Tripartizioni [o l’essenza del Capitalismo – n.d.r.]

capitalismoItaliani. Rivista che ignora il politicamente corretto n. 123- del 19 Settembre 2015

di Luigi Fressoia

(archifress@tiscali.it)

E’ universale lo schema mentale secondo cui Comunismo e Capitalismo sono due estremi da rifuggire mentre la Virtù siederebbe in mezzo. Papi, capi di stato e figure intermedie della politica condividono questa tripartizione e la ribadiscono di continuo. Ma è un abbaglio.

L’errore è indotto dal non definire bene cosa siano Comunismo e Capitalismo (e neanche la Virtù almeno in politica), ove il primo in verità è ben noto nei suoi caratteri teorici e pratici, mentre il nodo è nel secondo: cosa intendiamo per Capitalismo? Un’azienda con tre, trenta, trecento o tremila dipendenti che paga stipendi e al caso fuoribusta, paga le tasse che lo Stato chiede, paga fornitori e collaboratori, accumula e investe, incassa dal consenso dei consumatori, fa profitto in godimento del proprietario o spartito tra soci o azionisti, è Capitalismo o no?

Certamente è Capitalismo, e veramente le aziende sono così sennò non sono vere aziende. Capitalismo è quindi parola con accezione positiva o negativa? Se Capitalismo è sinonimo di egoismo, insensibilità, sfruttamento, violenza, estorsione, prepotenza, come comporre la questione?

E’ o non è il cosiddetto Capitalismo una società aperta di libera intrapresa, di libero scambio e libero consumo plasmata dall’egemonia borghese dopo aver soppiantato le società nobiliari dell’antichità?

Era o non era già presente in tutte le civiltà questa propensione istintiva e naturale degli umani a inventare, produrre e vendere i propri servigi e prodotti, solo che solamente con le rivoluzioni borghesi essa propensione ha conquistato l’egemonia politica in molte società europee e poi pel vasto mondo?

Sono o non sono i cosiddetti borghesi dei popolani dediti all’intrapresa e ai commerci, in tal modo diventati più ricchi degli altri popolani -sempreché non inciampino in fallimenti e tracolli?

E’ o non è questa la ragione della ricchezza d’Occidente molte volte superiore alle regioni del mondo ove l’affermazione del popolano/borghese non è potuta avvenire? Come dunque basarsi su una tripartizione così malamente fondata?

Ancora peggio: è evidente che il cosiddetto Capitalismo non è un estremo da scongiurare bensì è la naturalità del comportamento umano e dei rapporti umani, poiché è degli umani – qualora liberi – seguire costantemente sotto ogni cielo e in ogni epoca tre stelle polari: accumulare-investire-espandersi in vista del miglioramento constante della propria condizione, per sé, per i propri cari, per le proprie comunità. In forza dell’amor proprio che cerca appagamento e sicurezza per il futuro.

Tre azioni che sono esattamente il tratto distintivo del cosiddetto Capitalismo: accumulare, investire, espandersi: il contadino semina un quintale per ottenerne tre o trenta o trecento, il bambino dice “io sono grande”, “quando ero piccolo”, “io divento grande”; anche il segretario della sezione comunista sognava di aumentare iscritti e voti…

Non per caso il cosiddetto Capitalismo si insedia o matura da solo lungo i sentieri della vita dei singoli e dei popoli lungo il dato naturale che le persone desiderano ciò che piace e non comprano ciò che non piace, base naturale di ogni economia che sia libera e non disumana; non appena cade un regime che voleva conculcarlo, esso torna in auge senza decreti, magari nelle forme più primitive e rozze indotte dalla innaturale prolungata proibizione, e indotte dalla intrinseca rozzezza delle società che pretendono di conculcare una simile libertà basilare, come è stato nei paesi d’oltre cortina dopo l’89: un Capitalismo ben diverso da quello sedimentato nell’Europa occidentale, temperato dalla cultura che proviene dal prolungato libero gioco-confronto-scontro di interessi legittimi diversi, di cui si sostanzia una società cosiddetta Capitalista ovvero aperta e libera.

Quella propensione naturale al miglioramento costante della propria condizione può essere perseguita in tanti modi, infiniti modi, può procedere sorretta da una determinazione che non esita a sconfinare in cinismo, insensibilità, prepotenza, sfruttamento, violenza, oppure può procedere sorretta da una sensibilità e intelligenza del cuore che peraltro si rivelano il migliore investimento per ulteriori e migliori guadagni.

Sta il fatto che qualunque sia il comportamento del padrone di un’azienda (un singolo imprenditore, una comunità di azionisti o una cooperativa) nei confronti dei dipendenti e dell’insieme della società, la naturalità del Capitalismo è nel necessario e indispensabile conseguimento del profitto, differenza attiva tra costi e ricavi, senza di che l’azienda muore e il lavoro svanisce, esattamente come le formiche che devono mangiare almeno un po’ più di quel che consumano camminando e vivendo, sennò stramazzano in terra.

Sta il fatto che qualunque sia il comportamento del padrone (un singolo, una comunità di azionisti o una cooperativa) nei confronti dei dipendenti e dell’insieme della società, l’incancellabile dato di fondo che le persone desiderano ciò che piace e non comprano ciò che non piace, rende naturalmente necessaria la massima cura nella coltivazione del binomio impresa-profitto strumenti base del Capitalismo, che dunque non può essere combattuto, cancellato, eliminato, pena cancellare tratti inalienabili della persona e dei popoli.

Può essere affiancato/sorretto/sostanziato da azioni belle o brutte, buone o cattive, ma esso rimane intatto nel suo carattere essenziale e irrinunciabile, fare profitto mediante consenso dei consumatori che comprano e pagano. E col profitto accumulare, investire, espandersi. Profitto primario e secondario (il primo è la differenza attiva tra costi e ricavi almeno per pagare fornitori, dipendenti e bollette; il secondo è la differenza attiva anche dopo aver pagato tasse e investimenti), ma sempre indispensabile profitto, naturalmente e ovviamente indispensabile come la farina per il pane, il respiro pei viventi.

Sicché quando davanti a voi l’interlocutore parlerà condannando il profitto, il deprecabile profitto, la logica del profitto, l’ossessione del profitto, potrete essere assolutamente certi di avere davanti a voi un coglione, un coglione organico nel senso gramsciano del termine, un pericolo per l’umanità e la civiltà anche se Capo di Stato, Pontefice, intellettuale o professore.

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Perché allora il senso comune appaia Capitalismo e Comunismo? Cosa appiccica al Capitalismo la sua brutta fama? Cosa ne nasconde l’immenso bene quotidiano e capillare di cui è autore –essendo libertà della natura propriamente umana? Essendo causa certa della ricchezza dei paesi ricchi?

E’ che qualcosa o qualcuno è riuscito a far credere che cinismo, insensibilità, prepotenza, sfruttamento, violenza siano del Capitalismo e non invece tratti consustanziali della natura umana destinati a riemergere qualunque sia la forma politica delle società umane.

Lo stesso qualcosa o qualcuno è riuscito a falsare la spiegazione del fallimento del Comunismo: per generici “errori”, non perché violava tratti irrinunciabili della natura/libertà umana quali l’amor proprio di ricercare il costante miglioramento della propria condizione.

Sono riusciti a instillare istintiva la convinzione che lo Stato e le sue infinite competenze siano la giusta medicina contro arroganza, insensibilità, sfruttamento, violenza, corruzione, nascondendo che quando l’eterno ritorno di arroganza, insensibilità, sfruttamento e violenza può avvalersi della forza dello Stato, diventano invincibili e inappellabili i molti che lo incarnano nell’insieme dei suoi infiniti uffici, politici e burocrati dall’Onu all’ultimo comune, agli scopini, allo stuolo di pseudo imprenditori che invece di produrre ricchezza come dovrebbe essere nella natura di una vera impresa, pretendono e ottengono sicurezza mediante i soldi e i poteri dello Stato, ovvero succhiando la ricchezza prodotta da altre e vere imprese. Sicché invece di puntare allo Stato Minino (regole universali/impersonali a garanzia del singolo contro arroganza, insensibilità, sfruttamento, violenza di chicchessia), convincono che più impazzano corruzione, arroganza, insensibilità, sfruttamento, violenza, più c’è bisogno di allargare le competenze dello Stato…

Più impazzano corruzione, arroganza, insensibilità, sfruttamento, violenza, prepotenza, più bisognerebbe combattere il Capitalismo!

Qualcuno o qualcosa è riuscito a far credere che la povertà è causata dai ricchi invece che da troppo pochi ricchi (poca produzione di ricchezza), che il lavoro lo crea lo Stato, che perseguire l’amor proprio del miglioramento costante della propria condizione sia in sé un male, il male, l’egoismo: veleno interiore più potente di mille scorpioni alla base del diffuso disagio psichico, dell’apatia, delle nevrosi, della violenza latente. E’ riuscito a convincere che il lavoro è un diritto ovvero un obbligo dello Stato, quando ben invece l’unico giusto obbligo per lo Stato è fare di tutto affinché nella società nascano il più possibile impresa e lavoro, mediante certezza del diritto, poche tasse e pressoché zero burocrazia.

E’ riuscito a far credere – qualcosa o qualcuno – che ricchezza implica necessariamente furto, che la parte di valore del lavoro dei dipendenti ad essi non corrisposta sia automaticamente sfruttamento, quando invece va per gli indispensabili costi, investimenti, profitti. Ricchezza sinonimo di sfruttamento e operaio sinonimo di sfruttato, ma in verità anche l’operaio può benissimo sfruttare l’impresa quando non usa nel migliore dei modi strumenti, macchinari e conoscenze che sono l’accumulo di molte generazioni di lavoratori su cui egli ha l’onore di lavorare.

Sono riusciti a confondere la ricchezza da profitto d’impresa con la ricchezza da privilegio di Stato, ove la prima – tra gli altri – rimpingua le casse dello Stato, la seconda le svuota. Addirittura la prima è bersaglio costante, la seconda addirittura sottratta alle valutazioni della politica, sacra di fatto e di diritto. Sono riusciti a separare il Comunismo dallo Stato, accettando di condannare il primo bensì recuperando immediatamente tutto consacrando lo Stato come rimedio a tutto, quando nulla è il Comunismo senza lo Stato e tutto diventa Stato con il Comunismo.

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Ecco che la tripartizione iniziale (Comunismo e Capitalismo estremi da rifuggire, Virtù sedente in mezzo) è la vittoria più sopraffina del Comunismo, infatti:

– siccome il Comunismo non c’è più come partito e come Urss, chi lamenta il pur evidente Comunismo interiore è un visionario, un fissato, un pazzo da emarginare; – se il Comunismo è “morto” o meglio ben nascosto, la tripartizione in concreto non può che rimanere lotta al Capitalismo;

– In particolare la Virtù – piazzata in mezzo – che nessuno sa bene in politica cosa sia, massimizza la demonizzazione del solo soggetto palese in campo, il Capitalismo degli imprenditori e della gente che lavora in proprio, motori della Ricchezza di tutti;

– affossare il Capitalismo non può che condurre a società massimamente stataliste, assistenzialiste, dirigiste, pianificatorie, burocratiche, fiscali, oppressive populiste, sindacalizzate, ovvero il Comunismo;

– senza forte invito ad intraprendere (Capitalismo) l’Italia non uscirà mai dalla crisi né l’Europa dalla marginalità: la crisi è la vittoria permanete del Comunismo.

La parola Capitalismo va rifiutata per la tendenziosità insita nell’accezione negativa propria di tutti gli “ismi”: il cosiddetto Capitalismo ben invece altri non è che Società aperta di libero scambio o anche Liberismo/Liberalismo, ove bifide distinzioni tra liberismo e liberalismo vanno respinte poiché o sono sinonimi o sono falsi. Concetto fondamentale è che la natura della vita e del comportamento umano contiene e comporta alcuni difetti costanti (molti o pochi che siano, gravi o leggeri che siano: arroganza, prepotenza, sfruttamento, insensibilità, violenza) che è sbagliato addossare al Capitalismo o al Comunismo o altra istituzione, poiché qualunque sia la forma politica trovano sempre il modo di affacciarsi e contare molto.

Bensì con la precisazione che in regime di concorrenza e libero scambio i predetti difetti incancellabili degli umani trovano l’antidoto più efficace nel libero contemperamento tra egoismi diversi, mentre rimangono invincibili quando corroborati dalle leggi e dalla forza dello Stato in favore di una sola parte della società, quella che vive di Stato e che è lo Stato: politici, burocrati, imprese ammanicate.

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Quella tripartizione è un falso bifido e tendenzioso, va bandita e respinta appena si affaccia o viene affacciata. Al suo posto ce n’è un’altra, giusta e vera. Questa vede in mezzo la colonna VITA/NATURA del comportamento umano (che senz’altro possiamo anche chiamare Capitalismo), colonna che procede in una verticale più o meno diritta a seconda degli scossoni della vita personale e dei popoli. Su essa colonna interferiscono forze diverse: da un lato l’EGOISMO o anche ottusità, dall’altro lato la VIRTU’ o anche lungimiranza.

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Mentre il Comunismo è completamente voluto e costruito sopra tutti gli aspetti della vita quotidiana di singoli e associati (è di cultura), il cosiddetto Capitalismo è fondamentalmente di natura, cioè tende da solo ad affermarsi o ristabilirsi senza particolari volontà se non di evitare superflue costrizioni: contro l’insensibilità o prepotenza altrui, l’amor proprio di ciascuno rimarrà sempre un antidoto molto più efficace e soprattutto più economico di qualsiasi forma dello Stato. A quest’ultimo il compito “minimo” ma capitale di assicurare che tutte le libertà rimangano in pari dignità a fronte delle altre, come il Codice della Strada nei confronti di tutti i veicoli grandi o piccoli.

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