“Nato da santi genitori”. Il racconto al sinodo di padre Piero Gheddo

gheddoSettimo Cielo, blog di Alessandro Magister

12 ottobre 2015

Nel calendario del sinodo sulla famiglia sono in programma anche delle canonizzazioni. Domenica 18 ottobre papa Francesco proclamerà santi due sposi: Ludovico Martin a Maria Azelia Guérin, il papà e la mamma di santa Teresa del Bambino Gesù, al secolo Thérèse Françoise Marie Martin.

Nascere e crescere in una famiglia con i genitori santi non è un’esperienza così rara, né fuori dall’ordinario, se si ascolta cosa racconta dei suoi genitori padre Piero Gheddo, “storico” missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere.

Per il suo papà e la sua mamma, Giovanni Gheddo (1900-1942) e Rosetta Franzi (1902-1934), la congregazione per le cause dei santi ha dato il nulla osta per il processo di beatificazione, che è iniziato nella diocesi di Vercelli, nella quale sono vissuti.

Ma lasciamo la parola al loro figlio Piero, che non sarebbe diventato quello che è senza genitori così meravigliosi. Perché davvero questa sua testimonianza è un magnifico contributo al sinodo sulla famiglia.

È BELLO ESSERE FIGLIO DI SANTI GENITORI

di Piero Gheddo

È in corso il sinodo sulla famiglia e invito gli amici lettori a pregare per questa importante celebrazione della Chiesa cattolica. Desidero solo raccontare la mia esperienza di essere nato da santi genitori, che ha reso serena e anche gioiosa la vita mia e dei miei fratelli.

In noi bambini la fede è entrata naturalmente come la lingua italiana, Rosetta e Giovanni, la mamma e il papà, erano davvero autentici credenti e imitatori di Gesù Cristo. Uno dei più bei ricordi che ho di loro è quando alla sera dopo cena si diceva assieme il rosario seduti attorno al tavolo della cucina e noi bambini eravamo aiutati da mamma e papà a recitare l’Ave Maria e a tenere le mani giunte. E poco dopo ci portavano a letto. Nella camera matrimoniale c’era un bel quadro di Maria col piccolo Gesù in braccio, ci inginocchiavamo tutti davanti a quel quadro e recitavamo assieme le preghiere della sera.

Rosetta e Giovanni si erano sposati per amore, volevano dodici figli – uno più della nonna Anna! – anche se vivevano in una situazione economica precaria. Si fidavano della provvidenza di Dio! Il loro amore era saldo come una roccia perché fondato su Dio. Erano “sposi per sempre”. Giovanni ha perso Rosetta a 34 anni  – quando lei ne aveva 32 – e le è rimasto fedele, anche se nel nostro paesino di Tronzano, dove era un personaggio stimatissimo anche come presidente dell’Azione cattolica dei giovani, aveva tante occasioni di risposarsi. Ma diceva: “Ho voluto tanto bene a Rosetta, che non potrei più voler bene così a un’altra donna”.

Il 26 ottobre 1934 mamma Rosetta muore di polmonite e di parto con due gemelli di sette mesi, morti anche loro con lei. Papà Giovanni e noi tre bambini ci siamo uniti alla famiglia della nonna Anna e della zia Adelaide, sorella maggiore di papà e direttrice didattica delle scuole di Tronzano. Papà era un geometra e durante il giorno lavorava molto, visitando in bicicletta le cascine e i paesi vicini, ma al mattino si svegliava alle cinque, per portarci alla prima messa in parrocchia, che era alle sei. Ricordo che papà era in coro dietro all’altare, io servivo la messa ed ero incaricato, se lui non arrivava quando il sacerdote distribuiva la comunione, di andare a chiamarlo, e qualche volta papà dormiva!

Caro papà, lavoravi tutto il giorno e alla sera stavi alzato fino alle 22-23 per fare i conti e disegnare i tuoi lavori. Ma al mattino montavi la sveglia per non perdere la messa, pur di portarvi i tuoi bambini! Sono questi gli esempi che rimangono vivi nella nostra memoria di figli e ci educano ancora alla fede e alla vita cristiana.

I nostri genitori si aprivano al prossimo. La mamma, maestra elementare, da ragazza si dedicava gratuitamente ai bambini nell’asilo e nella scuola elementare e alla sera faceva scuola agli analfabeti adulti. Educava noi bambini a distribuire metà dei doni di Gesù Bambino ai ragazzini che abitavano vicini a noi e non avevano parenti benestanti, come il papà e le sorelle di mamma Rosetta. La nostra casa era aperta ai poveri, a volte invitati a pranzo.

Papà Giovanni era chiamato “il paciere”, perché quando c’era un contrasto tra famiglie chiamavano lui che sapeva parlare di pace e di perdono ed era convincente. Non aveva nessun incarico ufficiale, ma metteva d’accordo famiglie divise facendole pregare assieme e risolvendo i loro problemi nelle eredità di case e terreni. Era chiamato anche “il geometra dei poveri”, perché faceva gratis o per poco le sue prestazioni per i poveri e per l’asilo delle suore.

Mamma Rosetta e papà Giovanni ci hanno trasmesso una grande fiducia in Dio, nel suo amore e provvidenza. Ricordo bene che papà ripeteva spesso a noi tre ragazzini: “Dovete volervi bene e andare sempre d’accordo”. Espressioni che  ripetevano spesso: “La cosa più importante è fare la volontà di Dio” (mamma Rosetta), “Siamo sempre nelle mani di Dio” (Giovanni). Sul letto di morte, al marito che le diceva: “Se guarisci, faremo in altra maniera perché tutti questi figli ti hanno indebolita”, Rosetta ripeteva diverse volte: “Giovanni, faremo sempre la volontà di Dio”.

Certo papà ha sofferto moltissimo per la morte prematura della mamma (il loro matrimonio è durato solo sei anni, dal 1928 al 1934, ma aveva un carattere che educava anche senza parlare. Era sempre sereno, gioioso, aperto agli altri, sapeva giocare con noi ragazzini e alla sera dopo cena, finito il rosario in famiglia, ci chiedeva, uno per uno, come avevamo passato la giornata, la scuola, l‘oratorio, gli amici frequentati.

Nelle lettere dalla Russia, dove era stato durante la guerra, non era mai triste o scoraggiato, ma pieno della speranza di poter tornare a casa, in quelle situazioni tragiche, a 20-30 gradi sotto zero e sotto le bombe. Ma lui scriveva che era un freddo secco e si sopportava bene! Non avrebbe dovuto andare in guerra perché vedovo e padre di tre figli minorenni, ma l’hanno mandato in prima linea in Russia perché non si era mai iscritto al partito fascista, non partecipava alle manifestazioni patriottiche e aiutava i perseguitati del regime trovando loro un lavoro.

Chiuse la sua vita con un gesto che ricorda quello di San Massimiliano Kolbe ad Auschwitz: rimase tra i feriti intrasportabili consentendo di tornare a casa al suo sottotenente più giovane. Offrì la sua vita per lui, poi diventato due volte sindaco democristiano di Vercelli.

Rosetta e Giovanni dimostrano che si può vivere il Vangelo in una vita come quella di tutti, ma vissuta in modo straordinario. Tutti i credenti in Cristo sono chiamati alla santità, cioè all’imitazione di Cristo nella normale vita quotidiana. “Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione” scriveva san Paolo ai cristiani di Tessalonica (1 Ts 4, 3).

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