Il gender, una questione politica e culturale

Marguerite Peeters

Marguerite Peeters

La Croce 18 novembre 2015

Lo afferma Marguerite Peeters, direttrice dell’Istituto interculturale “Dialogue Dynamics” di Bruxelles e tra i massimi studiosi mondiali di popolazione e famiglia nel suo ultimo libro (impreziosito dalla chiara prefazione del cardinale Robert Sarah)

di Giuseppe Brienza

Prima di “Fare e disfare il genere”, come la filosofa statunitense Judith Butler ha intitolato il suo recente saggio (edito da noi per “Mimesis” nel 2014), occorrerebbe comprenderne la storia e l’esatta definizione. In effetti la prospettiva del gender, che facilmente scivola nella relativa ideologia, si è imposta con l’inganno (cioè nell’ambiguità dei termini con i quali è stata proposta), alla Quarta Conferenza internazionale sulla Donna tenutasi a Pechino nel 1995. D’allora, come ha ben descritto Marguerite Peeters, direttrice dell’Istituto interculturale “Dialogue Dynamics” di Bruxelles e tra i massimi studiosi mondiali di popolazione e famiglia, nel suo volume “Il gender. Una questione politica e culturale” [Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, pp. 160, € 17,50], la dinamica del “genere” può essere assimilata alla nota formula di Renato Cartesio (1556-1650) “Procedo mascherato” (“larvatus prodeo”). Sta quindi a noi cercare di “smascherarla”.

Nel libro della Peeters, che è stato presentato l’anno scorso a Milano da Alleanza Cattolica e Obiettivo Chaire in collaborazione con Scienza & Vita e le Edizioni San Paolo ed è introdotto da una splendida prefazione del Card. Robert Sarah (pp. 5-13), viene illustrato con chiarezza il percorso storico di penetrazione di questa ideologia, che si è avvalsa dei movimenti nati con la rivoluzione culturale del Sessantotto, in particolare il femminismo e il movimento gay, ma è stata elaborata almeno un decennio prima nei laboratori di scienze umane specialmente anglosassoni. Questi hanno fornito una base pseudo-scientifica all’idea dell’irrilevanza del dato sessuale naturale, rispetto a quello soggettivo-culturale.

E’ precisamente a partire dal 1994 che questa ideologia comincia ad essere introdotta ufficialmente nell’agenda internazionale da proporre e in un certo senso imporre ai governi. In quell’anno si svolge a Il Cairo una delle tante conferenze internazionali organizzate dall’ONU, sul tema Popolazione sviluppo. L’idea fissa di quell’assemblea è di garantire il diritto all’aborto a tutte le donne, gratuito e assistito. Per ottenere questo scopo attraverso un lavorio diplomatico sui rappresentanti di tutte le delegazioni dei governi del mondo che partecipano a questi incontri vengono attivate delle vere e proprie “forze speciali”, composte soprattutto da donne, che esercitano una vera forma di pressione diplomatica per raggiungere lo scopo, appunto, di “sdoganare” l’aborto, cercando contestualmente di fargli «perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di “delitto” ed assumere paradossalmente quello del “diritto”», come denunciò nell’Evangelium Vitae (1995) San Giovanni Paolo II (n. 11).

Queste stesse “forze speciali” si ripresentano un anno dopo a Pechino, a una nuova Conferenza internazionale dell’ONU, questa volta dedicata espressamente al tema della donna. Il tema è finalmente chiamato con una nuova parola, “gender”, che viene misteriosamente sostituita a sesso, senza che, inizialmente, nessuno capisca il significato e la portata dell’iniziativa. Giocando sull’ambiguità del termine, sostenendo che sesso e genere significano la stessa cosa, si chiede di scrivere sempre gender invece di sesso nei documenti ufficiali. Così si sarebbe progressivamente ottenuto lo scopo di fare passare l’idea che quel che conta non è il sesso originario, ma il genere culturale, cioè l’orientamento sessuale scelto e praticato.

Gli interventi del Pontefice non riuscirono naturalmente a fermare lo tsunami dell’ideologia gender, che aveva l’appoggio di grandi forze economiche e finanziarie, dell’Onu, dell’amministrazione Clinton, della UE, e di tanti poteri forti, ma obbligò il progetto di egemonia ideologica a venire allo scoperto, suscitando così un po’ di reazioni preoccupate e significative.

Sono preoccupazioni anche politiche, per il futuro delle nazioni occidentali colpite da un suicidio demografico gravissimo e dai tanti attacchi che la famiglia subisce, all’interno e dall’esterno.

La sociologa statunitense Marguerite A. Peeters, che segue le iniziative politiche, culturali ed etiche della governance mondiale proprio dal 1994, dopo i primi due capitoli dedicati al problema (e “grimaldello”) delle traduzioni della parola “gender” e dell’emergere della relativa ideologia in Occidente, riassume nei cap. 3 e 4 intitolati, rispettivamente, “La prospettiva di genere: una norma politica mondiale” e “Una cultura mondiale per la parità dei sessi”, le varie dichiarazioni, pubblicazioni e iniziative delle maggiori istituzioni internazionali e di alcuni influenti personaggi che esprimono, attraverso il prisma dell’indifferenziazione sessuale, i tratti distintivi stessi dell’etica postmoderna. La distinzione biologica dei sessi e la famiglia tradizionale sono messe in discussione da assunti filosofici, da analisi sociologiche e da iniziative politiche che riflettono l’esigenza di garantire uguaglianza di diritti fra i sessi e interscambiabilità dei ruoli famigliari e personali, denuncia la Peeters nella sua “Analisi critica del gender” (cap. 5, pp. 106-122). Il tutto nel quadro di un’ideologia di marca universitaria che esercita una forte influenza sull’etica collettiva e che trova la sua amplificazione negli organi della comunicazione di massa.

Il volume “Il gender. Una questione politica e culturale” ricostruisce in modo chiaro e documentato la nascita dell’ideologia gender e del movimento “queer” (letteralmente significa “strano, bizzaro”, in pratica è sinonimo di “gay”) in Occidente. Concludendosi con un positivo capitolo su “Considerazioni pratiche e prospettive di speranza” (cap. 6, pp. 123-141), presenta in appendice 5 didattici “allegati” sui principali teorici e le figure più influenti del mondo del gender, oltre a parole-d’ordine e concetti necessari a fronteggiare quello che la Peeters definisce «l’immenso compito educativo che si apre davanti a noi» (p. 153).

Nella sua Prefazione il cardinale Robert Sarah, nuovo prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha evocativamente scritto a proposito del volume della sociologa statunitense: «Grazie: questa è la prima parola che è uscita dal mio cuore ed è affiorata sulle mie labbra leggendo questo libro. Marguerite A. Peeters ci offre un’analisi calma, precisa e rigorosa dell’ideologia gender, osservandone le origini, lo sviluppo in Occidente e le ambizioni normative mondiali. Secondo l’ideologia gender non esiste una differenza ontologica tra uomo e donna. L’identità maschile o femminile non sarebbe insita nella natura, nella realtà, ma sarebbe unicamente da attribuire alla cultura» (p. 5).

La Peeters mette in effetti in piena luce la gravità dell’errore che i Paesi occidentali stanno commettendo passando in mala fede dal rispetto dovuto alla dignità e ai diritti inalienabili di ciascun individuo, qualunque sia la sua condizione, all’istituzionalizzazione di politiche e costumi avversi al matrimonio e alla famiglia. «L’omosessualità – ribadisce infatti il card. Sarah – è un nonsenso nei confronti della vita coniugale e familiare» (p. 9).