, ma rimangono tenacemente dotati di una loro realtà fattuale, organica e morfologica con cui bisogna fare i conti, prima o poi.Un ano o una bocca non sono vagine e peni, non sono genitali, e neppure “oggetti” a disposizione. Non si toglie valore alla persona con tendenza omosessuale, ma si deve poter dire che questa non ha ancora “integrato” il primato genitale nel suo processo di sessuazione psichica. Uomini e donne con tendenza omosessuale non sono giudicabili in quanto feriti e in realtà tutti lo siamo, in quanto creature umane, ma tutti dobbiamo assumerci la nostra responsabilità personale nel decidere a chi affidare la chiave di “lettura” della nostra identità sia pure “ferita”.

La chiamata “vocazionale” radicale, per ogni creatura umana è, infatti, decidere se collaborare a far fiorire ciò che si è ricevuto in dono come “essere”: uomini se maschi, donne se femmine. Tutto questo con il dovuto rispetto e delicatezza nei confronti di quegli individui che portano la drammatica e difficile prova delle patologie chiamate stati intersessuali, e che rappresentano un ambito totalmente distinto. La tendenza omosessuale non è, infatti, una malattia in senso biologico o organico, e neppure un “destino” o un innatismo. La fatica di crescere e di accettare di non essersi “dati” un corpo, ma di esistere in e in forza di un limite, il proprio corpo sessuato può essere affrontata con fiducia anche a fronte di percorsi relazionali e personali accidentati, se ci si affida al Signore, quello stesso Signore che nella Genesi ha detto, contemplando l’uomo e la donna da Lui creati, che erano «cosa molto buona».

Accettare la relazione uomo donna come unico luogo “santo” per l’esercizio della sessualità genitale, luogo santo di custodia dell’origine della vita, realtà voluta da Dio, indiscutibilmente è una posizione da creatura ragionevole, che ri-conosce di esistere come prezioso e misterioso dono, elargito come “bene-dizione” nel momento dell’incontro tra i “limiti” rappresentati dalla corporeità del corpo sessuato maschile e femminile.