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neonatologiaIl Foglio, 8 febbraio 2007

Per D’Agostino siamo al preludio di una “società dei sani” e questo deve farci paura

di Nicoletta Tiliacos

Roma _ Il professor Francesco D’Agostino, presidente emerito del Comitato nazionale di bioetica, dice al Foglio che ha molto ammirato la presa di posizione del presidente del Comitato consultivo di etica francese, Didier Sicard, contro la pratica della diagnosi prenatale di massa, che secondo lo studioso d’Oltralpe risponderebbe ormai a una logica chiaramente eugenetica: “L’ho ammirata perché è un ottimo esempio di bioetica autentica. Mi spiego. Oggi esistono due diverse impostazioni, di cui spesso gli stessi bioeti cisti non sono consapevoli. Per alcuni il compito della bioetica dovrebbe essere quello di ridurre lo shock culturale attivato da pratiche biomediche estreme e sempre più innovative in un’opinione pubblica vista come ‘primitiva’. Per costoro, la bioetica dovrebbe avere la funzione di tranquillizzare, di far digerire le nuove frontiere della ricerca.

C’è poi un’altra bioetica, che ha il coraggio di portare davanti al proprio tribunale quelle tecniche biomediche estreme e di giudicarle nella prospettiva del bene umano. Il giudizio può concludersi anche con un’assoluzione o addirittura con un plauso, come è avvenuto per i problemi sollevati dalla trapiantologia. Ma, in altri casi, la bioetica che fa davvero il proprio lavoro, vale a dire la bioetica critica e non giutificativa, può arrivare a concludere che certe pratiche (come quella di cui parla Sicard nell’intervista sul Monde, ma anche le recenti prospettive di ibridazione uomo-animale) non siano accettabili”.

E’ questo lavoro critico, secondo il professor D’Agostino, “a giustificare l’esistenza stessa dei comita ti di bioetica. I quali sono lì a ricordare che gli scienziati sono attori sociali e devono ri spondere alla società di quello che fanno. Mai banalizzare la ricerca scientifica come se fosse sempre e automaticamente nel segno del bene”.

A giudizio di D’Agostino, poi, “in questa occasione Sicard ha colto nel segno, quando ha visto nella pratica generalizzata della diagnosi prenatale una delle forme di implosione del rapporto tra individuo e società. Perché mai come ora la società ha preteso di arrogarsi il diritto di controllare la ‘qualità’ degli individui che vengono al mondo”. Si tratta, aggiunge, “di un fatto assolutamente nuovo, per il quale è inutile cercare analogie con quanto avveniva nell’antichità. Ammesso e non concesso che fosse un fatto banale buttare i neonati deformi dal Taigeto e dalla rupe Tarpea, il significato di quelle pratiche era radicalmente diverso. Quei bambini erano visti come portatori di uno stigma divino che li aveva già condannati. Agli uomini non rimaneva che interpretare i segnali divini ed eseguirli”.

Oggi, invece, nella nostra società compiutamente secolarizzata, “la logica dell’esclusione che porta a eliminare prima della nascita gli individui ritenuti ‘difettosi’ è di tipo freddamente e cinicamente utilitaristico. In questo senso è un fenomeno che va valutato nella sua radicale novità”.

D’Agostino pensa anche che la situa zione descritta da Sicard per la Francia non sia “affatto lontana da quella italiana. Da anni il grande genetista Bruno Dallapiccola non si stanca di criticare, piuttosto inascoltato, il moltiplicarsi dei test genetici prenatali. Ne denuncia la perdurante inaffidabilità e la rischiosità altissima per donne e nascituri, ma soprattutto dimostra che nella stragrande maggioranza dei casi non c’è una vera indicazione medica, che si giustifica soltanto in vista di una diagnosi, di una prognosi e di una terapia”.

Bene fa Sicard, dunque, “a parlare di una società eugenetica. Gli danno ragione le teorie di alcuni bioeticisti estremi, come Maurizio Mori. Il quale ha pubblicamente sostenuto che nessuno può impedire a una coppia di mettere al mondo un bambino handicappato, ma che gli oneri sanitari per la sua assistenza non dovrebbero mai essere scaricati sullo stato. Il quale, nel momento in cui mette a disposizione l’aborto, ha il diritto di lavarsene le mani. E’ il preludio di una spaventosa società dei sani: una prospettiva di cui dovremmo avere tutti molta paura”.

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